È bastato un anno per dimenticare il piacere responsabile del dialogo, quel guardarsi, incontrandosi nel pensiero dell’altro come in una piazza all’alba, quando tutto può ancora cominciare. È bastato un anno per ritrovarci tra innumerevoli steccati, e continuiamo a costruirne con perizia di carpentieri. Ormai parliamo soltanto nell’incongruità di una fredda e insuperabile distanza. Se allora, quando potevamo incontrarci, riunirci e contraddirci in interminabili discorsi, era difficile conoscersi, ora (chiusi nella finzione di un’immagine) è diventato un risibile esercizio. Ognuno ha “una sola vita da raccontare”, scrive Ingeborg Bachmann ne “Il trentesimo anno” (1961): ed è un racconto difficile che…
Autore: Rino Mele
Alfonso Mangone ha le sue radici in un particolare impressionismo onirico, il sogno futuro delle città. La natura, per lui, non è fatta di alberi, fiumi, nuvole, ma treni, strade sopraelevate, metropolitane inghiottite dalla disperazione delle notti europee, i pochi uomini calcificati. Affronta questa natura industriale con spregiudicatezza: non c’è niente oltre la nebbia solida che investe le nostre città, una domestica irriconoscibilità che non conserva nemmeno il riscatto della voce. Mangone si rifà alla cultura pittorica di fine Ottocento, sulla sponda del secolo nuovo, il suo maestro è Van Gogh suicida che sprofonda nell’Ade con l’orecchio tagliato nascosto in…