Questa è la storia di Antonio Casella-Schiavo-Ciuccio-Di Stasi, partito molti anni fa dal piccolissimo borgo di Felitto per approdare negli Stati Uniti come ricercatore e medico. La sua storia sembra nata da un romanzo d’avventura, o forse di formazione, e vale la pena prendersi cinque minuti per lasciarsi catturare dalle vicende di quest’uomo. Lasciamo direttamente la parola a Antonio, in una chiacchierata torrenziale che tocca i temi della vita, del viaggio, del lavoro, della ricerca scientifica e anche delle corde più profonde della spiritualità dell’essere umano.
Ciao Antonio, parlaci del tuo rapporto col tuo paese natale, Felitto. Ti andrebbe di narrarci la storia che ti ha portato da Felitto ad oltreoceano?
Sì, Grazie Monica per la tua domanda. Innanzitutto mi fa molto piacere che tu mi abbia contattato e mi farà piacere in futuro leggere anche le storie di altri connazionali all’estero. Prima di andare negli Stati Uniti per la ricerca, mi sono trasferito a Modena per studiare medicina all’Università. Alcuni dei motivi di quella scelta furono innanzitutto il difficile collegamento di Felitto con le città limitrofe, poi la difficoltà economica dei miei genitori per aiutarmi con l’affitto a Napoli e, in ultima istanza, la difficoltà di svolgere un lavoro durante gli studi per mantenermi. Inoltre, siccome mia sorella viveva a Modena, e Modena mi era sembrata una bella città, decisi di trasferirmi lì per l’università: durante gli anni dell’adolescenza c’era stato un desiderio di cambiare città. Il mio diploma era di Geometra però siccome la facoltà di Ingegneria civile era a Bologna, non mi andava di continuare a viaggiare. Inoltre, la mia passione principale è sempre stata la letteratura: passione che non fu però incoraggiata dai miei insegnanti, e per di più pensavo che il Liceo Classico fosse troppo impegnativo considerando la distanza (partivi alle 6 di mattina e tornavi alle 4 di pomeriggio). Quando pensai alla facoltà a cui iscrivermi, il solo pensiero di Matematica mi intristiva, mentre l’idea di studiare biologia e interagire con e per le persone mi metteva più a mio agio. All’Università di Modena ebbi anche l’opportunità di fare alcuni lavori per studenti (alcune ore come portinaio un anno, e poi come segretario un altro). Inoltre, dopo l’università superai l’ammissione alla Specializzazione di Oncologia solo a Modena e a Milano, ma non a Napoli. Prima di Oncologia entrai alla scuola di tossicologia, e quando fui chiamato da Milano per oncologia non avevo dubbi sul fatto di far fare la specializzazione in un istituto specializzato come l’Istituto Nazionale tumori. Voglio sottolineare che anche Modena è un centro di oncologia di eccellenza, dove si svolge molta ricerca di eccellenza, con l’obiettivo di usare le cellule del sangue come terapie per molte malattie, incluse le malattie tumorali. A Milano la mia esperienza fu focalizzata sulle cure palliative e sui trapianti autologhi di midollo osseo poi.
Dopo la specializzazione, il mio professore, il professor Gianni, mi chiese se fossi interessato ad un esperienza di ricerca negli USA prima di tornare a Milano. Dissi di sì, ma ci volle un anno prima di trovare i fondi, ed in dettaglio fui finanziato dall’Associazione “Marco Semenza”. Il centro scelto fu il CAGT (Center for Cell and Gene Therapy presso il Baylor College of Medicine) di Houston in Texas, per studiare l’uso di linfociti T geneticamente modificati per il trattamento delle infezioni e/o dei tumori. La ragione primaria di trasferimento negli USA è stata ovviamente la possibilità di apprendere il metodo di queste ricerche, e usarle come terapia aggiuntiva o sostitutiva alla chemioterapia. Inoltre, la mia prospettiva, se fossi restato in Italia, era di effettuare solo attività clinica. Avevo capito durante la specializzazione che quando una persona inizia come clinico poi è estremamente difficile cambiare percorso. Andai ad Houston per un colloquio a Gennaio e l’esperienza fu positiva, sentii fin da subito un profondo legame con la città. Partii per Houston a Giugno del 2005. Scelsi tra la possibilità di andare alla Columbia University a New York o Houston. La scelta, come molte scelte nella mia vita, fu istintiva: scelsi di voler andare nel Sud degli USA dove storicamente c’erano state più difficoltà in termini sociali. Inoltre, il CAGT svolgeva proprio il filone di ricerca che mi interessava. Dopo la ricerca ho effettuato anche un anno di specializzazione clinica per i trapianti allogenici (da donatore) di midollo osseo, al MD Anderson Cancer Center con il Dr. Richard Champlin. AL MD Anderson gl incontrato colleghi squisiti, e per merito di ognuno di loro porto un insegnamento con me nella mia attività clinica. Voglio anche sottolineare che molte volte l’insegnante non insegna solo una tecnica, ma anche un metodo e soprattutto un’attitudine verso la professione e la vita.
Ogni quanto torni a Felitto e quali sono le cose che ti mancano di più?
Io torno a Felitto una o due volte all’anno. Ci vuole un’estrema organizzazione per rallentare le mie attività, e il viaggio è faticoso. Il mio interesse principale per un posto è la sua Natura, forse perché sono cresciuto tra l’erba verde. Felitto e Birmigham AL dove vivo sono entrambi posti molto verdi. La mia felicità nello stare a Felitto consiste principalmente nel camminare o sedermi al sole tra la natura. Il tutto è ancora più bello perché poi incontri amici, conoscenti, familiari e parenti con cui scambiare delle opinioni. Poi il cibo è squisito e difficile da trovare da altre parti: la mozzarella, I formaggi, la pasta o le verdure locali. Anche se di molti cibi di rilievo non ne vado matto in quanto sono vegetariano, (per 4 anni in passato, e ultimamente lo sono da Maggio scorso), e non mangio pesce o carne. In quanto all’ottimo vino locale, non bevo alcolici da quegli stessi periodi. La mia bevanda preferita è la Kombucha, che è un thè fermentato che può essere aromatizzato con erbe e spezie.
E le cose che invece non ti mancano per niente?
Faccio una premessa in quanto mi aiuta a rispondere più compiutamente alla domanda. Nel corso della mia esperienza ho seguito delle attività di volontariato e gli insegnamenti al Chung Tai Zen Center di Houston, in Taiwan e poi alla Tzu Chi Foundation. Sono battezzato Cristiano e questi centri sono Buddisti. Mi hanno insegnato che si può non avere definizioni per chi siamo e dove andiamo ma accettare e seguire la realtà. Alcuni di queste figure spirituali sono prettamente Induiste, come Swami Sri Yukteswar che ha scritto un libro chiamato la Scienza Sacra. In questo libro Swami spiega la Bibbia in maniera profonda. Brevemente, credo che gli esseri umani e non umani siano tutti uguali. Mi piace pregare con persone di qualunque credo. Il mio obiettivo è cercare di vivere la realtà per quella che è, qualcosa che oggi c’è e domani non c’è più. Noi oggi ci siamo e domani chissà. Sarò spirito dopo la morte o polvere ero, polvere sono e polvere ritornerò? Lo saprò al momento. Volere delle cose perché ci piacciono o non-volerne delle altre perché non ci piacciono in alcune filosofie orientali è la ragione principale per cui al momento della morte ritorniamo a vivere, dovuto alla presenza di desideri che ci trascinano evitandoci di raggiungere il Paradiso o la liberazione. Questa filosofia crede anche che alcune persone decidono di continuare a ritornare sulla Terra in modo da poter aiutare gli altri a realizzare la liberazione dalla carne. In sintesi, per rispondere più direttamente alla domanda non ci sono delle cose che non mi mancano per niente, perché il motivo principale per cui sono andato in un altro posto è stato semplicemente lavorativo.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole partire dall’Italia? Di partire o di provare a rimanere nella sua nazione?
Penso che sia impossibile consigliare un’altra persona, perché ognuno di noi ha nel cuore le sue risposte. E seguire la realtà è molto più importante del luogo fisico dove questo avviene.
Hai in progetto di tornare un giorno a Felitto?
Mi faccio prima un’altra domanda che è: perché non tornai in Italia dopo l’esperienza di ricerca ad Houston quando il Prof. Gianni mi invitò a tornare all’Istituto? Ero molto fiero di quella richiesta, e il Prof. Gianni è stato un mentore eccellente. Probabilmente la ragione fu che a volte è difficile assumere un ruolo lavorativo nello stesso posto dove sei stato studente. Ma un altro motivo è stato l’aver dovuto imparare a lavorare in una realtà diversa con le sue regole e procedure. Un motivo ulteriore è stato che dopo aver lavorato in ricercar per diversi anni, volevo praticare medicina, per vedere realtà diverse anche dal punto di vista clinico. Adesso lavoro come medico (trapianti di cellule del sangue staminali principalmente per pazienti con leucemie acute e croniche e sindromi mielodisplastiche) e faccio ricerca all’Università dell’ Alabama a Birmingham. In calce spiego brevemente la mia attività di ricerca (https://www.uab.edu/medicine/bonemarrow/). Una considerazione è che sono ancora considerato un junior investigator, perché ho praticamente il mio laboratorio solo da quattro anni ed è ancora tutto un divenire, specialmente per la difficoltà di stabilire un proprio filone di ricercar originale e di impatto clinico-scientifico. Queste attività sono nate attraverso l’incontro con alcune persone durante I miei tirocini, ma non è escluso che un giorno possa continuare questo in Italia. Però voglio sottolineare che non è facile decidere dove andremo a lavorare, è difficile in Italia, negli Stati Uniti e per me come per altri. In Italia ci sono ricercatori più affermati di me, ed io potrei non necessariamente essere il candidato più competitivo di altri. Uno degli aspetti positivi del mio lavoro qui è l’ottimo lavoro di gruppo con medici, infermieri e collaboratori. Quando lavori in un posto per 4 anni I tuoi colleghi diventano la tua famiglia. Non è la tua famiglia, o la tua città natale, ma diventa parte di te. Questa potrebbe non essere la mia destinazione definitiva, un giorno potrebbe cambiare. Ma solo il cuore saprà il momento. Penso che non sia importante solo il lavoro che facciamo, ma come la facciamo e le ripercussioni nella nostra persona e quella degli altri. E magari un giorno, chissà, potrei cambiare la mia vita come l’ho sempre conosciuta, inclusa l’attività che faccio e dove la faccio. Inoltre, il fatto di non avere molti legami affettivi qui, mi consente di prendermi il tempo necessario per completare le attività. A volte devo spendere un paio d’ore al Sabato o Domenica in laboratorio perché le cellule vanno nutrite.