Il popolo subisce le conseguenze della lenta evoluzione del ceto borghese, che incrementa il patrimonio fondiario prima insidiando e poi impossessandosi dei beni demaniali ed ecclesiastici. Le riforme propagandate nel 1799 avrebbero dovuto alleviare le tristi condizioni del popolo; ma i vantaggi tardano a venire. La nuova municipalità continua a usare i vecchi metodi di gestione economica e amministrativa. Gli enti locali sono controllati dai componenti della borghesia che diventano il bersaglio dell’odio popolare. Le inimicizie personali contribuiscono a creare una situazione di estrema instabilità, alla quale partecipano i contadini, che si schierano sempre con che, detenendo il reale potere , ha maggiori possibilità di risultare vincitore.
In un tessuto sociale estremamente fragile s’innesta un processo disgregativo quanto mai pernicioso. responsabile delle crisi riscontrate nei decenni successivi e che degenerano anche un endemico brigantaggio.
La borghesia, che difetta d’intuito e di energia, al proprio interno è divisa. Le fazioni inducono il popolo all’anarchia. In tutti i paesi, piccoli o grandi, scomparsa ogni ombra di autorità. violenti opportunisti sovvertono ogni cosa, incitano all’invasione delle terre demaniali e feudali allo scopo di dividersele o, più semplicemente, per rapina manomettono il pubblico danaro e favoriscono private vendette Si vive una triste pagina di criminalità collettiva. Si delineano alcuni aspetti di una società che vive in una fase di progressiva marginalità. Confuse aspirazioni ad un nuovo ordinamento politico e sociale non sfociano in credibili programmi. Intanto, nella borghesia si genera una grande paura, che blocca l’opera di riforma, mentre le masse, rimaste deluse, vanno convincendosi che l’unica giustizia possibile è quella ottenuta impugnando il fucile e, suonando a richiamo la tofa, scorrere la campagna
Tra le diverse interpretazioni dei fatti di questi anni per il Cilento sembra che la più adeguata sia quella che riscontra nei galantuomini, sia sanfedisti e sia repubblicani, il convincimento del pericolo costituito dall’insurrezione delle masse rispetto all’incerta e ambigua azione del governo nel consolidare le loro conquiste economiche e sociali. La paura persiste anche quando la coscienza di classe sollecita il processo di riforme realizzato durante il decennio murattiano, dopo il fallimento del tentativo repubblicano apparso troppo radicale. Il 1799 pone comunque le premesse che agevolano la conquista francese del 1806. Il nuovo governo riesce a captare il consenso di larghi strati della borghesia provinciale, che acquista crescente maggiore potere. Murat, pur conservando molti connotati paternalistici, tutela lo sviluppo delle libertà civili distruggendo i privilegi feudali, incamerando i beni ecclesiastici, affermando il nuovo concetto di proprietà, ritenendolo più adeguato per rispondere alle esigenze di sviluppo del ceto medio. Le aspirazioni economiche si collegano alla predilezione della borghesia per programmi moderati e non per slanci rivoluzionari o ardite trasformazioni sociali.
Il popolo precipita in un sostanziale isolamento: sia il tramestio impotente della dinastia borbonica, sorretta da vecchia concezione di governo e di vita, sia il lavorio riformatore del periodo francese passano al di sopra degli ideali e dei suoi bisogni. I ceti subalterni non riescono a cogliere le conseguenze dei profondi mutamenti in atto. Soprattutto nelle zone più marginali questa situazione appare molto radicata; infatti, aldilà di pochi proprietari e intellettuali, genere di vita e cultura non possono di certo essere migliorati da piccoli artigiani, contadini e braccianti che lottano per la sopravvivenza. Si determina anche l’impossibilità di avere un’efficiente gestione comunale. Non a caso si deve far ricorso sempre agli stessi individui, portatori di specifici interessi, per ottenere un minimo di funzionalità; infatti, quando vengono investiti di responsabilità amministrative esponenti dei ceti locali più poveri, i soprusi e le irregolarità sono anche maggiori.
Il governo incontra molte difficoltà nel realizzare le riforme necessarie per una azione moderna e incisiva dell’apparato statale. Molto spesso nei comuni non si trovano persone capaci di preparare gli stati discussi, a volte s’ignora l’ammontare delle rendite patrimoniali e delle tasse. A parte l’impegno di bilancio, le nuove disposizioni sui beni demaniali e l’eversione della feudalità bastano da soli a rendere complessa e impegnativa la vita del decurionato ad individui ben più preparati della media degli amministratori nei comuni cilentani.
Ancora più gravi e dannosi per il buon funzionamento della vita amministrativa sono gli effetti della piaga sociale del brigantaggio, che nel periodo francese almeno fino al 1811 rende vani i tentativi di riforma, rivelandosi il problema più impellente da risolvere . Domata la rivoluzione e ritornato Ferdinando IV era iniziata la repressione contro i giacobini e repubblicani. Alcuni, per sfuggire alle persecuzioni, per reazione ai soprusi, per attaccamento alla causa repubblicana, per innata disposizione al delitto si erano dati alla macchia facendo diffondere enormemente la delinquenza. Il circondano di Vallo divenne ricettacolo di malfattori che commettono ogni sorta di violenze. Ma se dal 1800 al 1805 il brigantaggio era stato caratterizzato da una matrice repubblicana, dal 1806 al 1811 fu strumentalizzato dalla dinastia borbonica e dagli inglesi.
Nel Cilento questo flagello sociale assume proporzioni spaventose e preoccupanti perché i briganti ricevono dal vasto litorale istruzioni ed aiuti dalla flotta inglese e dalla corte residente a Palermo. Per oltre un anno, tra il 1810 e il 1811, le marine di Maratea, Pisciotta Centola e Ascea vivono sotto l’impero del terrore . Questo dato da solo può essere sufficientemente indicativo del ritardo, della debolezza e delle contraddizioni del processo costitutivo della borghesia agraria cilentana.
L’impatto del regime murattiano con evidenti accentuazioni burocratiche e livellatrici in una società estremamente chiusa e arcaica, retta da un economia di pura sussistenza e sconvolta da forti tensioni tra emergente borghesia e masse rurali, non può non risultare drammatico. Ideologia e motivazioni politiche contingenti restano sullo sfondo del grande incendio del brigantaggio, non ne costituiscono le motivazioni di fondo. Nelle sue manifestazioni più eclatanti il ritmo delle ondate criminali viene scandito dalla fame e dall’eccessiva pressione demografica. A caratterizzare l’eccezionale virulenza del brigantaggio anti-francese è il sovrapporsi di due fattori, diversi ma concomitanti, l’uno congiunturale e l’altro strutturale. Il primo è costituito dall’invasione, dalla caduta della dinastia, dal crollo delle fatiscenti strutture non solo materiali ma anche mentali dell’antico regime. L’altra causa rimanda ai tempi lunghi della storia del Cilento per il nesso tra processo costitutivo della borghesia e svuotamento del regime agrario comunitario con la conseguente emarginazione delle masse rurali. Nel Decennio si scatena così una colossale caccia all’uomo utilizzando una tattica di repressione militare rivelatasi efficace, che sarà posta in essere anche dopo il 1860.