di L.R.
Di nuovo un sindaco! Inghiottito dal buio di una notte di fine estate mentre si sentono, in serrata sequenza, nove colpi di pistola. È l’ultima sequenza di un film che quasi richiama, anche se con colori accattivanti, un’altra tragica notte, questa volta d’inverno, quando a scomparire é Lorenzo Rago, sindaco di Battipaglia, il 20 gennaio 1953. Allora faceva freddo dentro e fuori l’animo angustiato, oggi il dramma risulta ancora più esasperante: una calda notte d’estate non riesce a riscaldare il cuore e consolidare la speranza che è possibile far giustizia. Rago scomparve nel nulla, inghiottito dal buio. Questa volta, invece, a rimanere nel buio è il nome di chi ha sparato contro Vassallo. Del sindaco desaparecido, dopo oltre sessant’anni, non se ne sa nulla, solo articoli di giornale, qualche libro, le piste degli inquirenti, ipotesi rimaste senza risposta. L’auto di Rago fu bloccata da un’altra vettura, come è capitato a Vassallo, fermatosi per osservare un’automobile con le frecce lampeggianti. Il sindaco di Pollica stava percorrendo una strada di collina, verso casa; ritornava da uno dei consueti impegni di amministratore locale. Costretto a fermarsi, un uomo gli scarica addosso nove colpi, dei quali sette vanno a segno. Un thriller che vede vittima un sindaco protagonista? No! Una tragica vicenda che attende da cinque anni una soluzione: individuare mandanti ed esecutori.
A far pensare è il fatto che a molti il protagonista appaia un rivoluzionario, mentre il suo messaggio è solo un ovvio invito all’onestà, base della buona amministrazione che non tollera abusi edilizi o comportamenti inquinanti. Impegnato a rilanciare il turismo, egli invita la cittadinanza ad avere la dignità di farlo bene, con professionalità e modi gentili, attenti ai dettagli nell’accoglienza, consapevole che prima di ricevere occorra saper dare.
Questa sensibilità marca la distanza da un ceto amministrativo che oggi dà un’idea di mediocrità, quando non precipita in un evidente squallore; perciò, l’esempio del sindaco pescatore ha potuto dar fastidio persino ad eventuali colleghi. Intanto continuano gli interrogativi: chi lo ha ucciso? E i complici dell’omicida? Chi è il mandante interessato a tacitare un simbolo della buona politica nel Sud, quella attenta alla legalità e alla salvaguardia dell’ambiente e, perciò, generatrice di sviluppo? Il sindaco di Pollica non ha voluto pagare pedaggi vassallatici; ha rivendicato la propria autonomia per esaltare il bene della sua comunità. Egli ha proposto un programma innovativo nella sua semplicità perché pronto ad esaltare il senso civico.
Portare questo messaggio è ora la missione del fratello ed anche dello schermo, sul quale, sia pure con il linguaggio cinematografico, è stata illustrata la sua figura. Il racconto della sua vita si è trasformato nell’epopea di un piccolo paradiso ambientale arricchito da un messaggio etico che, bene inteso, diventa opportunità economica. Da qui il potere di coinvolgere, come è capitato a Castellitto; a suo dire la recitazione è approdata in una coinvolgente esperienza personale. Costretto ad immergersi nel personaggio per conferirgli credibilità, anche quando racconta di piccole cose come la battaglia contro i mozziconi di sigarette gettati a terra, l’attore pratica un esercizio di responsabile comportamento civico; esalta la rilevanza di un carismatico primo cittadino nei nostri paesi, una figura pronta ad ascoltare, simpatetica verso i problemi della gente, disposta a rischiare per realizzare un sogno.
Sono pochi questi sindaci, ma esistono anche nel nostro territorio e la loro presenza riaccende la speranza pur se il panorama della classe amministrativa non aiuta a volare alto. Come Rago a Battipaglia, Vassallo ricorda Marcello Torre di Pagani, ucciso nel 1980 perché impegnato a cambiare le sorti del suo paese e per questo scontratosi con gli interessi illeciti della ricostruzione dopo il terremoto. Questi fu lasciato solo da chi non voleva cambiare un sistema progressivamente deterioratosi fino all’amaro spettacolo della nostra quotidianità, un “sindaco gentile” che non poteva tollerare comportamenti camorristici, come ha scritto Marcello Ravveduto, un cristiano pronto a dimostrare che è possibile amalgamare i principi della Costituzione e l’intransigenza etica del Vangelo, come nota don Ciotti nell’introduzione al saggio. Di questi operatori di pace si sente il bisogno per impedire ai soliti noti di mettere “Le mani sulla città”. Ne deriva l’improrogabile necessità di superale lo iato tra verità storica e giudiziaria anche per l’assassinio di Angelo Vassallo. Pochi mesi prima di morire, Marcello Torre affidò al giudice una busta col suo testamento, stilato pochi giorni prima dell’assassinio. Egli augurava a moglie e figli di «essere degni del suo sacrificio». È la stessa raccomandazione fatta con le sue azioni dal sindaco pescatore per rendere Pollica libera e civile.
Per questo motivo Angelo Vassallo non ha avuto paura di confrontarsi col gioco di potere, vigile nel denunciare chi operava a proprio vantaggio nelle pieghe di un’apparente normalità e ciò per non deludere la fiducia della gente che lo aveva sostenuto. Perciò occorre evitare che anche sulla sua memoria si stenda un alone d’imbarazzante silenzio che darebbe ragione alla vendetta dei suoi nemici e convenire con le dure parole di un magistrato, che lo ha conosciuto ed ha apprezzato il suo lavoro, contro le critiche levatisi dopo la proiezione del film. Insopportabili e chiaramente pericolose, esse ricordano la nota reazione di chi guarda il dito e non intravede la Luna, quella luna che è assente quando il rimbombo dei colpi alla fine della proiezione scuote ed induce a pensare per sollecitare coralmente una risposta chiarificatrice e mettere in guardia contro la strumentalizzazione che si tenta di fare dell’eroe, dimenticando il messaggio semplice ma coinvolgente dell’uomo. Esso comunica una drammatica attualità se si considera la lunga teoria di notizie sul malaffare nelle grandi città e nei piccoli paesi, anche per colpa della sonnolenta e rassegnata soggezione di chi rimane insensibile a piccole e grandi corruttele. Occorre invece testimoniare con determinazione una pratica di legalità semplice e comprensibile per tutti; per gli amministratori pubblici essa si riassume nel fare sempre e solo il proprio dovere nell’interesse dei cittadini.
A giudicare dal suo modo di porgersi, appare chiaro che Vassallo era un timido e, come tanti con queste caratteristiche, assumeva atteggiamenti che potevano essere bollati come arroganti o apparire presuntuosi, come qualcuno ha scritto. La fiction televisiva, come sempre capita per esigenze di spettacolo e di copione, enfatizza alcuni aspetti e passa in secondo piano o sotto silenzio altri, ma certamente non può essere misconosciuto il suo sacrificio sull’altare della legalità, l’azione di un uomo del popolo che con coraggio ha dato vita ad una rivoluzione culturale il cui fuoco rischiaratore non dobbiamo fare spegnere, mentre non si dovrebbe mai appiccare un incendio come quello di origini dolose che ha privato del piacere di vedere lo sceneggiato alcuni a Pollica: stupida goliardata o una puerile vendetta? Comunque segno d’impotenza rispetto alla forza delle idee!
Ognuno è libero di criticare la proposizione romanzata di una vicenda storica, ma non ne può negare la realtà. La fiction ricorre agli elementi propri del genere per rispondere ai gusti dello spettatore, scelte che possono a volte risultare poco convincenti – l’accento nei dialoghi, musiche poco pregne di cilentanità, caratterizzazione eccessivamente farsesca di alcuni personaggi – ma molte sono le sequenze emozionanti, soprattutto il messaggio. Esso dovrebbe richiamare l’attenzione dei giovani ed è sintetizzato da tre battute pronunciate in tre momenti diversi: quando inizia la sua sindacatura e ci si deve confrontare con i problemi, Vassallo-Castellitto dichiara “Tanto non mi fermo!”; quando cita ai figli l’anarchico Nicola Sacco che, in attesa dell’esecuzione, scrive “L’unica cosa che conta nella vita è essere buoni…e difendere le proprie idee…così esse, rimarranno belle anche per quelli che verranno dopo di noi…questa è l’unica maniera per sentirsi felici…e io ci tengo alla vostra felicità”. Mettiamo da parte il chiacchiericcio, rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo in silenzio più uniti per superare grettezze campanilistiche e costruire una comunità capace di liberarsi da atavici condizionamenti per innata autocommiserazione, la quale rende incapaci di guardare al tanto di positivo di cui dovremmo essere custodi. Angelo Vassallo esclama: “per andare avanti bisognava tornare indietro”, pronti a recuperare i valori del passato, quando comandava il mare, quel mare generoso nel regalare la pesca miracolosa descritta da Ungaretti negli anni Trenta e custodita per millenni dal mare di Acciaroli. Il poeta intravede nella testa di Apollo recuperata un canto di giovinezza, reso possibile dalla mano rugosa del pescatore, il quale resuscita una sorta di Battista, homo cilentanus, volto apollineo per secoli cesellato dalle onde. Purtroppo le autorità per logiche di potere che puniscono i protagonisti deboli della storia hanno collocato quel reperto lontano, nel museo di Salerno. Ma varianti e persistenze di una società, cesure e tornati di una civiltà non si rinvengono nei musei, mera custodia della pietrificazione della coscienza e della cultura. Grazie alla sublimazione estetica e all’esperienza educativa esse conservano valore e significato se costituiscono una sorta di memoriale di civiltà che anima la vita di un paese.
Questa esperienza deve aiutare a superare ataviche contraddizioni: bellezza e trasandatezza, sensibilità e volgarità, sufficienza e protervia del potente. Angelo Vassallo si é confrontato con tutti questi problemi per cui passano in secondo piano i suoi difetti non solo di carattere; infatti, tirando le somme si deve convenire che nessun comune cilentano in un quarto di secolo ha vissuto una così intensa storia di rinascita grazie alla passione per il bello del sindaco pescatore, la cui leadership era pregna di antica saggezza popolare, agli antipodi rispetto all’apatia, all’abbandono, al servilismo verso il piccolo potente di turno, al lasciar andare come sempre si è fatto. Il Cilento ha bisogno di amministratori in grado di ribaltare logiche che ostacolano necessarie politiche di riforma, da adottare anche se richiedono il coraggio di sfidare l’impopolarità. I cittadini hanno la sola arma credibile per operare questa grande rivoluzione: l’urna. Ma se continuano ad ascoltare imbonitori di professione allora non diventeranno mai la Pollica del sogno di Vassallo ed il sindaco pescatore s’inabisserà nel glauco mare antistante Acciaroli riducendosi a mito sempre più sbiadito dal tempo!