Autore: Anna Maria Pipolo

Anche quando c’era un minimo di istinto a disattendere, il giradischi agiva ad insaputa e una zavorra pesava da ogni lato, nelle decisioni da prendere negli anni, dalle più piccole alle più impegnative, sempre passate sotto la lente di quel microscopio che pian piano aggiungeva filtri: dal pare brutto al pare giusto e pare corretto, pare necessario e pare doveroso

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Una sensazione di privazione mi accompagnava anche da adulta, in ogni posto, in ogni impresa, anch’io sempre con una valigia di andata e ritorno. Di propositi all’andata, di regali e di oggetti scelti nelle vetrine al ritorno. Una sensazione di provvisorietà onnipresente, di sicurezza consolante solo quando mi ritrovavo su un mezzo di trasporto, a metà tra il punto A e il punto B, tra il prima e il dopo di qualcosa.

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Chi di noi non si sente un minuscolo atleta, intento a un’impresa, a un’ambizione, e misura nei decenni la posizione, il gradino, la prossima tappa o la vetta: è passata, è da venire…

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«Zia mi racconti una storia?» chiede la mia nipotina quando, in attesa della tavola pronta, si siede sul gradino di casa, i gomiti sulle ginocchia e la testa sui palmi, gli occhi inchiodati in faccia per impedire ogni rifiuto. Io che per età ho nella mente cose lontane tra quelle vado a pescare. Penso che quando avevo la sua età, in assenza di bambole e giocattoli, cercavo per strada bottigline vuote di profumi, scatolette, certi cubi d’argento usati sulle macchine fotografiche per fare il flash, oggetti buttati che mi servivano per scenette di fantasia. Le racconto di un mondo vero…

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Volevo essere anch’io un veicolo di cultura da grande, come i miei professori, conquistare la nobiltà delle parole che attirano gli sguardi, accendono fili. E invece mi sono ritrovata dietro le quinte della scuola, per più di quarant’anni. Erano gli anni dei “decreti delegati” che cambiavano l’impianto delle scuole, e nelle assunzioni capitai anch’io. Eravamo un sacco di giovani con scrivanie zeppe di anagrafiche, schede elettorali, libri di testo, inventari da fare nelle scuolette di campagna. Un collega anziano commentava da dietro una porta ma ti pare giusto, appena diplomati, già prendono uno stipendio? Bernardino il bidello comunale alzava le…

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Il brutto tempo dell’ultimo week end non ha intaccato l’entusiasmo per un minitrekking nella “Insolita Lucania”. C’ero già stata in Basilicata, di passaggio, e ricordavo i manti di erba verde a destra e sinistra dei finestrini, colline come le onde dei primi screen di Window… Ma ora che ci sono tornata, pure sotto una pioggerella grigia, i piedi erano pronti a calpestare l’entroterra, i boschi, le foglie secche e il percorso delle Sette Pietre, che da Pietrapertosa porta alle Dolomiti di Castelmezzano. Sette pietre che raccontano la storia d’amore del contadino Vito per una strega: sortilegio … ballo… delirio… Un…

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Non erano ancora gli anni settanta. Ero una bambina e avevo una rinite cronica, una tortura, perché il naso diventava una fontana perpetua e non bastavano due fazzoletti nella tasca del grembiule, che si inumidiva con un certo imbarazzo della mano e della faccia, soprattutto se la soffiata era stata rumorosa, una strobazzata. Nel paese c’era solo il medico generico, bravissimo, su tutto: la stanza d’attesa davanti alla porta di legno dello studio era piena di donne che muovevano uncinetti, aspettando di fare ricette, o farsi la siringa o perfino tirarsi un dente. Perché allora anche questo faceva il medico condotto.…

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Dire che la TV fa pena è ormai luogo comune. Ma il concerto di Capodanno, quello non me lo perdo, fossi pure sotto l’aurora boreale. Quello di Rai Uno, con le arie del melodramma italiano. Da cosa mi viene questa minipassione non so, visto che mai note musicali eccelse sono entrate nelle meningi d’infanzia, né poi. Eppure mi torna qualche scena, non so se raccontata o immaginata. Un giovane ha da poco lasciato le greggi su terre dove prendeva a calci le pietre facendo attenzione a non rovinare le scarpe, o si allenava a lanciarle su bersagli difficili. Le stoppie…

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Saucony Trial in borsa ogni volta che torno a Piaggine, per progetti di camminate impegnative che non sempre mantengo. Tra le geometrie familiari dei vicoli, scalini antichi coi bordi bianchi, una macina di pietra di un ex frantonio, zampette di ragni alle serrature di porte chiuse, dove vecchiette un tempo si affacciavano per chiedere Na né, ma tu a chi appartieni? Di solito salgo verso il monte Vivo, a cercare spazi aperti, echi di campane ai colli di vacche lontane, e mi spingo fino all’abbeveratoio poco sotto la cima, a fotografare come un ebete ogni volta la stessa cosa, il…

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