Gli storici che hanno familiarità con gli archivi polverosi sostengono che fu Monticello il primo nucleo abitato all’indomani della migrazione forzata verso l’interno di quanti riuscirono a sopravvivere alla crudele rappresaglia di Federico II in seguito alla Congiura dei Baroni. Lo scheletro del castello sullo sperone di roccia del Calpazio è quel che resta di un evento che rivoluzionò la geografia politica del territorio. Di quell’evento e del relativo periodo storico si è occupato l’amico Gaetano Ricco in una pregevole pubblicazione, che consiglio di leggere soprattutto a quanti si accingono a governare a Capaccio Paestum, se, come spero fortemente, vogliono recuperare la straordinaria storia medioevale del territorio. E Monticello scopre con ospitale disinvoltura le sue origini a chi sappia leggere sull’acciottolato sconnesso di strade e vicoli, sui portali di pietra di palazzi gentilizi (qualcuno vanta una cappella privata con quadri ed arredi lignei di non trascurabile pregio artistico e di straordinaria valenza storica), nella covata di case linde all’abbraccio di pergolati nella minuscola vallata ubriaca di profumi di macchia mediterranea. Centinaia di metri in salita e la Fontana dei Delfini è arredo d’arte sottovalutata, tra un vecchio frantoio a dominio di vallata ed il Palazzo Tasca con i segni di antica nobiltà e nuovo amore per orgoglio di appartenenza nel maestoso portale e la fortificazione del muro di cinta a tutela di giardino segreto. Poco più la Parrocchiale di San Pietro, che fu cattedrale di diocesi estesa e potente, testimone di vescovi santi e colti. L’orologio della Torre Campanaria ha scandito gioie e dolori della comunità ed ha registrato passioni politiche nel vecchio municipio a custodia ed arredo della piazza. A pochi metri la vecchia casa natale di Costabile Carducci reclama onore e dignità di museo vero per l’eroe eponimo della rivoluzione cilentana del ’48, Le sue spoglie riposano in una piccola chiesa di mare ad Acquafredda di Maratea. Alla memoria di Costabile Carducci ha dedicato anni di ricerche e studi l’amico capaccese doc Gaetano Puca ed alle sue pressioni sulle varie amministrazioni comunali succedutesi negli anni è dovuto un bel busto all’eroe che fa bella mostra di sé in fondo alla Villa Comunale del Tempone. Ancora centro metri e dopo la curva della provinciale per Trentinara una cancellata sgangherata si apre su quello che si chiamava e si chiama ancora “il giardino di Monsignore”. Il monsignore in questione era don Francesco Guazzo, a cui Il prof Luigi Rossi ha dedicato, di recente, una documentata biografia con immancabili notizie preziosissime su Capaccio e la sua omonima diocesi, che cessò di esistere nel 1944, se non ricordo male, per trasferire poi tradizione storica e governo delle anime a Vallo della Lucania. Del giardino restano erbacce rigogliose al posto dei fiori ed il ricordo di quello che fu un incero pergolato. Meno di cento metri più su c’era lo studio fotografico Palumbo che registrò le fasi evolutive di quelli della mia generazione nei clic lampeggianti e svaporanti delle vecchie macchine fotografiche. Di seguito s’apre la strada del vecchio centro a ridosso della chiesa e prosegue zig-zagante tra bei palazzi e minuscoli giardini, testimoni di censo e di casato: Tanza, Rubini, Granato, Bellelli. Ed “e-voca”, nell’accezione latina del termine, belle pagine di gesta di esponenti di famiglie prestigiose impegnati con successo nelle attività professionali e nella politica, ma anche di laceranti risse da invidia e dispetti reciproci. In meno di 500 metri di strada è concentrata una fetta di storia del Cilento proprio per il ruolo che Capaccio recitò come centro di diocesi e di principato su di un vasto territorio. Qualche decennio fa o giù di lì fu organizzata una mostra straordinaria nella Certosa di Padula dal titolo indovinato “Il CILENTO RITROVATO”, che lodevolmente il direttore dell’area Archeologica di Paestum, prof Gabriel Zuchtriegel, ripropone nei locali del Museo. C’è da sottolineare , con profondo disappunto, che nessuna delle amministrazioni che si sono susseguite dal dopoguerra ad oggi ha avuto il buongusto di riproporre con convegni, seminari e ricerche di studi rigorosi per pubblicazioni di spessore ed hanno fatto cadere nel dimenticatoio episodi e personaggi della storia recente e meno recente. Così come hanno consentito che cadesse nel degrado uno dei più belli e ricchi di memorie e di testimonianze d’arte come quello di Capaccio. Va dato atto a Nicola Ragni, che ha posto l’accento sul recupero e valorizzazione del Centro Storico, calendarizzandone la eventuale realizzazione nel suo programma elettorale, a cui con grande tempismo, intelligenza e lungimiranza si è agganciato Francesco Palumbo. Per il resto silenzio o quasi, almeno come proposte scritte. Gli altri ne avranno, forse, parlato nei comizi, almeno spero. Mi auguro fortemente che in questi ultimi dieci giorni di campagna elettorale per il ballottaggio si mettano da parte le polemiche di pessimo gusto sul candidato “forestiero” ed “usurpatore”, frutto avvelenato di un municipalismo asfittico ed improduttivo, retaggio di una visione arrogante, antistorica e di casta della democrazia rappresentativa, per affrontare e confrontarsi, invece, sulla progettualità, per ridare, così, a Capaccio Capoluogo, oltre che a Paestum ed alla pianura, un futuro di grande sviluppo civile nel segno della CULTURA come la storia consente, consiglia e pretende a parziale riparazione dei decenni di mortificazione ed umiliazione. A proposito dei personaggi storici che hanno subito l’onta della dimenticanza/oblio sento il dovere di onestà intellettuale di citarne almeno uno, Gennaro BELLELLI, su cui Costabile CARDUCCI poté contare incondizionatamente nella sua avventura rivoluzionaria del ’48. Bellelli fu l’anima del comitato liberale di Napoli, essendone il cassiere, l’ideologo e l’ispiratore, anche attraverso le pagine del giornale “Il Nazionale”, di cui era direttore. Per lui non dovette essere una scelta facile e gli tagliò, di certo, i ponti con la famiglia di origine che, per la scelta fatta, lo considerava, a dir poco, traviato e degenere. Un motivo in più per recuperarne la memoria ed esaltarla. Se ne ricordino sindaco ed assessore alla Cultura ed al Turismo futuri e lo inseriscano a caratteri cubitali nella loro agenda di lavoro. Così come debbono inserire anche in programma una viaggio esplorazione in tutto il demanio comunale del capoluogo, per individuare passeggiate attraverso sentieri attrezzati per valorizzarne immetterne della fruizione turistica almeno due: 1) La passeggiata/scoperta di Monticello a partire dalla strada all’imbocco con quella che sale da Pazzano e fino a alla Fontana dei Delfini. Io l’ho fatta diverse volte ed ho impressa nella memoria e nel cuore quella volta che mi ferirono di dolcezza gli cchi luminosi di una ragazza da un quadrato di finestra tra vasi di gerani in fiore e l’accenno tenero di saluto di una vecchia alle prese con la tovaglia da ricamo sulle scale di casa a margine di strada, mentre un bastardino randagio mi annusava, intelligente e curioso, e scodinzolava festoso. Un’altra volta ho goduto dell’ospitalità inappuntabile dei proprietari/gestori, del Castello del Principe, dove mi sono inebriato (era di primavera) dei profumi dei giardini ben curati e della chiesetta carica di storia Passai una serata piacevolissima tra poesie, canzoni e serenate cilentane. Ne ho tanta nostalgia nell’accezione dell’etimo greco del termine. Nostos=algos (desiderio amore malinconia di ritorno). Ripeterò presto l’esperienza. 2) Una passeggiata/scoperta lungo la via di campagna del Rione Castagneto, che parte dal Convento e attraversa tutta la zona alta della città, con ville appartate tra il verde. La feci di sera alcuni anni fa con la luna piena che occhieggiava, tra il fogliame dei castagni, dal blu lavagna del cielo tra festa di stelle luccicanti. Era da svenimento smemore lo spettacolo e la conseguente emozione. Non c’era bisogno di luce. C’erano quelle del cielo a fare da scena. Un’altra volta feci tutta la strada pedemontana dal Green Park alla sorgente “Capo re l’acqua”. Lungo lo stesso tragitto dell’acquedotto antico, che nasceva a Trentinara e portava l’acqua a Paestum. E ci sono ancora i resti archeologici a documentarne la storia. E c’è chi sostiene che l’etimo antico di Capaccio (caput aquae) derivi proprio da questa sorgente, capo re l’acqua in territorio di Trentinara. Forse un protocollo di intesa tra i due comuni contigui potrebbe riscrivere una gran bella pagina di storia, per la serie : QUANDO L’ARCHEOLOGIA LA STORIA E LA NATURA SI FANNO POESIA. Sottopongo l’idea proposta ai futuri amministratori che mi auguro saranno più sensibili di quelli del passato alla STORIA, alla CULTURA ed alla BELLEZZA. È la strada da percorrere fino in fondo per rinascere. Spetta al Cav. Francesco Palumbo lanciare la sfida. Quanto a me io in ognuno dei 10 giorni che mancano al ballottaggio scriverò un articolo per focalizzare temi e proposte delle singole contrade del vasto territorio del Comune di Capaccio Paestum con l’obiettivo che mi prefiggo da tempo: TRASFORMARE LE NUMEROSE CONTRADE DA ISOLE SPARPAGLIATE IN UN ARCIPELAGO DI CONNESSIONI DI FECONDE COMUNICAZIONI E CONSEGUENTE UNITARIETÀ DI SVILUPPO. Lo sento come dovere di intellettuale e di operatore della comunicazione e come atto d’amore per il territorio dove sono nato.
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