È sul finire settentrionale della Valle delle Ferriere in Amalfi un antico edificio a scavalco del Canneto, allegro torrente che alimenta i magli a macerare la bianca cellulosa da cui ricavare quei fogli di carta a mano chiamata “bambagina”, per essere morbida e vellutata come la pelle di un bambino.
È, quell’antico edificio, la Cartiera Amatruda, voluta da don Luigi, testardo amalfitano che impegnò trent’anni della sua vita per riprendere la produzione, dopo secoli di silenzio, di quella carta a bordi intonsi che aveva contribuito a dare, alla piccola ma nobile Amalfi, fama nel mondo. Ad animarlo solo la passione, nella quale coinvolse la moglie Rosa, e alla quale si alimentarono le due figlie, Antonietta e Teresa, oggi continuatrici di quella “impresa” già vanto ed onore della prima, antica Repubblica Marinara.
“Siamo nate e cresciute nella Valle dei Mulini – ricorda Teresa – e, sin da piccole, mia sorella Antonietta ed io abbiamo convissuto con la voce del Canneto che azionava i magli delle cartiere ancora attive. Possiamo considerarci tra gli ultimi testimoni di un mondo che andava scomparendo: quello della fabbricazione della carta ad Amalfi”.
La carta ad Amalfi aveva fatto la sua comparsa all’epoca in cui i mercanti della Repubblica solcavano i mari con i loro “legni” e frequentavano i porti arabi del Mediterraneo: dagli arabi avevano appreso il metodo di lavorazione e da buoni mercanti, adusi a fiutare gli affari, avevano subito capito quanto valore ci fosse in quel prodotto così diverso e così più a buon mercato della allora in uso pergamena.
E fu così che da Amalfi i fogli della pregiata “bambagina” partivano per le più svariate destinazioni, tanto che ancora oggi in numerosi archivi europei è possibile trovare preziosi manoscritti redatti su carta a mano di Amalfi e di cui si sono serviti regnanti e papi, notai e storici per stilare i loro atti più importanti. Anzi il suo abuso, nel 1220, indusse Federico II a inserire nelle sue decretali un divieto assoluto alle Curie di Napoli, Sorrento e Amalfi ad usare la carta bambagina per gli atti pubblici.
Poi, una serie di fattori avversi, privò Amalfi di questa tradizionale produzione, tanto che nell’ultimo dopoguerra nella città costiera non era rimasto nessuno cartaio: molti erano emigrati altrove, lì dove riuscivano meglio a sviluppare la loro professionalità. Sembrava, quindi, finito questo antico mestiere, sin quando don Luigi Amatruda non decise di riprenderne la produzione. E furono trent’anni di grandi sacrifici: nulla era scritto, codificato, tutto era affidato alla tradizione orale, di padre in figlio, come si faceva una volta, nel tramandare il mestiere di famiglia. Fu solo la testardaggine di don Luigi, dote di cui nessuno amalfitano scarseggia, se alla fine da quel edificio nella Valle delle Ferriere, cominciarono ad uscire i fogli di bambagina. “Per nostro padre – ricordano le figlie -, e anche per noi oggi, produrre quella carta non era un fatto meramente economico, ma soprattutto una questione di cultura”.
Erano carretti trainati da asini a trasportare le balle di cartaccia lungo la stradina che conduceva fino alla cartiera; erano portatori e portatrici a fare lo stesso lavoro con la forza delle spalle. Ricordi di un tempo che fu e che affiorano quando Antonietta e Teresa si raccontano in questa loro impresa.
“Il contatto diretto con l’attività della carta lo abbiamo avuto nella nostra cartiera, quando da ragazze ci recavamo a trovare papà sul lavoro e lo ascoltavamo spiegare le varie fasi di lavorazione: sin da allora provavamo meraviglia nell’assistere al “quasi miracolo per noi” della poltiglia bianca che, mista all’acqua, andava a formare un foglio di carta. Era interessante ed affascinante, nel contempo, vedere le donne stendere la carta nello “spanditoio” sino a formare un ininterrotto succedersi di bianco o seguirle nel paziente lavoro di cernita e piegatura dei fogli” fatto, ancora oggi, uno per uno, da mani gentili, perché quei fogli non abbiano a sciuparsi, né presentino imperfezioni di sorta.
Aveva 66 anni quando nel 1979 don Luigi lasciò, troppo presto, le ambasce di questo mondo e proprio “quando era riuscito a mettere a punto – ricordano le due sorelle – un sistema di lavorazione della carta in grado di migliorare la produzione di fogli singoli da lettera e da stampa con i quattro bordi intonsi, caratteristica questa della carta lavorata con la forma”. Fu allora che Antonietta e Teresa dovettero rimboccarsi le maniche e da buone figliole, si adoperarono perché i sacrifici del loro padre non venissero vanificati e l’impresa di fabbricare carta a mano continuasse.
Oggi Antonietta e Teresa Amatruda dicono: “Il nostro è un prodotto di nicchia, che si rivolge ad un mercato particolare e, pertanto, mira ad offrire qualità a fronte di un costo giocoforza più elevato. Già verso la fine degli anni ’60 la carta a mano di Amalfi ha incominciato ad essere conosciuta in Italia ed anche all’estero, specialmente in Gran Bretagna e sin da quel periodo grandi editori a livello nazionale ed internazionale hanno usato la carta Amatruda per stampare le loro opere per bibliofili”.
La Signora Rosa conservava, tra i suoi ricordi, quello l’ordinativo avuto della casa editrice “Edizioni dell’Elefante” per 60 mila fogli di carta a mano del formato 50×70: servirono per la stampa dell’Eneide di Virgilio, luoghi scelti e tradotti da F.M. Pontani con un saggio di T.S.Eliot e dodici illustrazioni originali di Renato Guttuso. Diceva: “Per tre mesi si lavorò esclusivamente per questa produzione e ci volle un intero camion per consegnare il prodotto”. Ad aprire le antine della libreria privata Amatruda si incontrano preziose edizioni, che farebbero la gioia dei biliofili, come il volume in gaelico “Drunk Man Looks at the thistle” edito da G. Mardersteig nel 1969 o “Il Canzoniere” di Petrarca, con le note critiche di Leopardi, stampato da Marotta. Tallone di Alpignano pubblicò “Il Corano”, mentre Grimaldi e Cicerale stampavano “La Villa di Chiaia e il Palazzo Cellammare” di Benedetto Croce e “La Capri magica” di Ada Negri, con dieci disegni di Letizia Cerio. Stampa anastatica sulla delicata “bambagina” ebbe il volume del 1789 di Ferdinando IV, re delle due Sicilie sulla “Origine della popolazione di S. Leucio”: la rilegatura è impreziosita di seta blu imperiale di San Leucio. Tutte pubblicazioni eseguite su carta a mano amalfitana delle cartiere Amatruda.
“Oggi – ricorda Teresa – i nostri fogli sono apprezzati un po’ ovunque nel mondo con clienti in Spagna, Austria, Turchia, Libano, Corea del Sud, Stati Uniti ed Australia”.
Una eccellenza tutta italiana, anzi salernitana, quella della carta a mano e sulla quale vi fu battaglia tra Amalfi e Fabriano sul primato della carta: la città marchigiana dovette cedere di fronte alle evidenze storiche e inchinarsi al primato amalfitano. Primato che resta alla famiglia Amatruda per essere stata la prima a ripristinare l’antica, pregiata lavorazione, una produzione che oggi raggiunge, nella maggior parte, il mercato editoriale, lasciando al minuto le chicche dei fogli per lettere (se mai impreziositi da fiori ed erbe delle vicine balze dei Lattari) riservati esclusivamente ad una rara clientela amante di ricercatezza.
Orgogliose continuatrici di un’attività, appresa in Oriente dai mercanti amalfitani e che affonda le sue radici nel XIII secolo, ancora viva in quel antico edificio a scavalco sul fiume Canneto, grazie alla testardaggine della famiglia Amatruda, Antonietta e Teresa coltivano un sogno semplicissimo: “Che il fiume continui ad azionare i magli della nostra cartiera nei decenni a venire”.
E ad Amalfi, prima Repubblica Marinara, sono abituati a scrivere la storia per secoli.
Vito Pinto