“…Sarebbe ritornato alla sua terra, alle avventure di sempre, tra i boschi e le pietre del suo paese dove avrebbe aspettato il regno della morte, solenne, come gli si doveva, con guardie gigantesche e bestie nere..” Quando rileggo questi passi di Rocco Scotellaro penso agli “Alburni massicci come elefanti” visti da una cella del convento di Sicignano dove lui ha vissuto e studiato, naturalmente non è così, ogni paese ha le sue guardie e le sue bestie nere e quelle di Tricarico non saprei dove andarle a cercare, quelle di Sicignano invece le conosco bene non fosse altro che sono macroscopiche e sotto gli occhi di tutti. “Nelle notti silenziose l’odore del bosco arriva nelle case, un verde incombente bussa alle porte di notte e di giorno. Se ne sta il mio paese come un gatto acquattato su un precipizio, tra selve e cielo” Così scrissi molti anni fa a proposito dei miei guardiani che sono come un pezzo della mia famiglia e che stanno lì da sempre. Ma devo forse spiegarmi meglio. Esiste a Sicignano una montagna-muraglia che incombe sulle case e sulle persone ed è minacciosa e protettiva al contempo, alcuni lacerti di montagna sotto forma di selva o castagneto lambiscono il paese, il castello trovandosi sull’ultimo lembo di terra prima del precipizio si staglia sul nostro orizzonte ed è un pezzo di cielo. Ecco i totem-guardiani in mezzo ai quali si svolge la vicenda urbanistica e umana di Sicignano degli Alburni: la montagna ed il castello. Queste due entità connotano fortemente il paesaggio, sono baluardi onnipresenti, visibili da ogni angolazione.
La costruzione di un maniero che poi diventerà il Castello Giusso Del Galdo di Sicignano degli Alburni è senza dubbio dovuto alla volontà di controllo sui transiti di uomini e merci sulla sottostante strada consolare Annia-Popilia e alla relativa riscossione di gabelle. Per chi si lascia alle spalle la valle del Sele il valico dello Scorzo introduce alle Nares Lucanae località già presente nella tavola peutingeriana (III sec d.C. e qui si snodano assi viari che prendono diverse direzioni: Taranto, Reggio Calabria, Foggia (attraversando la Sella di Conza). Per oltre due millenni sono passati sotto questo castello, per la via Regia, una moltitudine di viaggiatori, villani, eserciti , eroi, Spartaco, Alarico, Garibaldi, per citarne alcuni.
Cercando di sintetizzare le complesse vicende dinastiche che accompagnano la storia del nostro castello si può dire che in epoca alto-medioevale fu posta una solitaria torre su uno sperone roccioso a strapiombo su un vasto orizzonte questa torre era collegata visivamente alle tante già presenti nei paraggi (img05). Intorno al 1080 il normanno Asclettino Drengot si avviò ad opere di ampliamento della torre per farla diventare dimora fortificata. L‘edificio, come spesso succede per ogni importante manufatto architettonico, è la somma di vari ampliamenti e rimaneggiamenti e dai dettagli della sua conformazione attuale (merli, beccatelli, bucature, feritoie, portali in pietra) siamo in grado di stabilire chi tra i feudatari ha maggiormente contribuito a renderlo come noi oggi lo vediamo: i D’Alagno (1270-1438), i Caracciolo di Sicignano (1438-1652), i Falletti (sei-settecento) sono i principali castellani che hanno ingentilito l’austera forma normanno- sveva precedente (img06).
Il titolo di duchessa Del Galdo di Sicignano fu conferito nel 1795 ad Elena Dionisia Falletti che nel 1851 cedette al conte Luigi Giusso tutti i beni di Sicignano, Galdo e Castelluccio, due osterie, due mulini ad acqua, il trappeto di Terranova, il mulino del Battiniero, fabbricati rurali ed anche i castelli di Sicignano e San Licandro. Luigi Giusso era di origini liguri e fu abile uomo d’affari nel regno di Napoli dove fece la sua grande fortuna economica e carriera nobiliare. Uno dei suoi discendenti, il duca Giannandrea Giusso del Galdo è vissuto a Sicignano e proprio qualche giorno fa, il 1 febbraio scorso, è deceduto. L’ultimo duca di Sicignano aveva novantadue anni e non lascia eredi diretti, era persona gentile, cordiale nell’eloquio, attento osservatore e ascoltatore, una cortesia e un garbo d’altri tempi. Ha abitato in paese e io lo ricordo in un’appartamento condominiale preso in fitto, in questa casa fredda e anonima qualche volta gli ho fatto visita, tra i suoi libri antichi aveva una edizione originale settecentesca della Encyclopédie di Rousseau e D’Alembert, riuscii a farmela dare in prestito per una mostra libraria che facemmo a Sicignano a cavallo del duemila. L’iscrizione all’Albo d’oro della nobiltà italiana di Giannandrea era sia formale che sostanziale, non aveva scaltrezze borghesi e non seppe approfittarne dei fondi del dopo-terremoto per aggiustarsi due castelli ormai diruti, il Duca non aveva credo amici politici e assistette impotente alla decadenza e allo smembramento di gran parte dei possedimenti. Anche quei libri antichi, mi è stato detto, gli sono stati rubati.
Giannandrea Giusso ha fatto atto di donazione del castello che porta il suo nome al Comune di Sicignano nel 1984 e dopo qualche anno si sono avviati i primi lavori di recupero che hanno restituito all’uso una sala e una seconda è quasi pronta (img.07). Con grande orgoglio di tutti noi da qualche anno d’estate qui si tengono importanti iniziative culturali. Il 2 febbraio scorso l’attuale Amministrazione comunale retta da Giacomo Orco ha fatto affiggere un manifesto per ricordare il Duca che dice “Gli Amministratori e i cittadini dell’intero comune di Sicignano esprimono il loro commosso cordoglio per la perdita dell’illustre concittadino Duca Giannandrea Giusso del Galdo e ne serberanno intatti il ricordo, l’affetto, la stima e la profonda riconoscenza”
Riconoscenza è la parola giusta, il castello superbo ed inespugnabile adesso è patrimonio dei sicignanesi e al momento si aspettano ulteriori fondi per renderlo fruibile in ogni sua parte e per tenerlo aperto tutto l’anno. Molte le proposte per la sua destinazione d’uso, staremo a vedere quale o quali saranno ritenute le più idonee.
Mi preme infine ricordare a chi ha potere decisionale che questo castello non ha bisogno di progetti scenografici, la scena qui già c’è, non bisogna strafare con ottusi modernismi, le cose antiche vanno trattate con cura e sensibilità, i materiali devono essere nuovi ma devono avere il sapore dell’antico. Le travi HE inzeppate su un cubo di cemento no, non si possono proprio vedere.
P.s. Ho raccolto volentieri l’invito di Bartolo Scandizzo di partecipare a questo numero sui castelli della nostra provincia, parlare del Castello Giusso Del Galdo di Sicignano degli Alburni è un’occasione per tornare su temi a me molto cari. Nessuno voleva che noi bambini andassimo a giocare al castello, c’era uno scivolo in pietra. Levigatissimo. Sono convinta che i documenti storiografici da soli non bastano per rappresentare la realtà delle cose, per promuovere e raccontare davvero un luogo, per esempio il Castello, è importante parlare di quello scivolo, mettere in scena la triste storia di Palianedda, mettere in scrittura la leggenda di un’aquila che nidificava sulla torre più alta, tutto questo carica di altro incanto le storie.
Servirebbe uno “Stradario sentimentale sicignanese”, luoghi e persone catturate in un fermo immagine quando tutto appariva vasto, integro, tutto nuovo, tutto da fare. Servirebbe un racconto normanno per resuscitare Asclettino, Sighelgaita, Trotula, il costruendo duomo di Salerno, l’aria rarefatta novembrina sicignanese che sale su per i monti…servirebbe una narrazione.