Quando le bufale pascolavano libere e solitarie nelle paludi della Piana di Paestum e la bonifica era di là da venire, nei terreni del Cafasso, comprati da Gaetano Bonvicini nel 1925, si coltivava frutta, ortaggi e verdure che, lavorati, venivano spediti e venduti nei mercati del Nord. Sono passati cent’anni da quella innovativa e proficua attività agricola messa in campo da un giovane e brillante agricoltore ravennate, ma della primigenia attività ortofrutticola, al Cafasso, non vi è più traccia.
Gaetano Bonvicini venne da Massa Lombarda fino Paestum per realizzare il sogno di un giardino fiorito di pesche, pere e susine. Le origini del nostro, nato in un borgo “Longobardo”, lo portarono inevitabilmente a tornare nella terra “Longobarda” per eccellenza, il “Sud Lomgobardo”. Lo stesso Borgo del Cafasso fu realizzato nel 1925 da Gaetano Bonvicini, nato a Massa Lombarda in provincia di Ravenna, nipote del Senatore Eugenio. Alla morte del padre Adolfo, Gaetano, fu costretto ad abbandonare la brillante carriera di ufficiale di Marina, per dedicarsi alla conduzione dell’impresa frutticola paterna. La decisione di comprare il feudo del Cafasso, fu presa da Bonvicini, mentre viaggiava verso Sud a bordo del treno Salerno-Reggio Calabria. L’inverno stava per finire, guardando dal finestrino, mentre il paesaggio della Piana di Paestum scorreva come un susseguirsi di fotogrammi a colori, notò che le piante di pesco erano già fiorite, nonostante la primavera non fosse ancora arrivata. La cosa lo impressionò favorevolmente, tanto da decidersi ad investire in quel del Cafasso. L’azienda del Cafasso di proprietà del Marchese Vincenzo Pinto che aveva sposato la Marchesa Maria Bellelli, fu comprata da Gaetano Bonvicini nel 1925. L’imprenditore Romagnolo, realizzando al Cafasso una moderna azienda agricola, aveva in animo di sconfiggere il divario socio-economico tra Nord e Sud. Le terre del Cafasso erano adatte per realizzare una efficiente e innovativa impresa agricola. Le condizioni pedoclimatiche favorevoli ad anticipare la fioritura, la maturazione e la ripresa vegetativa delle piante da frutto convinsero il Bonvicini a cimentarsi nell’impresa. Gaetano Bonvicini ebbe il merito di sviluppare una agricoltura di pregio nella Piana di Paestum. Dei 300 ettari del feudo del Cafasso, 80 furono impiantati a frutteto, pesche e susine, che con il marchio Bonvicini, facevano bella mostra di sé sui banchi dei mercati italiani ed esteri. Nei restanti 220 ettari si coltivavano anche erba medica, cereali e pomodori. La Tenuta del Cafasso fu bonificata dalle acque salmastre del “Capodifiume” che periodicamente allagava i terreni. Vennero realizzati il magazzino della frutta con annessa sala di lavorazione, opera d’architettura protorazionalista, che insieme alle case coloniche della stessa epoca facevano del Cafasso un Borgo di grande qualità architettonica. Purtroppo la insensibilità dei contemporanei a cancellato le tracce urbanistiche ed architettoniche degli anni ’30, prima con la distruzione delle facciate delle case coloniche e poi con la realizzazione di una delle rotonde più pericolose ed inutili della storia. Tutta la frutta e la verdura che si produceva al Cafassso, caricata su carri ferroviari, partiva per i mercati del Nord Italia, dell’Austria e della Germania. Fu costruito un binario di 1500mt che collegava il magazzino con la stazione di Capaccio Scalo. Sfruttando la pendenza, i carri merci, dalla stazione arrivavano per inerzia nel magazzino del Cafasso, una volta caricati venivano trainati da cavalli maremmani allo scalo ferroviario. Il tratto ferroviaro è ancora lì, quello che manca è il bucolico giardino fiorito di Gaetano Bonvicini. Il 10 luglio 1937 l’imprenditore muore e il Cafasso passa nelle mani di Carmine De Martino, deputato alla Camera. Dopo la frutta e la verdura il Cafasso diventa la patria del tabacco. De Martino fa costruire attorno al magazzino fatto dal Bonvicini, un enorme e splendido Tabacchificio, così com’è ora. Capannoni con alti e snelli pilastri di sostegno, per sorreggere “le ‘nserte” di foglie tabacco, che le tabacchine infilavano su puntuti paletti fino a bucarsi il pollice, sotto il sole a picco di una lunga e torrida estate pestana. Il tabacco non si produce più a Paestum, quello che rimane è l’archeologia industriale del tabacchificio. Il tabacchificio del Cafasso è stato definito, da Gillo Dorfles, come una tra le maggiori espressioni di archeologia industriale della Piana del Sele. Il Borgo del Cafasso rappresentava un esempio mirabile di come agli inizi degli anni ’20, l’imprenditoria ortofrutticola e l’industria del tabacco, abbiano contribuito alla creazione di insediamenti produttivi di pregio e di organismi urbanistici compiuti. Oggi tutto questo è stato dequalificato urbanisticamente e brutalizzato dall’abusivismo edificatorio, la realizzazione del sottopasso ferroviario e la distruzione della piazza antistante la chiesa con costruzione di una rotatoria inutile e pericolosa ne sono gli esempi emblematici. Il Tabacchificio del Cafasso, per Mario Napoli e Sergio Vecchio doveva diventare un museo, trasferire lì, le 450 lastre dipinte conservate negli scantinati del Museo Archeologico di Paestum, che pochi hanno visto, mai esposte e mai si potranno vedere, per fare del Tabacchificio del Cafasso, la più Grande Pinacoteca del Mondo Antico. I soloni del ministero hanno preferito, però, sprecare milioni di euro nella ricostruzione dei capannoni della ex Cirio. Ma a Paestum il Borgo agricolo del Cafasso, dopo Bonvicini e De Martino, è stato trasformato nel nulla. Un nulla che tutti vogliono riempire, chi con trecento appartamenti e chi con la valorizzazione e l’innovazione, ma nessuno si è posto mai il problema …ma il Cafasso cosa vuole?
Lucio Capo