Il mondo cambia e con esso tutto si trasforma, dalla geo-politica all’economia, dai sistemi tecnologici ai modelli di apprendimento. I saperi culturali hanno iniziato ad esigere ambienti molto più dinamici per la costruzione di una più ampia conoscenza e per una ricerca scientifica mirata, strutturata e progressiva. I tre pilastri fondamentali negli assetti organizzativi e manageriali come l’istruzione, la formazione e la ricerca, guardano con profondo interesse verso le risorse umane, alla loro utilità, capacità e competenze. Tuttavia anche questo ambiente è diventato oggi un campo di battaglia, the War of Human Skills potremmo chiamarla, infatti oggi l’evoluzione, specialmente quella tecnologica, la conquista economica e quella geo-politica, passano attraverso le capacità delle risorse umane. Riorganizzarsi, ma ancor prima reinventarsi modelli formativi all’avanguardia a carattere strategico, rafforzerà tutto la struttura della difesa e della sicurezza, di istituzioni, aziende e privati.
Il concetto di economia della conoscenza, ideato da Peter Drucker, il quale intende ed evidenzia i legami tra i processi di apprendimento, competitività e innovazione, negli ultimi anni ha contribuito ad edificare una geografia più estesa in termini di professional skills in qualsiasi ambito lavorativo e professionale. I processi di trasformazione, ai quali questi hanno dovuto guardare con profondo interesse, si sono rilevati straordinariamente adattivi per le performance alle quali sono stati chiamati per ovvietà di evoluzione tecnologica, comunicativa e non da meno esplicativa nei compiti loro assegnati. Non meno importante è stato anche il contributo che l’economia della conoscenza ha portato alla crescita dell’interesse verso la formulazione di nuove teorie e paradigmi, che hanno stimolato le organizzazioni, istituzionali e non, ad avvicinarsi sempre più ad investire sulle risorse umane.
L’industrializzazione della Information Tecnology con l’apporto dell’Intelligenza Artificiale ne hanno in seguito tracciato significativi strumenti, atti a far si che la conoscenza diventasse lo straordinario sentiero dove instradare i presupposti per sostenere, incrementare e divulgare la cultura della formazione, dell’istruzione e della ricerca. Tuttavia ci sono ancora spazi da colmare tra il fabbisogno strutturale, che qualsivoglia strategia evidenzia nella sua stratificazione culturale, e la conciliazione di questa con le metodologie più avanzate, per una panificazione formativa dei stakeholder coinvolti nelle organizzazioni e gestione della sicurezza e della difesa, sia in termini istituzionali sia in quelli privati.
Queste, nel panorama internazionale non sono e non devono essere escluse dal concetto di concorrenza tra le nazioni. Se guardiamo a quei paesi che attualmente si affacciano sul “mercato” internazionale, sfoggiando una “ingenua operatività” concorrenziale sull’economia, e lo facciamo con cognizione osservativa, analizzandone i presupposti politici, ci risulterà semplice intravederne anche una competizione in fatto di primeggiare sulla efficienza difensiva. Un agonismo questo che, come sappiamo, porta una qualsivoglia nazione ad essere privilegiata su diversi aspetti nel contest della geographical supremacy.
Qui nasce, non l’esigenza ma, una tipologia di esigenza che si distanzia notevolmente da quelle dapprima conosciute e magari soddisfatte attraverso semplificazioni istruttive.
L’educational community sa bene quanto una nuova strategia formativa sia oggi necessaria, per affrontare le minacce concorrenziali, in fatto di supremazia difensiva. La formazione, sugli assets difensivi e non da meno su quelli della sicurezza, non può più concedersi la prerogativa di affidarsi agli stereotipi formativi del passato, in quanto questi avevano un ciclo strategico istruttivo circoscritto, quindi non guardavano, ancora, alla necessità di interagire con: la tecnologia, la cyber warfare, la cyber defense, l’Advanced Persistent Threat. Gli ambienti futuri, interni ed esterni, attenzionati da interventi e/o operazioni di sicurezza e difesa, esigeranno sempre più condizioni particolari di conoscenza, spazi in cui la scienza e la tecnologia diventano fattori essenziali da inserire nei contenitori formativi nazionali.
Per sopravvivere in questi ambienti tutte le organizzazioni devono concentrarsi e cooperare per una trasformazione e rigenerazione del pensiero culturale nazionale, che sia prepositivo per una ricerca mirata e una rivisitazione delle materie e delle metodologie formative, nonché integrante alle strategie dinamiche e risolutive, in tutti i processi riguardanti i settori della difesa, sicurezza, politica, economia e sociale del Paese. In pratica, l’Italia deve diventare un grande laboratorio produttivo culturale, che affronti con diligenza operativa le più svariate tematiche introduttive, continuative e/o persistenti e conclusive produttive, in fatto di soluzioni all’avanguardia per i diversi campi operativi. Gli assetti organizzativi e manageriali nel campo dell’istruzione, formazione e ricerca per la difesa del Paese non sempre vengono percepiti come attori abilitanti la progettazione di nuove strategie, messe all’avanguardia di soluzioni univoche per realizzare, attraverso la conoscenza, scudi protettivi contro minacce e attacchi di ogni tipo.
Questo perché spesso ci si dimentica di strutturare il concetto di strategia con i servienti della conoscenza stessa, attraverso una condotta scientifica, che abbia anche e soprattutto una visione futuristica; ovvero proiettata nel futuro, considerando anche alcune funzioni cognitive e creative. L’arco temporale della strategia formativa deve avere quindi una continuità, una valenza e una sinergia, ma dovrà essere anche capace di realizzare risultati immediati e a seconda delle necessità istruttive: priorità e obiettivi. In tale contesto ovviamente rientrano anche le capacità e/o se si preferisce gli abilitanti, come: la Technical and Methodological Knowledge; la Decision Analysis Skills; l’Abilty to Transfer Knowledge and Skills.
Oggi, a seguito anche dello status pandemico in cui versa la nazione, l’ambiente istruttivo, deputato alla produzione di cultura, rischia seri danni, uno tra tutti restare indietro e dar spazio alla competitività, ormai molto diffusa anche in questo settore. Per cui diviene fondamentale valorizzare ancor più il capitale umano, il quale in questa palese discontinuità e multi varietà degli assetti dinamici della globalizzazione, ne diventa ancor più che necessaria una prospettiva di grande valorizzazione anche per l’intera nazione.
Il filo conduttore che lega le teorie ai metodi e i processi agli strumenti, per far si che la valorizzazione si trasformi in competenza e questa in asset, lo si trova fondamentalmente nel ricercare e osservare, valutare e promuovere le persone e le loro competenze.
Il quadro che oggi, in epoca Covid, si presenta per i settori difensivi e per la sicurezza diffusa, da un lato propongono modelli interessanti di efficienza operativa, dall’altro e prorpio perché il concetto di sicurezza nazionale evolve senza preavvisi, necessita di alcune verifiche in ambito della progettualità, della pianificazione e della gestione. Qui la conoscenza, come capitale intellettuale, deve essere la sintesi propedeutica per individuare elementi di analisi per uno sviluppo rigenerativo delle metodologie formative, che guardino essenzialmente verso una strategia di sicurezza, stimolando altresì le capacità di ogni soggetto istituzionale e privato, nell’affrontare e superare tempi a forte impatto di difficoltà.
Gli scenari socio-economici, la globalizzata concorrenza e le varie incontrollate corse di alcuni Paesi verso la supremazia nel mondo politico, miliare ed economico, impattano notevolmente sulla dimensione dell’efficienza e della stessa resilienza, se a queste non vengono contrapposti programmi e condizioni di una istruzione che mira essenzialmente ad una formazione interdisciplinare. Questo approccio o metodo, il quale fa del sapere la strada maestra delle risorse umane, sarà in condizione di affrontare qualsiasi esigenza che la nazione riscontri nei momenti in cui più conoscenze si avranno, più soluzioni si troveranno.
Rivolgere una maggiore attenzione alle risorse umane e porre queste nella centralità operativa, in qualsiasi contesto, per definire strumenti e metodologie risolutive, costituisce il tramite più veloce e risolutivo nello sconfiggere probabili minacce di qualsiasi tipo.
Anteporre la Human Resources e il capitale intellettuale nei contesti di qualsivoglia attività segnerà una straordinaria crescita produttiva sia sulle prestazioni che per valore di contenuti.
La drammaticità che la nostra nazione sta attualmente vivendo, al netto dell’effetto che il Covid-19 ha prodotto su tutto il territorio, è anche di tipo conoscitivo, valutativo, gestionale; ovvero, in diversi ambienti decisionali è venuta a mancare la conoscenza, in quelli operativi la valutazione e l’analisi e in quelli gestionali l’organizzazione e le disposizioni univoche.
Se a questo vi introduciamo anche i momenti critici che la pandemia sviluppa senza remore, ci troviamo in un quadro abbastanza problematico dove la knowledge stenta a manifestarsi. Oggi la nazione deve difendere la propria identità e lo può fare dirigendosi verso una gestione della conoscenza che sia priva di pregiudizi e approssimazione.
Istruzione e formazione professionale come costruttore della conoscenza e impiego di questa attraverso le risorse umane, ridurrà notevolmente le distanze tra il divario che c’è tra gli ambienti sopra detti e la reale qualità nella difesa del Paese. Tutti gli stakeholder dovranno offrire il proprio contributo per elevare il livello della cultura scientifica, tecnologica, sociale, economica e non da meno quella interessante l’Human Skills e le Capabilities.
Non è il momento di restare a guardare ma di accelerare, affinché si esplorino nuove dimensioni e sentieri culturali, addivenendo verso concetti e saperi strutturanti il paesaggio futuro e resiliente per l’intera Nazione.