Autore: L.R.

Nei paesi della diocesi il fascismo si affermò non per la vittoria dello squadrismo agrario contro organizzazioni socialiste e cattoliche, ma per la debolezza della vita civile e il conformismo trasformista della classe dirigente. Le tensioni sociali furono contenute restaurando la prassi contrattuale e la contadinizzazione di vaste aree; diminuirono tendenzialmente le dimensioni aziendali con la vendita o la cessione in fitto di piccoli lotti, il passaggio di molti terreni alla conduzione diretta, un notevole aumento delle superfici condotte in affitto o a mezzadria. Si rivalutò il ruolo della rendita fondiaria e, di conseguenza, fu compresso il reddito dei contadini.…

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Nei paesi della diocesi dopo la Grande Guerra mutava lentamente il panorama politico. Accanto alla democrazia liberale nittiana, un ruolo importante fu svolto dalla democrazia costituzionale legata a Giolitti e della quale il capo riconosciuto era l’on. Camera. Il sistema proporzionale aveva costretto i politici locali, dominatori nei vecchi collegi uninominali, ad allearsi. Non si ebbe, perciò, la temuta affermazione di socialisti e di popolari, come nel Centro-Nord. Durante le competizioni elettorali i gravi problemi e gli scontri politici nazionali nel Cilento trovarono pallidi riflessi; la lotta continuava ad essere incentrata sullo scontro tra candidati. Il suffragio universale si misurava…

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La politica delle nomine seguita dalla curia romana prestava accresciuta attenzione alle tradizioni ecclesiastiche regionali, di cui i presuli erano emanazione e, quanto, a condizione sociale, iniziò la progressiva prevalenza di estrazione borghese dei prescelti. Queste motivazioni si riscontrarono nel successore di mons. Maglione per la diocesi di Capaccio-Vallo, dove lo sviluppo delle attività sociali e l’azione politica dei cattolici erano pressoché inesistenti. Anche dopo la Rerum Novarum erano pochi e male organizzati i comitati parrocchiali; aspetti precipui della tradizionale mentalità legittimista, il regionalismo, clientelismo e trasformismo ostacolavano efficaci programmi. I limiti erano aggravati dall’assenza dell’associazionismo mutualistico cattolico. In una…

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Il 18 dicembre 1876, fu nominato successore di Siciliani mons. Maglione. Nato ad Eboli il 27 gennaio 1834, era stato nominato vescovo di Cariati il 15 giugno 1874 e fin dall’inizio egli dovette sperimentare cosa significasse avere a che fare con funzionari statali decisamente anti-clericali. Attese due anni l’exquatur perché l’economo generale dei benefici vacanti riteneva la diocesi di regio patronato. La disputa ebbe gravi conseguenze sulla già disastrata diocesi, come dichiarò il guardasigilli nella memoria del 5 luglio 1878, ma il placet fu concesso solo l’8 febbraio 1879.L’episcopato di mons. Maglione si riassume nella continua azione di rivendica di…

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La vicenda di padre Giuseppe Feola, giustiziato da Tardio, il bandito responsabile di tre anni di guerriglia nel Cilento, rivela la portata del brigantaggio, funesto sintomo della reazione ai mutamenti e alle disillusioni del processo di unificazione. Non era una novità. Già prima del 1860 appariva un fenomeno endemico, che si dilatava durante persistenti crisi economiche. I sintomi di devianza d’individui e di gruppi assumevano connotazioni di protesta violenta che esaltava miti collettivi di vendetta contro episodi d’insopportabile ingiustizia. Tuttavia è difficile rinvenire nella criminalità di questi decenni le caratteristiche del banditismo sociale descritte da Hobsbawn e da molti suoi…

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Una tradizione di studi ha accreditato l’idea di un clero napoletano impegnato nel delegittimare l’Italia unita ponendo scarsa attenzione al fatto che il trapasso di regime nelle diocesi fosse avvenuto senza gradualità col passaggio dal regime concordatario all’alienazione forzata dei beni. In effetti, senza nostalgie sanfediste i presuli difendevano all’assetto sancito nel 1818; ma la loro reazione ai principi di laicità non attirò l’attenzione del basso clero e soltanto un gruppo minoritario animò un movimento favorevole alla conciliazione accanto a gruppi carbonari e garibaldini.Gli ambienti cattolici vissero l’angosciosa tensione del clima di rivolta. Molti preti riducevano il sacerdozio a una…

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Terzo vescovo di Capaccio-Vallo fu Giovanni Battista Siciliani. Nato a Camposano il 12 settembre 1802, frequentò il seminario di Nola e a venti anni indossò il saio dei frati minori conventuali; novizio a Napoli, studiò teologia, diritto e storia nel collegio di S. Bonaventura a Roma. Conseguita la laurea, nel 1832 egli ritornò a Napoli; ordinato prete dal 1825, operò nella capitale partenopea e dal 1842 fu ministro provinciale dell’ordine, dal 1846 al 1857 segretario generale e procuratore a Roma. Per ventidue anni egli rivestì l’incarico di regio revisore dei libri nel Regno, esaminatore pro-sinodale della diocesi di Napoli e…

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Il primo vescovo della nuova diocesi è stato mons. Vincenzo Maria Marolda. Nato il 24 luglio 1803 a Muro Lucano, era un liguorino e nella congregazione aveva ricoperto prima la carica d’insegnante di lettere e poi quella di professore di teologia; in seguito, fu rettore, visitatore e consultore generale dell’ordine. Nel 1844 fu consacrato vescovo di Trapani e delegato all’erezione di quattro nuove sedi episcopali in Sicilia. Trasferito alla cattedra di Samosata, nel 1852 fu nominato amministratore apostolico di Capaccio-Vallo; morì di colera a Napoli 1’8 agosto 1854.La cittadina di Vallo, secondo i dati forniti dalla bolla papale, presentava tutti…

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Mons. Torrusio per rendere efficiente l’azione amministrativa pastorale aveva diviso la diocesi nei ripartimenti del Vallo di Diano, con sede della curia a Sala, e del Vallo di Novi e del Cilento, con sede della curia a Vallo della Lucania e, facendo suoi i propositi del predecessore, intendeva trasferire la propria residenza in questa cittadina avviando le pratiche canoniche ed i contatti col governo. Ma il suo dinamico disegno fu bloccato dalle vicende del 1799. Mons. Speranza scelse di risiedere in prevalenza a Novi, ma sollecitò l’individuazione di una nuova cattedrale perché quella di Capaccio Vecchio risultava inagibile. In Vaticano,…

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L’antropologia del microcosmo cilentano si caratterizzava per la precarietà del genere di vita e, quindi, per la dipendenza sociale, giuridica e culturale. Poche famiglie conducevano un’esistenza agita. Il codice di valori era condizionato dalla situazione economica e dalla posizione sociale, importante, perciò, il possesso, di terra, riferimento culturale che legava alla tradizione degli antenati e regolava con rigide leggi civiltà materiale ed ethos. Le ragioni socio-economiche e l’evoluzione culturale registrata minacciava i valori base sintetizzati nel binomio “roba e dio”. Nelle manifestazioni religiose e cultuali si determinava arretratezza di contenuti e di espressioni, con negative conseguenze sui costumi. Dopo la…

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