Tutte le cose che si conoscono hanno numero: senza il numero non sarebbe possibile pensare né conoscere alcunché. (Filolao di Crotone)
Ricordi, maestro Pitagora, era il mese di ecatombeone ed il giorno che stava per finire era stato pieno di sole e tu da quando dal giorno dell’ecatombe solenne erano cominciati i sacri riti dedicati al dio Apollo (tuo padre!) eri lì, con tua lunga tunica bianca nel tempio della scuola con il capo velato e le braccia rivolte all’occidente a salutare, come ogni sera, il tuo padre che tramontando consegnava alla tua scuola ed alla tua amata città di Crotone il meritato riposo e saresti, con che gioia, tornato il mattino, se … all’improvviso dalla casa del tuo discepolo Milone, dove i tuoi allievi tenevano a giustizia il governo della città, non ti fosse giunta la notizia che alcuni facinorosi comandati dal democratico Cilone avevano assalito la casa incendiandola e bruciando con i libri ogni cosa che segnasse il tuo alto, aristocratico insegnamento, costringendo i tuoi allievi alla morte e te, maestro, alla fuga nel piccolo tempio delle Muse che guadagnasti alla vita solo per la devozione fatta scudo dei tuoi amici. Ma troppo grande con la perdita della scuola e della città, fu il dolore degli amici, e così come farà un altro grande qualche secolo dopo nel deserto, per quaranta giorni e quaranta notti digiunasti pregando finché non venne pietoso un mattino il carro splendente del tuo grande padre a rapirti alle fameliche Parche traducendoti all’Olimpo divino, dove tu, figlio di un dio, come tuo padre divenisti tra gli dei un dio. E tanta fu la tua fama che già solo qualche anno dopo il furioso, quanto enigmatico, grande filosofo Empedocle di Agrigento poté scrivere di te che: “C’era tra di loro un uomo di straordinario sapere, che aveva dunque acquistato un’immensa ricchezza d’ingegno, e padroneggiava al più alto livello ogni genere di sapiente attività: quando infatti dispiegava tutto il suo ingegno, era capace di scorgere, senza difficoltà, ciascuna delle cose esistenti in dieci, in venti epoche umane!
E fu, maestro, in verità così tanto il tuo sapere e così meraviglioso e rotondo quel tuo “numero” che tante strade aprì, che pure circondato dal mistero degli esoterici e dall’afasia giurata dei tuoi novizi, non poté la storia della conoscenza farne a meno e valicando velocemente i confini della Magna Grecia raggiunse presto tutto il mondo, illuminandolo con la sua geniale potenza rivoluzionaria. E fu tanto ancora e grande la possanza creativa di quel tuo nuovo principio, di quella tua geniale “archè” che superando ogni antico principio “ fisico” si precipitò tanto nella storia della scienza da segnarne con il destino per sempre il cammino. E portando fuori, come ebbe a scrivere ancora nel V secolo d.C. un oscuro dossografo bizantino: “pare che Pitagora apprezzasse sopra ogni cosa i numeri e che, traendolo fuori dal servizio dei mercanti, lo facesse progredire, e tutte le cose paragonasse ai numeri, poiché il numero contiene tutte le altre cose, e tutti i numeri sono in rapporto tra di loro” il numero dal “servizio” dei mercanti lo facesti, maestro, così progredire che dividendosi poi in pari e impari ne facesti del loro primordiale, necessario scontro origine a tutte le cose. Scrive il grande Aristotele: “nei numeri tu vedevi espresse tutte le proprietà e i rapporti degli accordi armonici, poiché insomma ogni cosa nella natura appariva loro simile ai numeri, e i numeri apparivano primi tra tutto ciò ch’è nella natura, pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose che sono, e che l’intero mondo fosse armonia e numero. E tutte le proprietà che potevano mostrare, nei numeri e negli accordi musicali, corrispondenti alle proprietà e alle parti del cielo, e in generale a tutto l’ordine cosmico, le raccoglievano e gliele adattavano. Che se qualche cosa mancava, si sforzavano d’introdurla, perché la loro trattazione fosse compatta.
Per chiarire con un esempio: poiché il dieci sembra essere numero perfetto e contenere in sé tutta la natura dei numeri, dicevano che anche i corpi che si muovono nel cielo sono dieci; e poiché se ne vedono soltanto nove, aggiungevano, come decimo, l’antiterra”… un’ipotesi così destabilizzante e lungimirante che ci vorranno venticinque secoli e più secoli prima che quell’ipotesi matematica disvelasse tutto il suo potere visionario in quella che oggi noi chiamiamo, oltre i quanta, “il paradosso impeccabile” della incredibile teoria dei “molti mondi” e delle sue tante doppie “opzioni”. E che il “numero” con dentro l’armonia che lo governava fosse per te, maestro, davvero il principio fondante dell’universo, anche di quello che scoprendosi incommensurabile tradiva il suo primo dovere, era cosa acclarata eppure segreta e sacra sopra ogni cosa, come ben presto imparerà quel tuo geniale allievo, tale Ippaso di Metaponto,che pur conoscendo il terribile vaticino del dio: “Che se qualche anima intende penetrare in questa regione segreta (ovvero la irrazionalità dei numeri) e lasciarla aperta (ovvero comunicarla all’esterno della scuola),sarà trascinata nel mare del divenire e annegata dall’incessante movimento delle sue correnti” volle, come tanto tempo prima, quale novello Prometeo rompere, a pena della vita, quell’angusto giuramento e sfidando l’ira degli dei far conoscere al mondo il tuo segreto, che avanzando poi nelle sue tecniche applicazioni di tanto si impadronì della nostra vita da farsene, come comanda il presente, signore e padrone! Quale sarebbe stato il destino nostro e della scienza senza il tuo “numero” maestro, io non so dire, ma certo che la potenza rivelatrice di quel tuo assunto iniziale che “tutte le cose conosciute posseggono un numero e nulla possiamo comprendere e conoscere senza di questo” dovette essere così deflagrante e gravido di conseguenze se, ancora dopo tanti secoli, potette ancora attrarre e meravigliare uno di più grandi filosofi del nostro tempo, Bertrand Russel che scrivendo di logica matematica, ebbe a dire di te, maestro, che non solo tu fosti uno degli uomini più geniali che siano mai esistiti sulla terra ma che non conosceva nessun altro uomo che avesse avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero occidentale quanto quel tuo sconfinato “numero”… aggiungendo che lo stesso platonismo, gloria di tutta la filosofia occidentale, non era altro che la sublimazione del tuo stesso pensiero! Una scoperta il tuo “numero”, maestro, una rivoluzione “copernicana” che fecondando con il pensiero l’antica, troppo fisica “archè” dei primi filosofi si spinse così tanto avanti da far esclamare il grande Platone che lui stesso aveva da te appreso l’arte del filosofare! Un’arte e lo stesso nome della “filosofia” che tu, maestro, inventasti, assegnandoti di quel termine un oscuro dossografo greco il primato quando scriveva che : “Pitagora di Mnesarco, di Samo, il primo che abbia chiamato la filosofia con questo nome” e che molto conoscevi bene nel suo significato più profondo, se, come la tradizione tramanda, segretamente la raccogliesti, a vanto perenne della tua scuola, in quelle tue due sentenze capitali, di cui la prima si chiudeva in “Che cosa c’è di più saggio? Il numero e la seconda in “Che cosa c’è di più bello? L’armonia. Massime e segreti di novizi così alti e risonanti che non valse il rigoroso silenzio elitario dei tuoi allievi a tenerle nascoste e tutte si dipanarono spandendosi oltre i confini delle terre che il padre Oceano chiudeva e tanta,maestro, fu la tua fama di uomo saggio e sapiente che il tuo insegnamento si velò di mistero e furono gloria i tuoi tanti divieti e quel continuo,praticato richiamo alla castità che oltre che un grande maestro fece di te il primo,grande asceta del mondo occidentale.
Tu credevi infatti,come testimonia il filosofo Porfirio:“quello ch’egli diceva ai suoi compagni, nessuno può dire con, perché serbavano su questo grande segreto. Ma le sue opinioni più conosciute sono queste. Diceva che l’anima è immortale, poi ch’essa passa anche in esseri animati d’altra specie, poi che quello ch’è stato si ripete ad intervalli regolari e che nulla c’è di veramente nuovo, infine che bisogna considerare come appartenenti allo stesso genere tutti gli esseri animati. Fu infatti Pitagora il primo che portò queste opinioni in Grecia” credevi nella immortalità dell’anima e fosti il primo a consegnare ai cristiani che verranno il Verbo di Dio. Scrive a conferma, ancora Russel: “Se non fosse per lui, i Cristiani non avrebbero pensato a Cristo come al Verbo; se non fosse per lui i teologi non avrebbero cercato prove logiche di Dio e dell’immortalità. Ma in lui tutto ciò è ancora implicito”. Non una setta, come la opposizione dei tuoi contemporanei democratici volle, ma un luogo di pensiero alto fu la tua scuola e di preghiera in cui la cura dell’anima non era superbia o ingiustizia o peggio ancora albagia di nostalgici aristocratici, quanto piuttosto viatico solenne offerto a chiunque con prove, disciplina e asprezza di vita e privazioni avesse voluto con regole e precetti incamminarsi verso l’erta via della conoscenza che solo purifica l’anima. Un’anima che tu, maestro credevi sì eterna ma altrimenti (ed è la tua dottrina della metempsicosi) costretta a reincarnarsi ( ecco i tuoi strani divieti alimentari) per espiare i suoi peccati che lavati dalle diverse vite da scontare l’avrebbe poi finalmente elevata alla congiunzione suprema con Dio dove sovrana avrebbe con l’armonia dei corpi celesti regnato per sempre la perfezione della nostra anima immortale e … che fu, maestro, il tesoro più grande del tuo sapere! Un tesoro così grande che non mancò la tua scuola di tramandarlo raccogliendolo in quei tuoi pochi “Versi Aurei” che diventeranno con le “misure” e i trentadue precetti l’essenza stessa del tuo alto insegnamento, Scrivevi infatti nei tuoi “Versi Aurei” ammonendo i tuoi allievi alla misura ed alla disciplina “venera anzitutto gli Dei immortali secondo la legge e serba il giuramento” e ricorda che “la misura in ogni cosa è la perfezione” e quando poi venendo la sera ti ritroverai solo nella tua celletta non lasciare che “la dolcezza del sonno sorgendo ti privi della cura di tutto ciò che nella giornata facesti, e ancorché stanchi i tuoi occhi accolgano il sonno senza prima esserti chiesto quel che facesti: Dove son stato? Che cosa ho fatto? Che cosa ho omesso di quel che avrei dovuto fare? E cominciando dalla prima azione fino all’ultima, di nuovo tornandovi avrai compiuto cose spregevoli, punisciti; se hai rettamente agito rallegrati. Queste cose sforzati di fare, a queste cose applicati, con fervore… . e abbi intelletto, e nelle purgazioni, e nella liberazione dell’anima. Ogni cosa osserva, distingui e valuta, l’intelletto dall’alto eleggendo per guida adeguata. Allora, lasciato il corpo, salirai al libero etere. Sarai un dio immortale, incorruttibile, invulnerabile”. Versi preziosi e solenni,”aurei, invocati alla cura del sapere ma sopra ogni cosa comandamenti e precetti votati alla ricerca della perfezione dell’anima e che, come piacque poi al grande Urbinate, ancora oggi continui a mantenere vivi in quella vaticana “Scuola di Atene” dove piegato per terra, quasi in ginocchio, insieme a tanti altri filosofi, sei ancora lì, maestro, intento nel tuo pensiero a scrivere quelle tue regole mentre ai tuoi piedi sembra riverente sporgersi un allievo ,qualcuno dice il tuo figlio Telauge, che sostenendo una nera tavoletta sembra riverente, maestro, a te affidare la guardia segreta della tua misteriosa,divina Tetraktys che tutto nasconde e svela… a noi, che pure un giorno imparammo a conoscerla, che non mai “saliremo verso il libero etere” se, oltre i tanti, troppi abbagli del nostro tempo presente, giurando fedeltà a se stessi, non cercheremo (avrebbe poi scritto un grande filosofo del nostro tempo) nel lontano “rammemoramento” (l’anima che trasmigrando espia e … ricorda !) di noi, l’essenza autentica della nostra stessa esistenza! Questo, maestro, nei giorni inguaribili del maggio odoroso l’amore … il fiore che ti … porto!
(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di mercoledì 23 maggio 2018)