Siamo alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, l’Italia è appena uscita da un difficile dopoguerra e si avvia, timidamente, sulla strada della ripresa e di quello che sarà poi definito boom economico. In quel decennio che iniziava la seconda metà del “secolo breve” gli italiani cominciarono a seguire l’annuale appuntamento del Festival di San Remo, mentre da oltre Atlantico Elvis Presley invitava i giovani a ballare il Rock and Roll. La RAI iniziava le sue prime trasmissioni televisive in bianco e nero, oltre Manica Elisabetta II succedeva al padre Giorgio VI sul trono del Regno Unito.
Il medico e ricercatore Albert Bruce Sabin scopre il vaccino antipolio, nei cinema si proiettano “Gioventù bruciata”, “Il Selvaggio” e “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini. Nelle librerie sono esposti i libri di Italo Calvino, Dino Buzzati, Beppe Fenoglio, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. La scena mondiale vede come protagonisti incontrastati Pio XII, Stalin, Eisenhower, De Gaulle, De Gasperi, Adenauer, questi ultimi già intenti a costruire una diversa Europa, unita e pacifica.
E’ la fine ottobre 1954 quando Salerno e le località vicine vengono investite, in una notte, da una violenta alluvione che provoca distruzioni e morti.
In questo contesto, in una piccola città del salernitano posta alle porte del Cilento, Attilio Grattacaso inizia a scrivere la storia di un sogno che diventa idea e di tante idee che diventano realtà. E, visto il contesto in cui si muoveva, forse fu ritenuto un “visionario”, che però ha dimostrato, alla lunga, di essere nel giusto, di avere ragione nel voler costruire “il sogno” stante il suo forte senso logico della realtà, che a volte trasforma gli sconfitti in vincitori e che spesso, pervasi da sana immaginazione, diventano autori di genialità.
L’avvio è la costruzione di una struttura insieme ad un socio: “la fabbrica di Cardillo e Grattacaso” la definivano i paesani. Lì commercializza manufatti in cemento avviando mobili in tutto il Sud Italia.
Inesperienza giovanile, qualche avversità societaria e familiare (la perdita della prima moglie Antonietta Spinelli e la responsabilità di dover crescere il figlio Giovanni) consigliano l’abbandono di questa strada imprenditoriale; si trasferisce altrove, anche se non lontano dalle origini, e comincia una nuova vita: Attilio fa di tutto, dal cameriere al noleggio auto finché trova un’occupazione come informatore scientifico presso una casa farmaceutica; deve imparare cose nuove e delicate, ma non si spaventa vista la tenacia che ha sempre caratterizzato il suo quotidiano.
Nelle vene di Attilio, però, scorre sangue aziendale che ritorna a ribollire quando la moglie, Fernanda Costa, figlia di una famiglia di commercianti, gli dà l’occasione di riprendere un discorso d’impresa: Attilio compra immobili, trasforma portoni in negozi e, siamo agli sgoccioli degli anni settanta, apre un’azienda sanitaria, una boutique per adulti e bambini, affidando la gestione alla moglie.
La svolta di Attilio avviene ad una fiera sanitaria dove conosce, per caso, un’azienda bolognese di apparecchiature elettromedicali e ne acquisisce la concessione per la regione Campania. Al suo ritorno chiama il primo figlio Giovanni, studente in medicina, ma all’epoca impiegato in una struttura sanitaria locale come tecnico di laboratorio, e gli chiede di lasciare il suo lavoro per occuparsi di questa nuova attività: la commercializzazione di apparecchiature per la fisioterapia , laser, elettrostimolatori e quant’altro concorre al benessere dell’uomo.
In una Italia spesso difficile, in un Sud dove le difficoltà sono sempre moltiplicate e anche più cariche di responsabilità, Attilio Grattacaso, testa dura, carattere coriaceo, non si fa scoraggiare dai problemi che ogni giorno gli si parano davanti, anzi sono uno stimolo al suo “andare avanti a tutta forza” come direbbe un capitano di nave di fronte ad una tempesta. E Attilio Grattacaso lo è stato di una impresa che doveva capitano navigare nel mare tempestoso del Mezzogiorno d’Italia. Ma è andato avanti a tutta forza ed ha superato tempeste e marosi, approdando, alla fine, a spiagge internazionali non solo europee, ma anche americane e asiatiche. Soleva dire: « mi piace la sensazione che provo nel vedere concretizzata qualcosa che prima non c’era ».
Così prende avvio un’avventura, quel sogno iniziale che diventa idea, sotto l’attenta guida di Attilio, regista indiscusso di un viaggio nell’impresa italiana e, quel che più conta, meridionale.
L’integrazione nel territorio e per il territorio è il fil rouge di questa storia: Attilio, infatti, non intende lasciare il Sud Italia, il Cilento e, in particolare, Agropoli dove ha piantato la sua impresa. Quando Milano sarebbe stato il punto di partenza della internazionalizzazione aziendale e una promessa di solidi incrementi, decidere di non prendere in considerazione l’idea economicamente disponibile e trasferibile altrove la produzione e il motore aziendale. Diceva: « Se l’azienda non va verso il mondo per arrivare con il trasferimento fisico, facciamo in azienda le competenze necessarie con la chiamata di esperti ».
Certo, essere in un contesto meridionale era penalizzante, ma la forza di una impresa è anche quando l’imprenditore, nonostante tutto, tiene duro e sa quello che vuole, conscio che nelle sue azioni non ci sono solo in gioco l’esistenza sua e dei suoi familiari, ma anche quella delle famiglie che con lui lavorare.
Stimolato dal padre, Giovanni fa emergere la sua innata creatività, cominciando immaginare nuovi apparecchi per la fisioterapia, dettati dalle esigenze mediche raccolte sul campo. Attilio intravede la possibilità di sfruttare queste opportunità e concretizzare quanto immaginato: guardare come, ancora una volta, il sogno si fa idea e l’idea diventa realtà. Nasce così l’azienda dove Attilio mette a lavorare i suoi figli, sfruttando di ognuno le inclinazioni e capacità produttive. Ancora una volta il “regista” scrive il copione e organizza la scena: la creatività di Gianni per le progettazioni, la logistica per Pasquale ed Ennio e l’amministrazione per le figlie Patrizia e Tiziana, diventate, nel frattempo, ragionieri.
Una impresa che vede i giovani figli timorosi, ma ai quali dice sempre, con estrema sicurezza: « S e lo sanno fare gli altri lo puoi fare anche tu e meglio degli altri ».
Con sottile divertimento mostrava con orgoglio la sua operasa famiglia e quanto creato e si sviluppava giorno dopo giorno. Il profondo senso della famiglia porta Attilio a popolare semper più l’azienda, nella quale quei naturali ampliamenti dovuti alle mutate situazioni sociali dei figli, e come sempre con logica e lungimiranza: i maschi come venditori e le femmine nei reparti amministrativi.
Il merito maggiore di questa azienda “nata in famiglia per la famiglia”, ma non solo, e di sicuro respiro internazionale, è stato quello di essere una delle prime del settore a produrre apparecchiature non invasive e sicure, un aspetto che la fa leader europeo del settore.
Tenendo da conto uno stile antico, o se vogliamo “di altri tempi”, Attilio ricordava di non essere andato un solo giorno al lavoro senza giacca e cravatta e con la barba sempre rasa, curata e profumata. «E’ questione di rispetto per gli altri», soleva sottolineare.
Attilio Grattacaso Senior nacque il 12 dicembre del 1927 a Capaccio-Paestum, lasciò questo mondo il 15 ottobre del 2020, all’età di 92 anni: una vita spesa in questo Sud a volte ingiustamente maltrattato e spesso volutamente calpestato. Ma Attilio Grattacaso senior ha lasciato in eredità alla sua famiglia e al territorio salernitano un’azienda, un “presente continuo” dove si ebbe quelle piccole vanità per coloro che sono alla ricerca dell’eterna giovinezza.