“Quell’anno ci diedero la medaglia d’oro e ci premiarono abbasc’ i purcili. C’era il podestà”. ‘Ncè ietta mamma. I parenti miei stavano tra Ponte Barizzo e zì Felice era sceso a Policoro. Con i cani e i cavalli, lungo fiumi e valloni, e le armi n’accetta e nu fucile nascoste nelle vertole. I passaggi si chiamano spesso il ponte del chiainaro e il Varco del Cilentano. E la notte scura e fredda. Qualche casa, ‘na chiesa abbandonata, ‘na tenda sotto a n’albero. Nu cinghiale. Il paese mio era il più grande produttore di carne del salernitano. E gli altri vicini a noi manco scherzavano”. Io seguivo il discorso e sembravo capire. Erano i tempi dell’autarchia e il fascismo Piaggine e gli altri li tenevano in palmo di mano. Piazza S. Francesco a Salerno, agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, era un singolare salotto. Ci andavo spesso anch’io. Soprattutto quando c’era un bus per andare a Napoli che non fosse proprio molto puntuale. Mi ricordo un cortese anziano mentre tenta di raccontare ai suoi vicini di panchina la bellezza della natura della sua Piaggine, il Cervati, la ricchezza dei suoi armenti. E poi le carni. L’ultimo argomento raccoglie estimatori nei tanti che in quegli anni si spingevano fin lassù per andare a caccia. Chi, per vari motivi, si avviava a diventare ex cacciatore, fu autore poi delle scelte che poi ripopolarono le zone più montagnose del Cervati, del Cilento e delle altre montagne delle salernitane. Ed è lì che sentii parlare di Angelo Avagliano, sua moglie e le sue figlie. “Stu barista re ‘’ca, me pare re Portanova, le ha portate sopra Pruno. Si sono fatte una casa. Vivono già là. Vicino a Laurino. Dalle parti di S. Elena. I problemi ci saranno adesso che le figliole dovranno andare a scuola. Sono venuti per fare la vita come i nostri antenati. La fisarmonica, il vino buono, il grano di una volta, la carusella”. Sì, la prima volta che sentii raccontare di Angelo Avagliano… fu a Salerno. La sua scelta di abbandonare la città fece notizia soprattutto da quelle parti. Il suo mondo era quello della sinistra libertaria che cercava nuove forme di vita. Angelo buttò l’ostacolo a altre novanta chilometri e ci mise le radici. Mise in movimento quel piccolo mondo disperso tra Rofrano, Laurino, Piaggine e Valle dell’Angelo. La sua presenza portò da quelle parti di mondo metropolitano e per una volta non erano ex cacciatori o aspiranti cooperatori hippy. Angelo poi è allegro e fantasioso, non indulge in scelte estremiste. Cerca il coinvolgimento delle popolazioni locali. L’esperimento ha avuto successo, “Tempo del Fico” è conosciuta, mentre le sue iniziative, come per esempio la “Ciucciopolitania” (trasporto via asini) porta fino a Sapri. I sindaci di Laurino e Valle dell’Angelo gli guardano con simpatia.
Altra cosa è la “via dolce” all’agriturismo, una sorta di Michelin fatta in casa, il passa parola, con la pasta fatta in casa di Nicolina, gli arrosti di zì Francesco. Sono le strade che hanno aperto la strada agli agriturismi di oggi. Il nome di quell’anziano non lo ricordo più. Mi ricordo ancora come se avesse una diffidenza da superare se gli dimostravi interesse per gli appartamenti che prima ti aveva detto di possedere, insieme con le lauree dei figli. Il medico e l’avvocato. Voleva sapere e non dire, d’altronde anch’io partivo per Napoli, potevo essere un concorrente. Quello per me era il giorno giusto. Avevo tempo da spendere, o meglio perdere, per ascoltare. In realtà amavo perderlo. Atteggiamento per lui incomprensibile. Il mio interlocutore mi rilevava sempre quei pascoli, pecore e buoi che sopravvivevano ai lupi. Che bisognava custodire. Per altri anni quando incrociavo i Monte dei Paschi di Siena il mio pensiero andava a Piaggine. A Piaggine ci avevo abitato, per motivi di lavoro, tre mesi. Una full immersion solo all’interno del centro urbano, perché in bus tornare a Salerno, ci volevano almeno tre mesi. L’esperienza fu molto bella. Una bellezza paesaggistica senza precedenti, soprattutto vicino alla “sorgente” sul Calore, e poi le storie di quei bovari che poco avevano da invidiare ai bovari del West. E i briganti, con i giacobini e i sanfedisti. Racconti ancora vivi. “Avessi previsto tutto quanto, virtù e pretesti”, l’incontro con la scrittura, i computer e internet… la scelta che poi fece Angelo Avagliano e famiglia, l’avrei fatta io. A poco più di novanta chilometri da un Salerno ma è un mondo altro di antropologia culturale e di geologia. Nei decenni scorsi era il mondo dei cacciatori o di coloro che avevano investito in città e continuavano a raccontare ai cittadini. Poi è arrivato il cinema. Ricordate “Il testimone” con Harrison Ford, o “la fuga di Marta”? Entrambi sono ambientati tra gli amish, una popolazione americana che rifiuta il progresso e i parametri della nostra civiltà. Qualcosa di simile c’è a 90 km da Salerno, alle falde del monte Cervati, il tetto della Campania. Sono assai poco conosciuti per via della loro rinomata riservatezza. Eppure annoverano perfino una Santa, l’anacoreta S. Elena Consalvo. I prunesi (chiamati «zii» in segno di rispetto per l’età) sono una civiltà a rischio di estinzione. Sono lì per la battaglia di un giovane sindaco neuropsichiatra che sta cercando di fare di Pruno una colonia per bambini «metropolitani», digiuni di aria pura e convinti che il latte sgorghi da scatole di Tetrapak al supermercato. Le prime colonie rurali sono state un successo. Anche per gli anziani di Pruno che hanno visto bambini vestiti all’ultima moda e armati di Gameboy scorrazzare nelle loro fattorie e rimanere incantati davanti a conigli, galli e capre in carne e ossa.