Due volte all’anno, per una inutile ed insensata opera di “pulizia”, si scava il letto del fiume, si appiattiscono le sponde, si distrugge la vegetazione riparia, si canalizza il corso dell’alveo. Quello che un tempo era fonte di vita per la Città Antica di Paestum è stato trasformato, nel corso degli anni, in uno squallido rivolo d’acqua senza anima. Il Capodifiume, ricco di carbonato di calcio, contribuì a formare la piattaforma di travertino su cui fu costruita Paestum. La sua Sacralità è accertata fin dal IX sec. a.C., quando genti di cultura villanoviana, si stabilirono lungo il fiume. Nel IV sec. a.C., la presenza delle 32 sorgenti favorirono la nascita di un Santuario. Il Capodifiume fin dall’antichità era un luogo sacro, legato alla fertilità e alla prosperità delle campagne. Vi si praticavano culti legati a divinità femminili, come testimoniano i reperti archeologici ritrovati. Culti legati al ciclo naturale della vita e della natura, quale quello di Persefone, figlia di Demetra protettrice delle messi e sposa di Plutone re degli inferi. Plutone si invaghì della giovane e bella Persefone e la rapì nell’atto di raccogliere un narciso. Le conseguenze per la terra furono catastrofiche. Demetra, affranta e sconvolta dalla perdita dell’amata figlia, non concesse più i suoi frutti e l’umanità intera ne soffrì. Zeus, per porre fini a tale tragedia, dispose che Persefone tornasse sulla terra, da sua madre Demetra, una volta all’anno. Da quel momento si ripete periodicamente l’arrivo della Primavera, Persefone torna alla luce a rivedere Demetra, la terra rifiorisce e porta con sé raccolti abbondanti e nozze feconde. In Autunno ridiscende negli inferi, quale regina dei morti, a giacere con lo sposo Plutone. Il mito di Persefone si perpetua nel Capodifiume, che ha restituito un sacco di reperti legati all’universo femminile, a giovani donne che prossime alle nozze, chiedevano la protezione della Dea. Ritrovate teste femminili in terracotta con diadema, gioielli, vasetti con profumi e unguenti, ma soprattutto tante statuette di Eroti, allegorie di nascite felici, che testimoniano la frequentazione del Santuario da parte di fanciulle prossime alle nozze. Quando Paestum diventa colonia latina nel III sec. a.C., il Fiume Capodifiume viene abbellito con un Tempio, con monumenti e viene costruita una strada che conduceva verso la Città. Ora immaginare che tutto questo è stato distrutto, obliterato, cancellato, fa male all’anima e al cuore. La morte del Capodifiume, madre e padre della Città Antica, è la nostra morte. Quel che ne rimane scorre lento lungo la Piana, lambisce le Mura Antiche e attraversa la 220 del 1957. Nessuno se ne cura, tranne le ruspe e gli escavatori che lo violentano e lo sventrano. Invece di opere di scavo, il Capodifiume avrebbe bisogno di interventi atti ad assecondare le dinamiche naturali del corso d’acqua ed intervenire per ripristinare la rigogliosa vegetazione ripariale, ove essa fosse stata compromessa, da scavi distruttivi e incompetenze amministrative. Riqualificare e rinaturalizzare il Capodifiume, potrebbe ridurre il rischio idrogeologico e abbattere i costi di gestione. Con la scusa di pulire l’alveo, ogni anno assistiamo alla distruzione di quel che rimane dell’antico corso del Fiume Sacro di Paestum. Nessuno si oppone allo scempio, tranne l’ostinato agricoltore-filosofo che dimora sulle sue sponde e soffre e s’incazza ogni volta che il mostro d’acciaio affonda le sue fauci sugli inermi alberelli, la casa di piccoli e grandi volatili, che rispunta ad ogni primavera, come Persefone dagli inferi. La vegetazione ripariale non è “monnezza” e neanche causa di inondazioni. La pulizia dell’alveo, di per sé, non riduce il rischio idrogeologico. Nel caso del Capodifiume, l’intervento è peggiorativo, perché oltre a distruggere la vegetazione delle sponde, viene abbassato l’argine e lo si appiattisce, con l’unico scopo di recuperare qualche metro di terra per la semina del mais. Gli alberi, gli arbusti, le erbe e le piante acquatiche vanno tutelate. Una volta lungo le sponde del Capodifiume, a contatto con le chiare e fresche acque, cresceva rigoglioso il sedano, “l’accio”, con cui i nostri avi, facevano una zuppa di “fasuli e accio” che era una vera squisitezza. Dal punto di vista ecologico, la presenza di vegetazione lungo il fiume, è un fatto positivo. La tutela della vegetazione ripariale è riconosciuta dalla Direttiva Europea sulle acque 2000/60, che fa esplicito riferimento alle piante come elemento di valutazione del “buono stato ambientale” che un corso d’acqua deve avere e dalla legislazione italiana, tramite il D. Lgs. 152/99 che prescrive la tutela della fascia ripariale. Sulla necessità di proteggere la vegetazione ripariale del Capodifiume, ove nidificano uccelli di varia foggia e caratteristiche diverse, si è discusso in una piacevole serata, in una delle magioni più nobili e antiche di Paestum. I convenuti, degustando pietanze deliziose, frittatine prelibate, formaggi delicati e salumi saporiti, il tutto innaffiato da un nettare divino, hanno ritenuto all’uopo di speculare sulla necessità di salvare alberi e uccelli dello storico rio. Attorno al desco, dodici cavalieri, tra la meglio imprenditoria e alla presenza sapiente e colta di eminenti intellettuali nostrani, hanno dato sfoggio della loro “capiscienza”, circa il destino del Capodifiume, diretti e corretti dal nobile assessore, affabile e cortese anfitrione.
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