“Tra quanti affermano che (il principio) è uno, in movimento e infinito, Anassimandro, figlio di Prassiade, Milesio, successore discepolo di Talete, ha detto che principio ed elemento degli esseri è l’infinito… da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. (Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13)
Ed anche per te, maestro Anissamandro, figlio di Prassiade, primo signore dell’immensità del cielo e dei suoi tanti mondi e che il grande Raffaello nella sua “Scuola” intese raccolto alla spalle del misterioso Pitagora a rapire i suoi numeri, canterò il mio canto. Un canto nuovo che, viandante solitario nella memoria dei miei tanti anni, ho raccolto appena ieri, ai piedi dell’altare del tempio del dio Poseidone dove durando alta nei secoli la bellezza ho visto aggirarsi la tua rivoluzione e quel primo sentimento del “sublime” che giovane studente di filosofia un dì, avvertii nello sconfinamento imprevisto di quel tuo improvviso, straordinario concetto dell’”apeiron” che avanzando di tanto il tuo maestro Talete, fu per me il primo infinito, il primo audace sguardo gettato in quell’universo sconfinato dei tanti mondi dove tutto trovava origine e tutto doveva come tu scrivevi maestro, “secondo necessità”, tornare. Non un elemento definito quindi come l’acqua del tuo maestro l’”archè” ovvero il principio di tutte le cose ma qualcosa di indefinito e di precedente a tutte le cose che indefinito ed illimitato nella sua natura primordiale si facesse origine poi di ogni cosa limitata e finita … un magma, un miscuglio caotico dirà qualcuno o forse, maestro, solo un pensiero, un ragionamento straordinariamente semplice che spiazzando ogni tradizione si precipitò in quella tua naturale capacità di astrazione che fu il tuo genio spiazzante. Perché se il principiato o il causato: ovvero ciò che ha avuto inizio o principio per “separazione” tu dicevi, non può che per sua stessa natura essere necessariamente limitato e definito … limitato e finito non può essere però il suo principio originario che per forza deve essere illimitato e indefinito, luogo primordiale in cui tutte le cose hanno origine e morte. Un pensiero, un ragionamento, una “archè” indefinita ed immateriale, il tuo “apeiron”, maestro, che per la sua rivoluzionaria lungimiranza anticiperà,come ha scritto Carlo Rovelli nel suo bellissimo saggio “Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro” tutte le riflessioni filosofiche che verranno sul problema del principio, dell’origine o di Dio stesso! Una rivoluzione davvero quel tuo ’”apeiron”, quel tuo divino, infinito, indeterminato,vorticoso vento primordiale che ruotando vertiginosamente su stesso, per “separazione” , qualcuno ha scritto anticipando il Big Bang , per dispersione nello spazio di materia incandescente, darà origine a tutte le cose per “contrari”. Prima il caldo e il freddo da cui poi verranno combattendosi tutti gli altri contrari, i quali, come tu scrivi, maestro, dovranno “secondo necessità” (non era forse,la dea Necessità, unica fra tutte le dee, impassibile e senza un volto colei che da Esiodo chiamata a custodire l’ordine cosmico, tutto lo avvolgeva con una rete perché tutto si compisse come era stato stabilito !) tornare di nuovo a quel primo ”apeiron” per ristabilire quella iniziale armonia che la loro separazione aveva rotto!
Ed è per questo, maestro, che tu scrivi che dovranno pagare “la pena” perché è noto che qualunque cosa tenterà di uscire rompendo quella che fu la prima armonia primordiale dell’”apeiron”, commette peccato e per questo dovrà pagare, aggiungi nel tuo frammento l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. Perché uscire dall’”apeiron”, che non fu mai, per te, maestro, solo e solamente un semplice elemento unificatore della realtà ma la sua prima ”archè” ovvero il principio fondatore ed ordinatore che secondo giusta legge regge e governa il cosmo e separarsi quindi desiderando di nascere,crescere e divenire, per poi reciprocamente combattendosi, tornare alla totalità, è una ingiustizia, un torto fatto all’“ordine del tempo” e come tale va pagata ed espiata.
Scrive nella “Filosofia nell’età tragica dei Greci” il grande Federico Nietzsche: “può non essere logico ma è davvero umano e per di più nello stile di… Anassimandro ogni divenire come un’emancipazione, meritevole di castigo, dall’eterno essere, come un’ingiustizia da espiare con la distruzione. Tutto ciò che è divenuto una volta, ancora una volta dilegua, sia che si pensi alla vita umana o all’acqua o al caldo o al freddo: ovunque sono percepibili determinate proprietà, ci è consentito, stando a un’immensa dimostrazione d’esperienza, preconizzare la distruzione… scorgendo nella molteplicità delle cose giunte alla nascita una somma di ingiustizie da espiare… primo tra i Greci… il nodo del più profondo problema etico. Come può perire qualcosa che ha diritto d’essere? Da cosa nasce quell’incessante divenire e generare, quell’espressione di spasimo sul volto della natura, quel funereo, interminabile lamento in tutti i regni dell’esistenza? Da questo mondo dell’ingiustizia, della proterva caduta dall’unità originaria, Anassimandro cerca scampo in una rocca metafisica, da cui sporgendosi lascia spaziare lo sguardo nelle lontananze, per uscire infine,dopo un meditabondo silenzio, in queste domande a tutti gli esseri: “Che valore ha la vostra esistenza? E se nulla ha valore, a che scopo esistete? Per vostra colpa, a quanto osservo, indugiate in questa esistenza. Con la morte dovete espiarla. Guardate come appassisce la vostra terra; scemano i mari e si disseccano, la conchiglia sui monti vi mostra fino a che punto essi si sono già inariditi; già il fuoco sta distruggendo il vostro mondo, si dissolverà, infine, tutto in fumo. Ma sempre di nuovo tornerà a riedificarsi un siffatto mondo della caducità: chi riuscirebbe mai a redimervi dalla maledizione del divenire?… e se la morte sarà il prezzo che ogni essere avrà dovuto pagare per avere voluto esistere, questo sarà anche la nostra stessa vita e forse il cpmpimento finale di quell’eterno ritorno nicciano che ci farà tutti “lavoisieuramente” tornare perché tutto possa di nuovo ricominciare! E come la notte scaccerà il giorno così alla morte faremo seguire la vita e peccando“secondo necessità” noi uomini che dall’umido venimmo all’umido torneremo ma non prima, lungimiranza del tuo pensiero, di averti accolto, maestro, tra di noi moderni ed anticipandoci in virtù del tuo malinconico pessimismo proto esistenzialista, il pensiero del grande Martin Heidegger, ci consegneremo come già ventisei secoli fa non solo alla storia della tua Mileto ma a quel monito magistrale che per dare senso “autentico” alla vita bisogna in vita la morte anticiparsi! E allora come l’onda che in mare nasce, cresce e avanza e diventa nell’ingrossare del vento portentosa e si trasforma in mostro abbattendosi sulla riva furiosamente per poi lentamente tornare nel profondo del seno silenzioso del padre Oceano e trova al suo cammino compimento per di nuovo tornare nella furia del vento a ricominciare … così anche i tanti mondi spersi per l’universo che “transeunti” anch’essi dovranno implodere per far ritorno a quel primo ostello che fu il “divino” vento impetuoso del tuo “apeiron”.
Anch’essi come il Kaos contro il Cosmos nell’universo sconfinato contrari eppure uniti, secondo necessità, in un unico destino che tu solo, maestro, avesti l’ardire per prima di scrutare avanzando quella prima grande rivoluzione cosmologica che ancora dura e brucia e che vale a dispetto del movimento del Sole e di tutte le altre infinite stelle che nel cielo vorticosamente roteano, solo la Terra, tu affermasti, come una “pietra di colonna”, non poggiando su nessuna base o spalla di gigante o dorso di tartaruga, come il mito dettava, rimaneva fissa, immobile, galleggiando nello spazio senza cadere perché… perché posta al centro dell’universo era retta (la legge di gravità era ancora da venire!) dalla uguale distanza che per la sua forma tonda teneva da tutti i suoi punti periferici. Scriveva per te Aristotele confermando “non è sollecitata a muoversi né verso l’alto né verso il basso, ed è impossibile che compia alcun movimento in direzione contraria; per questo di necessità sta ferma”. La stessa terra, come riferisce il geografo Agatemero, che tu, maestro insieme a tutta la sfera celeste provasti per primo a disegnare in una“ecumene” facendo della grandezza della terra il discrimine primo per calcolare la grandezza del sole e della luna, che nei fatti misurasti. Ancora per te Aristotele: “il sole è una sfera ventotto volte maggiore della terra, molto simile alla ruota di un carro, che in una parte, attraverso un’apertura, mostra il fuoco, come attraverso la canna di un flauto…, anche la Luna è “una sfera diciannove volte la terra, simile a una ruota di carro, la cui circonferenza è incavata e piena di fuoco come il Sole, e come il Sole è posta in una posizione obliqua e munita di sfiatatoio, come la canna di un flauto” calcolo e misura, meraviglia del tuo genio solitario, affidasti solo e solamente a quella tua divina capacità di astrazione che colpì tanto il filosofo Karl Popper, quando considerando la tua rivoluzionaria quanto “assurda” idea della terra che galleggia nello spazio senza cadere, esclamò dicendo, che quella aurorale alba della scienza che sarà poi chiamato pensiero scientifico moderno e che nasceva tanti secoli fa nella nebbia di Mileto, tu solo e non altri ne era stato il padre!
E la tua genialità, maestro, non si sciolse solo nel tentare “scientifiche” spiegazioni alla terra ed alla sua immobilità ma andò oltre e perché tutto questo sapere potesse giovare anche alla città e della sua gente, seguendo l’esempio del tuo maestro andasti alla ricerca della spiegazione anche dell’origine dei fenomeni naturali e fu così che con i fulmini ed i tuoni tentasti in attenzione pure i terremoti e, come narra il grande Cicerone, imparasti addirittura prevenirli, se “i Lacedemoni avvertiti da Anassimandro, lo studioso della natura, a lasciare la città e le case, vegliando in armi sui campi, perché era imminente un terremoto” si salvarono e per ringraziare gli dei e te, maestro, scrive lo storico Diogene Laerzio che, per la testimonianza del filosofo Favorino, ti dice scopritore del primo orologio solare. “Piantarono i Lacedemoni nell’”agorà” della loro ricostruita città di Sparta “un’asta al centro di un quadrante” e fu ancora una volta in terra di Grecia vanto e gloria: che per la prima volta, per te, maestro, per l’ombra proiettata da uno “gnomone” l’uomo si fece artefice del tempo e misurando se ne fece signore oltre dominandolo nel profetico cammino perduto”dei solstizi e degli equinozi” che ancora mi confortano! Questo, maestro, nei giorni del maggio odoroso l’amore fecondo, il fiore che ti … porto!
(Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno lunedì 2 maggio 2018)