Di recente, facendo riferimento alle prossime elezioni amministrative, “Unico” ha contato 53 aspiranti sindaci per i comuni della Provincia e ben 772 candidati. Il fenomeno potrebbe essere considerato un dato positivo in termini di partecipazione e di stimolo democratico per procedere ad una scelta partecipata. Ma in tanti s’interrogano sulla eventuale preparazione dei futuri eletti, se sono in grado di svolgere la funzione per la quale si propongono. Sovente l’entusiasmo per la vittoria dura lo spazio di un mattino dopo aver costatato che la “stanza dei bottoni” non s’identifica con l’effettiva possibilità di esercitare in modo efficiente il potere amministrando nell’interesse del bene comune. Tra il dire programmatico in pochissimi comizi e in luoghi chiusi – per garantirsi strette di mano alla presenza di padrini pronti ad accreditare le qualità del candidato – e le effettive responsabilità per procedere con burocratica efficacia, c’è il mare magnum delle tante e minuziose disposizioni elencate in farraginosi regolamenti. Diventa allora indispensabile rivolgersi ai funzionari per essere istruiti sulle procedure. Si rinsalda così il primato della poliburocrazia, la quale fonda sulle proprie “competenze” tecniche e non sul consenso espresso dagli elettori la possibilità di orientare le decisioni. Sarebbe opportuno, quindi, riflettere anche sulle modalità utilizzate per essere annoverati in questo corpo di burocrati che tende a moltiplicarsi per la elefantiasi dei codici amministrativi, della prassi gestionale, degli apparati. Non solo. Il complesso delle competenze e degli individui che fanno parte del ceto burocratico a livello locale, da sempre uno dei mali del Mezzogiorno, viene consolidato dal primato delle decisioni politiche su tutte le forze sociali ed economiche attive nel perimetro comunale, mentre risulta ben radicato il convincimento che il leader debba mantenere sempre il primato sulle istituzioni. Ne deriva che i valori riconosciuti e premiati non sono la competenza, l’intransigenza, l’incorruttibile onestà, ma la fedeltà personale e in suo nome tutto si può chiedere e tutto si è disposti a fare.
È una situazione che va storicizzata superando la frammentazione dei fatti per considerare il problema dando credito anche ad una sua analitica lettura critica, esercizio culturale necessario anche in relazione a quanto affermano le scuole economiche per le quali risulta un grave errore animare, in nome del glocalismo, una competizione tra singoli operatori e non porre la dovuta attenzione alla costituzione di una rete capace di stimolare il territorio per rispondere alle esigenze dell’attuale organizzazione dei processi produttivi, alle logica del mercato, alla struttura economica complessiva. La situazione si rivela ancora più grave quando il senso di appartenenza, rinsaldato dal glocalismo, viene strumentalmente usato per raccogliere consensi.
Il discorso non è di poco conto in ambito regionale per le tante deleghe di potere concesse dello Stato centrale. Al suo interno la Campania non ha risolto problemi legati alla crisi di Napoli, dove sembrano persistere prassi tradizionali che esaltano più i privilegi che i diritti. Qualcuno potrebbe gioire immaginando di consolidare gli attuali orientamenti per radicare l’egemonia dei consensi dimenticando però che, nella storia plurisecolare del Mezzogiorno, soltanto quando Napoli sperimenta una congiuntura favorevole tutto il Sud ne trae beneficio. Perciò, un futuro di speranza per tutti richiede l’impegno a costruire funzioni in grado di ridisegnare nuovi ed armonici equilibri territoriali. Sono funzioni urbane che non s’identificano soltanto con la condizione di capoluogo. Implicano la possibilità di essere centro delle dinamiche di una politica espressione di afflati civici ed etici in grado di fornire gli stimoli culturali necessari per illuminare le prospettive future sapendo leggere anche nelle dinamiche di un passato da non dimenticare. In tal modo è possibile organizzare le strutture economiche e stimolare le ragioni di scambio per amalgamare caratteristiche locali e stimoli del mercato globale in una dinamica rispettosa del territorio e sensibile al bello e al buono. In tal modo, ritornando ad essere felix, la Campania può fornire il proprio originale contributo alla nazione italiana impegnata a rinverdire la propria identità e assicurare rispetto convinto e partecipe all’identità europea della quale non solo è partecipe ma indispensabile e riconosciuta forgiatrice.
Questi temi trovano riscontro nella preparazione e nell’esperienza dei 772 candidati che affollano le liste? Sono presenti nei programmi di chi ambisce a diventare sindaco? Animano i propositi di chi intende impegnarsi per amministrare i nostri paesi? Albergano nella mente degli elettori quando entreranno nel seggio?
Nel rispondere, facendo forza al pessimismo dell’intelligenza, ci appelliamo all’ottimismo della volontà corroborati dalla festa di Pentecoste della scorsa domenica.
Sappiamo che lo Spirito soffia dove vuole. Auspichiamo che irrori del suo respiro anche candidati, elettori ed eletti, convinti che non sopporta schemi e che le modalità della sua presenza consolatrice sono molteplici.
Leggero e quieto, questo sorriso di Dio è capace di rassicura ribadendo la sua fiducia a una comunità asfittica, alla quale è disposto a donare la pienezza della vita, l’energia, il coraggio. E’ pronto a riscaldare i cuori di chi intende mettere a disposizione degli altri i propri talenti confortato dal fatto che dello Spirito è piena la terra, perciò nessuno è escluso. Di conseguenza, nelle funzione delegate ricevute dalla volontà popolare, gli eletti hanno la possibilità di operare sempre e comunque per il bene comune.