Di Enrico Caracciolo È quasi buio quando arriviamo a Castelcivita. Un cielo plumbeo lacrima gocce di autunno sulla strada che sembra volersi perdere nella valle del Calore. Le speranze di arrivare a destinazione con un po’ di luce si sgonfiano come la mia ruota posteriore che si buca su un sasso tagliente. Gli ultimi chilometri nel buio ci regalano il silenzio crepuscolare che solo il Cilento può regalare: l’esperienza dell’oscurità ci priva di grandi vedute, ma gli altri sensi percepiscono l’anima cilentana che può sintetizzarsi nella sensazione di viaggiare in un piccolo grande mondo accompagnati nei segreti di madre natura e dallo sguardo di uomini e donne che custodiscono una gentilezza antica. Il viaggio inizia nella pianura delle bufale, a Capaccio Scalo, dopo una serata immobile come i templi di Paestum. La pianura è l’illusione di pochi chilometri perché, quasi subito, inizia la cantilena scandita dai tornanti che ingentiliscono la forza di gravità salendo in direzione di Roccadaspide. Il cielo è solo sfiorato perché dopo poco si scende con decisione verso il fondovalle del Calore. Al ponte di Castelcivita, si varca la porta del Cilento silenzioso, schivo, protetto dalle pareti lucenti e severe degli Alburni. Luigi Scorzelli, giovane agricoltore, ci aspetta a Controne per raccontarci tutti i segreti che fanno del fagiolo di questo luogo, un’eccellenza assoluta. Passione, competenza, schiettezza e senso sconfinato di ospitalità raccontano il Genius loci di questa terra. “Questo lembo di terra è un piccolo paradiso che gode di un microclima particolare; non è semplice vivere qui ma questa è la terra che custodisce le radici del mio DNA”. La zuppa di fagioli e scarole che interrompe la pedalata verso Castelcivita rimane una pagina sacra del viaggio cilentano: semplicità, genuinità, autenticità dei sapori sono le tracce di un viaggio sensoriale che non conosce artefazione. Il cielo scarica i primi acquazzoni autunnali e ci offre l’occasione di entrare nel ventre del Cilento, nelle grotte di Castelcivita, dove il tempo si dilata al ritmo di stalattiti e stalagmiti; laggiù un minuto è uguale a un secolo e la roccia sembra urlare in silenzio la forza di Madre Natura. La strada si inerpica sui contrafforti degli Alburni. Castelcivita mette a dura prova i muscoli dei ciclisti e sembra ricordare, una volta per tutte, che l’entroterra regala strade tanto nervose e imprevedibili quanto spettacolari. La pianura la devono ancora inventare da queste parti ma chi pedala sulle strade del mondo sa bene che ogni cambiamento di pendenza, come ogni curva, riserva sempre sorprese. La strada che raggiunge Sant’Angelo a Fasanella si affaccia sulla grandezza di un paesaggio solenne dove la presenza dell’uomo è antica e discreta. Proprio come Michele Clavelli che ci apre le porte della cantina dove si produce un vino naturale di altissima qualità. Nelle Tenute del Fasanella è stato compiuto un gran lavoro di recupero dei vitigni autoctoni come Aglianicone, Santa Sofia e Mangiaguerra, oltre ai ben noti Aglianico, Primitivo e Fiano. Sant’Angelo a Fasanella nasconde uno dei tesori più preziosi del Cilento: la Grotta di San Michele Arcangelo, opera d’arte creata dalla genialità di Madre Natura e dalla mano dell’uomo. La chiesa rupestre è un trionfo solenne di religiosità che toglie il respiro e commuove. La dilatazione dello spazio è superba. Sculture, ceramiche, altari e affreschi risalenti a un tempo compreso fra XIII e XVII secolo dipingono un silenzio senza fine. Questo luogo sprigiona una potente energia nel segno di un’elegante e antica essenzialità. Merita un viaggio da qualsiasi dove e non mi sorprenderebbe incontrarvi un ateo che prega… La pedalata verso Bellosguardo insegue il tramonto. Anche stavolta il sole arriva prima di noi alla meta e raggiungiamo il punto tappa nella penombra. Così va la vita in questo angolo di Campania che profuma di Lucania; non ha senso rincorrere le lancette del tempo. I ritmi imposti da queste strade che scrivono tratti di estrema bellezza sono per forza di cose lenti: ideali da vivere facendo girare ruote e pedali. Bellosguardo. Una parola racconta quello che accade qui. Basta un colpo d’occhio per abbracciare la grandezza di questa terra, dalle creste di Alburni e Cervati, a mare azzurro e lucente. Il risveglio ci regala grandi vedute e due scoperte che mettono il sigillo su un viaggio “del gusto”: l’Aglianico di Belrisguardo e la sfogliatella di Bellosguardo. Stiamo parlando di nobili invenzioni. Romano Brancato è un giovane viticoltore animato da una passione forte e fiera come il terreno su cui coltiva uve di Aglianico; produce un vino biologico recuperando antichi valori della tradizione grazie a metodi attuali di grande professionalità. Francesco Longo e le sue donne sfornano quotidianamente sfogliatelle imbottite di ricotta. Niente a che vedere con quelle classiche. Per conoscerle è indispensabile raggiungere Bellosguardo, incredibile terrazza sul Cilento. La pioggia e le prime brume autunnali sono uno scenario ideale per attraversare Roscigno Vecchia, borgo abbandonato a inizio ‘900 in seguito a varie frane. Meta di viaggiatori, turisti e curiosi, mette in bella mostra l’architettura di case, palazzi e portali raccontando silenziosamente come amministrazioni di fine millennio abbiano potuto violentare la bellezza di borghi e paesaggi non abbandonati… Con eccessiva enfasi viene chiamata la “Pompei del Cilento” e, dopo la morte di Dorina, il suo unico abitante è Giuseppe Spagnuolo, barba, pipa e basco ma soprattutto “unico, libero, abusivo, speciale”, come ama definirsi. La strada si tuffa in una sconfinata solitudine e, volando sulle sorgenti del Sammaro, risale verso Sacco per poi precipitare in quel di Piaggine. Qui si aprono le porte della casa di Giuseppina che ospita a pranzo cinque ciclisti un po’ infreddoliti. Tavola imbandita, tanto sole che sfonda le nuvole e riscalda una splendida tavolata familiare. Come sempre le ombre della sera arrivano a destinazione prima delle nostre biciclette. La piazza di Vallo della Lucania è un luogo dove puoi rimanere seduto un giorno intero: di sera è un salotto, di giorno un palcoscenico che ospita la quotidianità cilentana. Baristi, pensionati, neonati, rappresentanti, vigili urbani, pensatori e vagabondi, stavolta anche cicloturisti pigri in partenza verso la costa. Essenze mediterranee accompagnano le pedalate verso un occidente azzurro e brillante. San Severino di Centola, piccolo mondo di pietra aggrappato al cielo, selvaggio come un rapace guarda la Valle del Mingardo che si apre un varco verso il mare. Ma chi viaggia in bici non ama le strade facili e veloci… Così ecco ruote e pedali, polpacci e respiri che affrontano i tornanti del “piccolo Stelvio” cilentano verso Licusati tra ulivi monumentali e rocce strapiombanti, prima della discesa verso Marina di Camerota. L’autunno sulla costa è bello come il paradiso. Spiagge deserte ma soprattutto un viaggio con Marco e Luigi, lupi di mare che ci hanno accompagnato verso le trasparenze di Punta Infreschi, non a caso considerato dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’Umanità. La pedalata prosegue Ci-lentamente lungo la costa, con la vista e il cuore pieni di un grande orizzonte. Ma questa è una terra antica fatta da uomini e donne di valore. Come Mattia Peluso, tanto giovane quanto saggio e profeta del Maracuoccio, piccolo e prezioso legume che si trova nella terra di Lentiscosa. Lo strano nome viene da “Mar” termine semitico che indica qualcosa di amaro e “cuoccio” derivante dal latino e che indica il baccello. Con il Maracuoccio si prepara una favolosa polenta. E poi ecco Luca Cella, sapiente artigiano di mare e di terra che nel laboratorio di Aura a Palinuro, trasforma tonno rosso, alletterato, alalunga, palamita, sgombro ed anche ventresca di alalunga, ma anche alici e sarde; e poi sottolii di melanzane, pomodori verdi, carciofini e asparagi selvatici e confetture di corbezzole, gelsi e cipolle di Vatolla. Una rarissima strada pianeggiante verso Palinuro, poi le discese ardite e le risalite tanto care a Lucio Battisti che veniva a ubriacarsi di silenzio a Pisciotta. Donatella e Vittorio con le loro strepitose alici di menaica, la frana e l’ultima pedalata contro la forza di gravità verso Ascea. E infine il volo verso Marina di Ascea dove ci aspettavano Maurizio e Adriana: lui “Magno Greco”, medico sportivo, atleta, poeta, cilentano, nuotatore d’inverno, filosofo dal fisico “bestiale”; lei semplicemente Adriana, la mia regista di quando poco più che bambino recitavo le commedie di Eduardo Scarpetta, una ragazzina di 83 primavere fresca come una rosa. Ci hanno accolto con un’indimenticabile spaghetto al dente. L’ultima tappa verso Paestum è un’altra storia. Bici a riposo e treno. Il saluto verso questa terra è la celebrazione di un’indiscutibile eccellenza di questo territorio: le bufale e la mozzarella di Vannulo. Antonio Palmieri ha cercato, trovato, creato un valore importante: la mozzarella più buona del mondo, un prodotto che unisce abilità umane e ricchezze naturali, che grazie a questo signore non ha mai perso la propria identità, anche di fronte alle tentazioni di un mercato globale.
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