In una sera del 2011 Stefano Trapanese, pittore “nascosto”, e Marco Alfano, storico dell’arte, parlavano di una splendida tela rappresentante San Matteo e l’Angelo che il pittore salernitano aveva da poco realizzata ed esposta nel quadriportico del Museo Diocesano di Salerno. Nel corso dell’incontro Marco Alfano suggerì a Trapanese di realizzare un ciclo di pitture dedicate agli Apostoli, sulla scia dei grandi pittori del Seicento italiano, periodo particolarmente caro all’artista salernitano. “La titubanza di Stefano fu subito evidente – ricorda Alfano – d’altra parte l’impegno non era da poco. Ma dopo, evidentemente, ci ripensò e, tacitamente, cominciò ad organizzarsi”.
La missione non era facile: per avere un progetto che potesse incuriosire l’osservatore e nel contempo potesse rinverdire la catechesi tipica delle raffigurazioni religiose del barocco italiano, era necessario che i dodici dipinti fossero tutti di uguali dimensioni e le figure degli apostoli fossero tutte a mezzo busto. All’artista, quindi, si ponevano i primi ostacoli da superare, soprattutto in ordine al messaggio religioso che voleva tracciare. Va però detto che Trapanese ha sempre avuto una particolare predisposizione per i temi religiosi, tant’è che in questi anni del terzo millennio cristiano non poche sono state le sue opere, e anche importanti cicli, commissionate da enti religiosi e collocati in chiese del salernitano. Tra l’altro Trapanese ama particolarmente quel periodo in cui a Napoli Michelangelo Merisi da Caravaggio realizzava i suoi capolavori lasciando tracce talmente profonde che non pochi pittori dell’epoca seguirono le orme che il bergamasco aveva tracciato nella capitale di un regno florido e accogliente. Basti pensare a Francesco Guarini, Luca Giordano, Mattia Preti, allo spagnolo Jusepe de Ribera e al francese Simon Vouet. E poi c’era quel Francesco Solimena, l’Abate Ciccio, che Stefano Trapanese ama particolarmente e che a Salerno ha lasciato una mirabile opera nella chiesa di San Giorgio in Via Duomo: “San Michele che sconfigge i giganti”. Dice Stefano Trapanese: “E’ un dipinto davanti alla quale spesso mi ritrovo in contemplazione nonostante le occhiatacce del custode della chiesa, il sig. Francesco, che – dice sorridendo – deve sempre chiudere nel momento sbagliato”.
Trapanese è un pittore contemporaneo e, allo stesso tempo, antico, sia per la tecnica realizzativa che per lo stile e l’impianto scenografico delle sue opere. Egli infatti, ama le luci sapientemente adoperate nelle illuminazioni delle scene, come il Caravaggio, predilige gli sfondi neri, a corona ed esaltazione delle figure, ama, come il Merisi, scegliere i suoi soggetti da “santificare” tra la gente comune, gli amici, le persone della quotidianità, perché quel pittore definito “maledetto” «non credeva nella beneficenza formale delle classi abbienti, ma solo in quella spontanea degli uomini verso gli altri uomini». E fu la meraviglia delle Sette Opere di Misericordia, conservata presso il Pio Monte della Misericordia di Napoli dove “i protagonisti sono rappresentati come persone comuni”.
Di fronte a questo suo sentire barocco, Trapanese comincia la ricerca di quei volti del quotidiano dai quali trarre il volto di un apostolo di Cristo, una sorta di santificazione del “giorno dopo giorno” a cui consegnare una catechesi visiva che nel medioevo veniva affidata ai rotoli di pergamene da svolgere dall’ambone durante il canto del Vangelo, perché il volgo potesse capire ciò che il diacono recitava in latino. Era quello che veniva comunemente chiamato “il Vangelo dei poveri”. Forse Trapanese si è posto lo stesso problema per cui bisognava riflettere, meditare, studiare, per poi realizzare. E ci sono voluti ben dieci anni. Alla fine il ciclo dei dodici apostoli è compiuto e viene messo in esposizione, in questo periodo natalizio, nella Sala dell’Arcivescovo presso il Museo Diocesano di Salerno.
Iniziava, coì, l’avventura o, se vogliamo, la sfida che Stefano Trapanese affrontava con un tema di notevole importanza sacra. E cominciò da Pietro, il primo degli Apostoli. La scelta del volto fu quello di Felice Chiumento, medico Pediatra, volto interessante, che viene raffigurato con gli occhi rivolti al cielo, come umile accettazione di un primato nonostante la triplice negazione della sera dell’arresto del Maestro, mentre nella tela in cui rappresenta San Matteo, il pediatra, affiancato da un bambino-angelo, il piccolo Daniele Giarletta, è in atteggiamento di suggerimenti dall’alto per scrivere il suo Vangelo, e nella raffigurazione di San Giacomo maggiore è vestito da pellegrino con bastone, a richiamo di quei romei che percorrevano le strade della cristianità verso Roma o verso Santiago di Compostela: una sola persona, ma tre volti, tre atteggiamenti, tre espressioni degli occhio. E così quadro dopo quadro, Trapanese coinvolge Umberto D’Amico, rosticciere, per S. Giovanni evangelista; Pierpaolo Milione, ristoratore, per S. Tommaso, l’apostolo “incredulo”; Roberto Carbone, macchinista di treni, per San Bartolomeo e per S. Giacomo Minore; Giovanni De Vivo, ex ferroviere, per S. Andrea; Nicola Augusto, ex ferroviere, per S. Filippo; Matteo Cantarella, professore di musica, per S. Simone il cananeo; Giuseppe Carbone, musicista d’orchestra, per S. Mattia; Raffaele Chiancone, settore pulizie, per Giuda Taddeo. Un panorama variegato di una quotidianità salernitana che il pennello di Stefano Trapanese veste di abiti ebrei, tramandati dalla iconografia, una morbidezza di tessuti cari al Solimena. Accompagnano queste figure, divenute icone di sacralità, gli elementi caratterizzanti, gli strumenti del loro martirio, gli sguardi di serenità per le parole lasciate loro dal Maestro: «Chi perderà la propria vita per me e per il Vangelo, la salverà». Ecco la catechesi che Trapanese vuole portare a chi con occhi di fede si accosterà alle sue opere di rara bellezza. La luce che entra ad illuminare il personaggio è di particolare efficacia, le ombre sono calibrate, il buio alle spalle di ognuno è a completamento di esaltazione della figura apostolica. C’è una sorta di invisibile filo conduttore tra i pittori del seicento campano e Stefano Trapanese, anche se la sua pittura ha una tavolozza di base ricca di brillantezza nei colori di larga ispirazione mediterranea rendendo l’opera più accattivante e piacevole. E poi Trapanese in questo ciclo apostolico si attarda con piacevolezza sugli sguardi dei personaggi (sguardi sempre diversi anche se il personaggio è ripetuto), dipinge con cura la presenza delle mani (con le difficoltà che esse pongono a molti pittori) quale momento di una umanità senza fine, propria di chi vive con intensità il suo essere parte di un messaggio di fede.
Dodici opere, per i dodici prediletti del Maestro, di cm. 50 per cm. 43, olio su tela realizzati da Stefano Trapanese ed in esposizione in queste feste di Natale: una opportunità di riflessione, di meditazione per l’uomo di oggi attraverso un messaggio senza tempo.
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