Angelo Loia, musicista, compositore, cantautore e insegnante. Un volto popolare, una figura importante, di riferimento, anche per le giovani generazioni del Cilento. Abbiamo riflettuto insieme sul momento attuale, la pandemia, un ritorno ai live, sulla sua esperienza nella terra d’origine e le eventuali prospettive di ripresa del settore.
Hai riscontrato delle condizioni per le quali, si può continuare a fare della musica live, senza ulteriori interruzioni?
Io non sarei così sicuro, la condizione non è risolta, si dovrebbero adottare tutta una serie di pratiche; il vaccino ci offre una mano nella diminuzione del contagio, ma le varianti preoccupano. Personalmente, penso che se c’è un problema, bisogna cercare di affrontarlo e risolverlo nel miglior modo possibile. La gestione amministrativa non è tra le migliori e troppe sono le contraddizioni. Oggi la musica ha pagato un prezzo alto e ancora ci sono settori penalizzati. Sto lavorando molto sui locali, perché la gente ha voglia e il bisogno di sentire della musica dal vivo, di qualunque genere. La musica è aggregazione, un momento di sfogo, di relax. Figurati che qui in paese (Moio della Civitella), vengono a bussarmi di notte per farmi scendere con la chitarra.
Una voglia di normalità che sta toccando tutti noi, indistintamente.
Si.
È pur vero che la minaccia delle varianti, come accennavi, non ci lascia ben sperare. Mettiamola così, al di là del nostro essere profani in termini scientifici, quali consigli ti senti di dare, affinché, questa condizione di semi tranquillità, possa essere preservata?
Sto notando da una parte, che il bisogno di aggregazione spesso prevarica la prudenza; quando vedi 300 ragazzi assembrati davanti un locale, comunque è rischioso. Sicuramente ci vuole ancora un altro po’ di pazienza nell’utilizzo della mascherina. Inviterei i ragazzi a godersi i momenti di condivisione, attenendosi a quelle piccole regole che abbiamo imparato in questo periodo; bisogna interagire su una dinamica di buon senso, essere opportunatamente equilibrati. La percentuale di rischio esiste sempre. Un minimo di attenzione può valere molto, senza perdere di vista che il virus è sempre attivo. Pertanto, affidarsi alle competenze, al di là delle opinioni personali è sacrosanto. Personalmente, preferisco dar retta ai medici, sicuramente più affidabili rispetto a quello che noi potremmo pensare da profani. Come nella musica, un musicista che ha studiato, avrà una solidità rispetto ad un autodidatta, anche se quest’ultimo, dovesse risultare più creativo. Per intenderci, mio zio (Aniello De Vita) era un autodidatta che ha scritto brani rimasti poi, nella memoria dei cilentani, che a sua volta, venivano arrangiati comunque da professionisti che avessero una preparazione musicale accertata da studi accademici. La stessa cosa vale per la profilassi medica. Fior di medici ci danno indicazioni precise per tutelarci.
Quindi sei favorevole all’utilizzo del green pass nei luoghi al chiuso?
C’è tanta strumentalizzazione su queste cose, penso che sia giusto che ci si tuteli un po’ tutti. Non mi sento di additare chi non lo fa, rispetto le scelte di ognuno, ma in ogni caso preferisco farlo, per quel che riguarda il mio atteggiamento responsabile nei confronti della società. D’altronde, ho deciso di vaccinarmi per la mia relazione con la scuola, a settembre sarò in contatto con i ragazzi, preferisco tutelarli ed essere tutelato.
Cambiando discorso, in Cilento, sei la colonna sonora, si può dire, della stragrande maggioranza degli eventi. Porti in giro l’opera di tuo zio, il compianto Aniello De Vita, che ha influenzato il tuo percorso artistico per il quale sei diventato popolare. Adesso, cosa bolle in pentola?
Questa eredità musicale di mio zio, credo sia stata importante e funzionale per me come artista e anche per il territorio. Infatti, “So’ nato a lo Ciliento… e me ne vanto” è stato eletto inno del PNCVDA nel 2019. Il repertorio di De Vita, che ho portato nelle piazze, credo riguardi la mia storia famigliare; la credibilità del lavoro che ho fatto, appartiene al mio rapporto con la famiglia e con gli zii. Mi ha affermato come artista originale, utilizzando un repertorio non mio. I brani di Zio Aniello, soprattutto negli ultimi 15 anni della sua vita, passavano sotto la mia supervisione. Diciamo che riuscivamo a trovare la giusta dimensione comunicativa in questi termini, anche perché caratterialmente eravamo completamente all’opposto. Cioè, a chiacchiere non c’era una grande intesa, musicalmente però, quando prendevamo le chitarre in mano, ci mettevamo in pace tutti e due. Ultimamente, invece, da qualche anno sto iniziando a collaborare con musicisti giovani. È bello confrontarsi con loro, perché credo di poter dare qualcosa in termini di esperienza, avviandoli e seguendoli in chiave artistica. Pertanto, sto cercando di realizzarmi anche su orizzonti diversi dalla dimensione della canzone cilentana, riversandomi in uno mood più intimamente cantautoriale. Tuttavia, ultimamente, con le restrizioni per la pandemia, che ci ha costretto per molto tempo a casa, ho ritrovato un forte riavvicinamento alla chitarra classica e al repertorio classico, il mio strumento.
Anni fa, facevi parte di una realtà che sembrava consolidarsi a pieno titolo come struttura produttiva, “la V.T.P produzioni”. Riusciva anche a muoversi bene in ambito di promozione territoriale. Un fermento che già da qualche decade è andato a sfumare. Cosa non ha funzionato?
La V. T. P, fu figlia di una serie di scelte, che si rilevarono fallimentari. In Cilento, si parla di fare rete, ma è difficile capire effettivamente il suo concetto. Non abbiamo agenzie di promozione musicale e fare affidamento su altre agenzie, che non operano sul territorio è difficile. La V. T. P. fece delle operazioni basandosi sui fondi. Ma si sa, la politica non può sostituire una condizione di produzione artistica musicale. Mancavano degli elementi, perché non si investiva sull’azienda, ma solo sugli spettacoli. Operazioni costose, senza portare acqua al mulino strutturale. Ancor di più nel giro di questi anni, sono cambiate le condizioni. La rete ha fatto progressi e noi non siamo stati pronti.
Credi che alcune figure professionali, come il social-manager, in un territorio come il Cilento, siano d’aiuto per elaborare una strategia efficace al servizio di un nuovo fermento artistico?
Se ci fosse una politica finalizzata ad un costante miglioramento dell’offerta turistica, anche l’offerta artistica potrebbe giovare di una miglior qualità. Il Cilento è una “isola non isola”, dove ci siamo seduti fin troppo sugli allori dei decenni precedenti. A noi serve un territorio che respiri e che lo faccia insieme a tutti. Se le attività, i siti archeologi, andassero bene, il rapporto sarebbe strettamente correlato. Occorre però, davvero, considerare la platea dei social e scovando le competenze che sono comunque presenti sul territorio. Noi da soli, non abbiamo le possibilità economiche per sostenere ulteriori spese in via promozionale, i dischi non si vendono più, ci sono le piattaforme di streaming. Insomma, ci ritroviamo con un sistema di distribuzione diverso, occorre adeguarsi e convivere anche con la vastità concorrenziale. I termini competitivi, sono aumentati a dismisura, a portata di un click, questa è sicuramente una cosa quanto ottima, quanto rischiosa. L’unica risposta è creare un team di competenze su cui convergere, dedicata a tutti gli artisti del posto. Spingerebbe professionisti, che potrebbero a sua volta, affermarsi nella propria terra. Sarebbe una cosa interessante.
Tu sei un caso isolato, sei un “emigrante al contrario”. Da Milano sei venuto a vivere in Cilento nel 1999. Perché?
Il motivo è legato ad una questione identitaria; attraverso questo territorio ho realizzato la mia dimensione artistica. Il futuro ad ognuno di noi offre diversi tipi di dimensioni, poi sta a noi scegliere. Io mi sono fermato qui anche perché insegno, sono di ruolo dal 2005. È stata un’avventura all’inizio, quando sono sceso in Cilento; al tempo nacquero diverse collaborazioni (Peppe Cirillo, gli Antea). Sapevo di poter contare sul percorso segnato da mio Zio Aniello, proprio quando le realtà locali, invece di puntare su un repertorio cilentano, proponevano quello napoletano. Qui si è sviluppata parte della mia creatività, dando una veste nuova al repertorio già consolidato di De Vita, attraverso un merito che sento di darmi. Ho rispettato le sue canzoni mantenendone il senso, con sonorità e ritmiche diverse. Nella sua natura, sono riuscito a far apprezzare i vecchi brani come “Scarrafone” o “Tuppi tuppi” a più generazioni. Poi qui, ho trovato le relazioni, le amicizie. Un mondo in cui mi sento fortunato, perché ricevo la stima e l’affetto di da tante persone per le quali, provo grande gratitudine. Ritornare a Milano adesso, per me, sarebbe un fallimento. Le mie radici, la mia linfa appartengono a questo territorio.
Intervista a cura di
Angelo D’Ambrosio