Il deja vu di questa campagna elettorale ci riporta a quello che fu, nel 2017, un responso straordinariamente inaspettato; lo chiamavano “straniero” per delegittimare la sua candidatura e per farlo apparire come un estraneo agli occhi degli elettori. Quella volta il mantra del “forestiero” fu incredibilmente penalizzante e finì per produrre un sostanziale muro culturale tanto da impedire, o da limitare, qualsiasi altro confronto politico. In altre parole, l’espediente “straniero”, fu percepito dagli elettori come un qualcosa diverso, come il “nuovo”. Uno smacco decisamente accattivante che ha finito per sopprimere quell’animo patriottico dei capaccesi; con il grandissimo contributo dei risultati pessimi portati al tavolo da Voza nella precedente amministrazione. Quella volta vinse Palumbo con 7mila preferenze battendo Voza in quasi tutti i seggi.
Per il sindaco uscente fu un vero tonfo e, in virtù di questo, decise di abdicare sia dal ruolo istituzionale e sia da quello politico tradendo quello che era il mandato elettorale conferitogli. Un ritiro che diede piena legittimità al vincitore che non trovò alcuna opposizione sia dentro che fuori il consiglio. Fu la sua stessa maggioranza a tradire se stessa e Palumbo; e con essi anche le speranze rivoluzionarie che gli stessi “dissidenti” avevano tanto decantato. Una rivoluzione nella rivoluzione. Uno scontro duro e cruento che è finito con quel KO la vigilia di Natale. In un clima di altissima tensione mista alla delusine, Franco Palumbo, in uno dei giorni più grigi per la politica capaccese, uscì di scena.
Da allora il pensiero comune è stato quello di sostenere che gli elettori si fossero pentiti di aver dato fiducia ad uno “straniero” e che erano pronti a ritornare al “paterno ostello”; e dunque si è pensato di riproporre più o meno le stesse cose di due anni prima. Con persone totalmente diverse da quelle del 2017; questo va dato atto. Ma comunque, nonostante le varie epurazioni politiche, rimangono bene a mente agli elettori i motivi della bocciatura plateale al ballottaggio. Una azione politica scadente durata per cinque anni, ha aperto le porte a candidati che vengono fuori dalla “Valle dei Templi” e per questo chiamarli stranieri è un gravissimo autogol. E proprio loro (Sica e Voza) non hanno dato spazio ad un nuovo corso che avrebbe costretto l’elettorato a prenderne atto e dunque a premiarlo. Invece ci si è intestarditi con le solite pantomime che hanno aperto uno spiraglio diventato voragine.
I fenomeni Palumbo e Alfieri non accadono per caso, ma sono semplicemente il prodotto di 20 anni di fallimenti e di promesse disattese. Insomma, chi semina vento raccoglie tempesta.
Se ancora oggi Capaccio Paestum rischia di essere governata da un sindaco di fuori, questo è solo per merito, o per colpa, della vecchia politica. Ora schierata a urlare allo “Straniero!”.