Anime che non si salvano a vicenda
Sono state giornate furibonde
Senza atti d’amore,
Senza calma di vento,
Solo passaggi e passaggi,
Passaggi di tempo
De Andrè, nella sua canzone “Anime Salve” che dà il titolo a questa rubrica, parla di giornate furibonde, senza atti d’amore e senza calma di vento.
E ciò sembrerebbe adattarsi bene anche alla situazione che stiamo vivendo da un anno a questa parte: non conosciamo più atti d’amore né calma di vento o forse, di calma, ce n’è anche troppa. Calma per stare con noi stessi, per guardarci dentro, proprio noi che siamo un popolo che vive e ragiona col proprio corpo. Perché noi siamo un popolo che ha sempre scritto da solo la propria storia, e stavolta siamo finiti anche noi a spiare dal buco della serratura della Storia con la S Maiuscola; siamo un popolo che non è abituato a stare da solo con se stesso. Questa è la verità: il popolo dell’entroterra è un popolo che respira, suda, ragiona e pensa col corpo. Sia nel bene che nel male; è un popolo che spezza il pane, sputa per terra, scava, benedice e maledice. La maggior parte, non sono persone abituate a starsene da sole col proprio raziocinio, a trovare modi “interiori” per intrattenersi. Per alcuni, intrattenersi equivale a essere ammaestrati.
Le anime salve dell’entroterra del Cilento non sempre riescono a salvarsi l’una con l’altra. Spesso si beccano a vicenda, e cercano di imporsi e far capire chi abbia più diritto di essere salvata.
Chi abbia più diritto a lamentarsi, a stare più male degli altri, a ricevere più solidarietà, supporto e comprensione. Questo discorso può essere fatto, ovviamente, anche su scala globale e non solo riferita al nostro territorio.
Sembra che ultimamente ci sia la tendenza a volersi accapigliare per far capire che si sta peggio degli altri.
Se sei uno studente, non puoi lamentarti delle tue giornate, perché tanto non fai una mazza a casa, devi soltanto seguire in DAD; se sei un imprenditore o una persona che ha un piccolo negozio nel cuore del proprio paesino, devi solo stare zitto e ringraziare che non hai avuto morti tra i parenti, e non fa niente se sei prossimo al lastrico; se invece lavori in smartworking e hai la possibilità di organizzare le tue giornate al pc, ti dicono di porgere i tuoi ossequi e dire grazie al Padreterno perché non devi passare le tue giornate in ospedale rischiando il contagio.
Tutte “accuse” condivisibili, ma siamo davvero arrivati al punto che non ci capiamo più?
Cerchiamo sempre di stare più vicini, ma riusciamo davvero a capire le narrazioni degli altri? Ci interessa davvero ascoltare i racconti altrui?
Chi è che decide chi ha più diritto degli altri a raccontare la propria versione dei fatti, la propria concezione e visione del dolore?
Dovevamo uscirne migliori, più empatici e sensibili.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, scriveva l’autore latino Lucrezio, il primo a introdurre il concetto di humanitas.
Cerchiamo di ricordarcelo, perché forse l’unico modo per uscirne è solo salvarci gli uni con gli altri.
Portarci in salvo, perché ci saranno tante altre giornate furibonde, senza atti d’amore e senza calma di vento.