di Giuseppe Liuccio
Un po’ dappertutto, nel territorio provinciale, ci sono monumenti e pagine di storia che ci richiamano alla memoria i nostri Padri Greci e Romani, che hanno lasciato tracce del loro passaggio. Una delle località più emblematiche di questa ossificazione della storia passata, che spesso si riattualizza e diventa vademecum di vita anche per il presente, è fuori dubbio Paestum.
La città dissepolta della Magna Grecia, punto di approdo e snodo delle rotte del Mediterraneo, che influenzarono cultura, economia e costumi dei territori di mare, sempre, e di quelli dell’interno, qualche volta, accende interesse e attenzione giustificata sul tema, soprattutto d’estate, quando si organizzano manifestazioni nell’Area Archeologica, alcune di buon livello, altre discutibili, alcune, infine, decisamente da condannare e disertare. Ma tutto fa massa e circuita buoni affari per i ristoranti e le pizzerie. E non si va tanto per il sottile.
Ne ho scritto e parlato a lungo per amore di cultura, innanzitutto, ma anche per orgoglio di identità e di appartenenza, giacché è la terra che mi ha dato i natali e, nel mio vagabondaggio inquieto ed irrequieto per l’Italia e per il mondo, l’ho sempre considerata la mia Itaca, il mio porto/quiete a recupero di ricordi personali e di memorie collettive.
Anche per questo mi piacerebbe che i miei conterranei, pensassero GRECO ed agissero ROMANO, riscoprendo parte di vocabolario e prassi quotidiana dei Nostri Antenati.
I Greci usavano la parola UBRIS per sottolineare la tracotanza, caricandola, però, di un significato più profondo, quasi sacro, per esprimere una sorta di oltraggio agli dei, per cieco e bieco atto di superbia.
Come contrappeso ricorrevano al termine SOFROSUNE per sottolineare saggezza ponderata a ristabilire l’equilibrio. C’era, poi, un terzo termine, ATARASSIA (imperturbabilità) coniato dai filosofi per indicare serenità d’animo di fronte agli eventi, ma che, nell’uso della quotidianità, ebbe una accezione meno nobile, per sottolineare indifferenza o, più volgarmente, menefreghismo.
Mi dispiace registrare che oggi a Paestum c’è traccia tangibile di “ubris”, là dove occorrerebbe una buona dose di “sofrosune”. Volteggiano per il territorio schegge impazzite di “ubris” in molti degli amministratori comunali e delle società che gestiscono servizi e funzioni in nome e per conto dell’Ente locale. C’è tracotanza ed arroganza nella manifesta volontà di reiterare esperienze amministrative decisamente fallimentari che si giustificano solo per insaziabile sete di potere, o per sciocca ripicca.
Non c’è ancora traccia di robusta “sofrosune” da parte di quasi tutti, alcuni dei quali ne dovrebbero avere da vendere per intelligenza e cultura di base. Sullo sfondo l’ “atarassia” di intellettuali, imprenditori, vasta società civile, che assistono “indifferenti”, o quasi, alla casa che brucia senza lanciare l’SOS dei soccorsi e limitare i danni. Stanno a guardare; non scendono in campo, hanno paura di “sporcarsi” con la politica, ma al momento opportuno masticano amaro e non risparmiano giudizi taglienti e condanne sommarie per quanti, presi dal sacro furore dell’impegno civile, annunziano la decisione di scendere in campo. Lo fanno, però, nei conciliaboli privati, nelle chiacchiere da carbonari, ma quasi mai alla luce del sole, assumendosi paternità di giudizi e proponendo alternative credibili. Per loro potrei tirar fuori almeno altri tre termini del vocabolario greco: “apatia”, “abulia”, “afasia”. In cui l’alfa privativa sta ad indicare che manca loro il “pathos” interiore che metta “thumos”, sangue ed entusiasmo a cuore, anima e pensieri e trasformi l’abulia in volontà attiva e propositiva e trasformi l’afasia in voce alta e forte a proclamare l’impegno convinto che trasforma ogni uomo in “cittadino” consapevole della partecipazione per far crescere e progredire la propria collettività.
E vengo, così, alla necessità doverosa e all’ “ETICA DELLA RESPONSABILITÀ” che dovrebbero contagiare i miei conterranei sulla scia dell’esempio dei Padri Romani e Lucani, questa volta, che erano uomini del fare, delle decisioni rapide e dell’attività feconda, che dava risultati concreti, della “prassi”. Infatti, dopo le ultime tormentate vicende dell’Amministrazione Voza, che nell’arco degli ultimi due/tre mesi ha cambiato diverse volte la Giunta, c’è la convinzione diffusa che al prossimo turno di primavera anche a Capaccio Paestum si andrà alle elezioni anticipate. Ed è molto frequentato lo sport del toto candidati. Ed io, continuando l’analisi dei termini legati agli eventi elettorali vorrei ricordare anche che il termine “candidato” viene proprio dalla lingua latina e sta ad indicare che i romani pretesero che quelli che aspiravano alle cariche pubbliche elettive si presentassero ai “comitia” del “forum” con la tunica rigidamente bianca, immacolata, a testimoniare la loro pulizia ed il loro candore morale, condizione indispensabile per ottenere la fiducia attraverso l’espressione del voto, e, dare, naturalmente, inequivocabile prova di competenza, professionalità ed affidabilità. Domanda conclusiva: esiste in una città di oltre 22,000 abitanti una squadra di 16/20 uomini in grado di dare garanzia di avere queste qualità, capaci, cioè, di “PENSARE GRECO ed AGIRE ROMANO” con competenza, professionalità, affidabilità e naturalmente, onestà a correttezza di comportamento, mettendo da parte, per una volta, i retropensieri di approvare il PUC con occhio attento all’inserimento di proprietà proprie o di familiari ed amici, e lasciandosi guidare dalla stessa polare della CULTURA, che contrariamente ad una sciocca convinzione diffusa, è da considerarsi attività produttiva in grado di produrre ricchezza ed occupazione e fare, quindi, dell’impegno “INVESTIRE IN CULTURA” la bandiera/logo della propria campagna elettorale?
Me lo auguro di tutto cuore e lo auguro alla mia terra. Temo, però, che il mio resti soltanto un augurio, a giudicare dagli ultimi eventi tragicomici , che hanno portato alla scellerata decisione dell’insediamento della CENTRALE DI BIOMASSA nella località Sorbella, che costituirà un attentato costante alla salute dei cittadini e distruggerà una delle zone più feconde per l’agricoltura di qualità della Piana del Sele. Nell’alternarsi tragicomica, è il termine più calzante delle prese di posizione e dello scaricabarile delle responsabilità emerge, tanto per tornare al tema centrale di questo mio articolo, che nei rappresentanti dei pubblici poteri è stata ed è presente una buona dose di “ubris”, la quasi totale assenza di “sofrosune” ed un invasivo e pervasivo atteggiamento di “atarassia”/menefreghismo, con il contorno inquietante di tanta “abulia”, “afasia” ed “apatia” della opinione pubblica, salvo qualche lodevole eccezione di voce discorde (apprezzabile l’appello responsabile dell’amico Enzo Sica, già sindaco della città!). Che tristezza il panorama di deserto culturale e di disimpegno civile in un territorio riconosciuto ed acclamato “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco!