Sulla sinistra la strada provinciale s’inciela, dolce, fra i tornanti delle colline a conquista di San Mauro La Bruca e San Nazario, terre di monaci italo/greci, che vi fondarono abbazie ed insegnarono ai contadini innesti per nuove colture e la tecnica per la regimentazione delle acque. A sinistra uno spiazzo/belvedere è il punto di osservazione ideale per un colpo d’occhio carico di emozioni sul mare dei miti e della storia: La spiaggia delle Saline, lunga, ostenta il litorale sabbioso che accende iridescenze al sole con una merlatura di trina d’argento della risacca a carezza/bacio di battigia: M’incanto al tozzo braccio di terra, balena spiaggiata, a dirupo sul mare ad evocare la dolente storia di Palinuro, inabissatosi per incauto sogno, come canta Virgilio, o per delusione d’amore ad inutile inseguimento della ninfa Camerota, in una notte di luna piena, come narra una leggenda popolare. Si respirano atmosfere di dolcezza malinconica, tipica di tutte le terre dei miti: Sul Capo del Faro è gloria di luce nella festa della vegetazione, che scivola a chiazze verdi giù giù fino al turchese del mare. Qui i rivoluzionari lanciarono il proclama della rivolta del 1828 con il cuore ardimentoso gonfio di entusiasmo e di speranza per un Cilento libero e forte. Ridiscendo verso il breve pianoro vallivo a ferita feconda delle acque del Lambro, prima, e del Mingardo, poi, a dilavare le radici della Molpa. Ne seguo i corsi lenti a pigra foce fino all’Arco Naturale con le falesie a picco sulla raccolta spiaggia ciottolosa. È il regno degli aironi a sentinella/postazione su altari di pietra e che, pettoruti, spiano con diffidenza la mia intrusione a profanazione di oasi di silenzio rotto solo dalla nenia litaniante dell’onda a spruzzo lieve di coltelli di scogli.
Mi lascio alle spalle mare e pineta ed inseguo l’orizzonte degli ulivi su per la mingardina a conquista di Cilento interno. Nella Valle dell’Inferno il fiume rantola nel letto umbratile a rievocare storia nobile di San Severino, che minaccia voli nella gola con il suo carico prezioso di Chiesa e Castello e con la storia prestigiosa scritta sulle pietre dell’acciottolato. Giù il treno interregionale sibila uscendo dal ventre della terra prima di planare sferragliando nella stazioncina nel verde. In lontananza il Mingardo allaga la vallata scendendo dall’Antilia e carezza la collina a strapiombo, sui cui ride di luce Roccagloriosa con la Chiesa nella gloria del sole. Foria ricama case lungo un trivio della statale 447 e spalanca terrazzi sul corso del Lambro, che un tempo fornì anse accoglienti per la macerazione del lino. È “la porta”, come da toponimo, per accedere al capoluogo Centola, che fu di sicuro un punto di riferimento per i paesi del circondario per la nobiltà di censo e di casato, di cui è traccia nelle belle dimore gentilizie a vanto di un centro storico ben conservato. E’, fuori dubbio, un punto di osservazione unico sullo scenario di un orizzonte infinito di mare ai piedi delle colline, in cui trionfa l’ulivo secolare e la vite generosa di umori. E’ la faccia policroma del Cilento nella ricchezza e varietà della sua offerta per soddisfare le esigenze di un turismo che si esalta e si scatena nelle discoteche negli antri delle grotte con i giovani di tutte le razze e di tutte le lingue e che, però, trovano forme di comunicazione coinvolgente sull’onda della musica. Quello più familiare si rosola al sole delle Saline o dell’Arco Naturale, facendo il pieno di iodio e sale nel mare terso. Quello più esigente e colto insegue sorprese di storia e paesaggi per le colline dell’interno, dove, tra l’altro, non mancano occasioni di assaggi di prelibatezze enogastronomiche. Da Centola la macchina rotola a valle tra campagne coltivate e case sparse fino a San Nicola, che regala atmosfere d’altri tempi, per ripiombare, poi, quasi all’improvviso sulla strada costiera con negli occhi ancora una volta la visione di Capo Palinuro a catapulta sul mare nel fuoco del tramonto.
CENTOLA-PALINURO
È delirio di luce Palinuro
Col Capo a catapulta sugli abissi
A sigillo mistero nelle grotte
d’amore e morte di scontrosa ninfa,
Sugli altari di pietra pettoruto
L’airone è sentinella di falesie
Nell’incavo dell’Arco Naturale.
Nella Valle dell’Inferno ciottolosa
Pigola lento il fiume le memorie
Raccolte alle radici dell’Antilia
Castello e Chiesa di San Severino
a minaccia di volo nella gola!
E Centola che ostenta chiese e case
è scrigno di una storia prestigiosa
con monaci e signori nel governo
della contrada che fu feudo forte
e regno oggi d’uliveti e vigne.
Giù il mare ad orizzonte d’infinito
s’esalta nella festa del turismo.
Giuseppe Liuccio
(La poesia è tratta dalla raccolta di Giuseppe Liuccio “CILENTO POESIA DEI PAESI” – Galzerano Editore)