Sul finire del XII secolo tra l’Imperatore di Germania Enrico VI e Tancredi di Altavilla, re di Sicilia, scoppiò un aspro conflitto per il dominio del Regno di Sicilia: si era ormai all’estinzione della dinastia dei Normanni e alla successione di quella Sveva sui vasti territori del Sud. Queste vicende furono narrate nel “Liber ad homorem Augusti” da Pietro da Eboli, che si definiva, nel colophon dell’opera, “magister Petrus de Ebulo, servus Imperatoris fidelis”. Le vicende narrate nel “liber” riguardavano per una buona parte anche Salerno, città che, avendo giurato fedeltà a Tancredi di Altavilla, oppose una fiera resistenza alle truppe dell’imperatore. Anzi qui fu portata prigioniera la regina Costanza e affidata alla custodia del salernitano Matteo D’Aiello, prigionia interrotta con la liberazione a seguito di intercessione di Papa Celestino III. Una narrazione, quella di Pietro da Eboli che, a modello dell’Exultet, recava ben cinquantatre disegni dello stesso Pietro che illustravano i fatti del contrasto tra le due dinastie. E nelle immagini che riguardano Salerno, soggetto primario è il Castello, quello oggi conosciuto come Castello di Arechi e che domina la città da ancor prima che il Principe Longobardo trasferisse la sua sede da Benevento a Salerno, snodo importante di scambi commerciali nel Mediterraneo. D’altra parte l’importanza strategica del Castello con le sue mura che cingevano la città era già stata prediletta raffigurazione nella monetazione longobarda e normanna, simbolo della potenza della città, il cui vertice è in alto, al termine di quei 300 metri del Colle Bonadies sul quale si ergeva fiero con la sua Torre Maior. Nelle immagini del Liber di Pietro da Eboli, a maggiore identificazione della città, vengono raffigurati anche il Palazzo Castel Terracena e la Cattedrale, quella antecedente al progetto del Vescovo Alfano.
L’esistenza del Castello è da collocare in un periodo anteriore all’epoca romana della città, tant’è che Salerno, nel 197 a.C., poté essere scelta da Roma come colonia marittima proprio perché aveva già un “castrum” (apud castrum Salerni). Altri storici, invece collocano il primo impianto costruttivo al VI sec. d.C., nel corso della guerra greco–gotica, ad opera del generale Narsete che costruì un castrum con funzione di controllo del porto sottostante.
Ad Arechi II, però, si deve la sua ristrutturazione e fortificazione con massicce opere di difesa per una maggiore sicurezza contro gli attacchi dei nemici i quali diventavano sempre più forti, a mano a mano che aumentava la potenza del Principato di Salerno. Fu dotato di quattro torri, posizionate verso i quattro punti cardinali, ed al suo interno aveva tutte quelle attività necessarie ad una città, quindi alla sopravvivenza in caso di lunghi assedi. In pratica Arechi II fece del castello, rimasto inespugnato, il vertice di un sistema difensivo triangolare. Così le mura merlate del Castello, posizionato alla conclusione del colle Bonadies, calavano lungo i pendii del monte cingendo tutta Salernum fino al mare, offrendo buone possibilità difensive. Ma l’opera di Arechi II non fu solo per il Castello, bensì per l’intera città divenuta la capitale del principato, ma soprattutto luogo urbano, economicamente ricco, con palazzi nobili importanti, con numerosi conventi e chiese, nonché istituzioni ecclesiastiche che vedevano confluire a Salerno prelati ed esponenti religiosi di tutto il territorio salernitano, tant’è che il Vescovo di Salerno assunse il titolo di Arcivescovo primate, cioè di “primus inter pares”. Ma la fortificazione del castello, soprattutto con la «costruzione della Turris maior sul colle, culmine del poderoso sistema difensivo, – scriveva Paolo Delogu – esprimeva e soddisfaceva un’altra esigenza basilare di una comunità ricca e potente: Salerno non era semplicemente una città residenziale, ma una capitale». Una serie di modifiche fu apportata nei secoli dai successivi proprietari (leggasi dominatori) come i Normanni, che costruirono la torre detta “La Bastiglia”, per controllare i movimenti non visibili dal Castello, e gli Angioini.
Centro del potere politico, il Castello fu ovviamente al centro di intrighi di palazzo, episodi bellici, rifugio dei governanti in procinto di essere “sfrattati” dai nuovi reggenti, perché la opulenta Salernum era un territorio appetibile per posizione geografica, per ricchezza di commerci e per importanza storica. Tra quelle mura in pietra viva ebbe sede anche la congiura del 1483 di trenta baroni, capeggiati da Antonello Sanseverino, che mal tolleravano la dispotica ingerenza di re Ferdinando I d’Aragona nella vita cittadina.
Nel 1648 il Castello subì l’assedio da parte delle truppe francesi. Si narra che gli strenui difensori spagnoli non erano in grado di far giungere una richiesta di aiuti al generale Gusman a Cava. Poi un giovane salernitano, Giovan Battista d’Amore, attraverso un passaggio segreto a lui noto riuscì ad eludere le sentinelle francesi giungendo a Cava, da dove arrivarono subito i necessari aiuti di uomini, armi, munizioni e viveri, servendosi dello stesso itinerario percorso dal d’Amore, entrando così nel castello attraverso il passaggio segreto.
Tra le sue mura si rifugiarono i 700 carbonari della setta dei Filadelfi che su quelle mura, tra il 25 maggio e il 25 giugno del 1828, fecero sventolare il vessillo della Libertà.
Nelle pagine del Gran Tour, Voyage dans le royaume de Naples così definito da Jean Jaques Boucahard nel 1632, o Italienische Reise come lo indicavano i tedeschi, compariva sempre il Castello, alto a dominio di città e in vario modo descritto e rappresentato dai viaggiatori. Breve sosta quella di Johann Wolfgang von Goethe nel suo viaggio verso il mondo ellenico, ma sufficiente per notare il maniero; e poi fu la volta del suo amico Jacob Philip Hackert, senza dimenticare il “Voyage Pittoresque” dell’abate di Saint Non.
Nel 1828 Crauford Tait Ramage appuntava: “La veduta della città di Salerno accresceva la bellezza del paesaggio; dietro di essa si ergevano le rovine di un castello ammantate d’edera”. E nel 1861 il celebre medievista e storico tedesco Ferdinand Gregorovius nel suo “Wanderjahre in Italien, resoconti dei suoi viaggi in Italia pubblicati tra il 1856 e il 1877, in cinque volumi, scriveva: “Salerno è una città considerevole, situata al bordo del mare, in una piccola pianura circondata da verdeggianti colline. Si dice che il suo nome derivi da Sele e Irno, due piccoli fiumi che attraversano il suo territorio. La città ha un castello fortificato e un porto che un tempo era molto rinomato. La scuola di medicina sorta in questa città le ha sempre dato una grande reputazione, per le eccellenti opere rimaste e per il saper dei suoi medici.”
Ma più recentemente, nel 1977, Luigi Carella nel suo ponderoso “Salerno attraverso il centro antico” al capitolo del Castello scriveva: “Eccolo là, in cima al monte Bonadies; lo potete vedere da ogni luogo; vecchio ma sempre maestoso, sprezzante dell’incuria degli uomini, altero e dignitoso nel suo abbandono”.
E non va dimenticato che fu fonte di ispirazione per molti letterati: Ugo Foscolo, durante una visita a Salerno nel 1812, decise di ambientare al suo interno la tragedia “Ricciarda”. Il poeta salernitano Alfonso Gatto nella sua rima “Lo Stellato” così verseggia: “Al castello d’Arechi / In quel grande passato, / nella città ove fui / la vetta solitaria dell’ultimo chiarore / vedrò nei baci bui notturni lo stellato”
Divenuto proprietà della Provincia di Salerno, il Castello negli ultimi anni è stato al centro di un’attenta opera di recupero e conservazione, riattivando spazi polifunzionali a fruizione pubblica e creando, nelle antiche stalle del castello, sale museali dove sono in esposizione ceramiche graffite medioevali rinvenute all’interno del maniero durante i lavori di recupero insieme ad alcune monete che si sono aggiunte alla collezione di monete della Zecca di Salerno qui trasferita dal Museo Archeologico Provinciale, e una biblioteca specializzata nello studio delle opere di fortificazione.
Sono trascorsi secoli da quando sul colle Bonadies fu costruito il primo castrum, ma il Castello è ancora lì, imponente e più presente che mai, a dominio di una città alta sul mare, nella quale e sul quale si sono svolte importanti vicende di una opulenta capitale di un regno fiorente, ricco di denari e saperi medici che furono faro di scienza per il mondo di allora.