Di Oreste Mottola Il Convento di Altavilla “invaso” da migranti in festa. E con la gente, quella qualsiasi nient’affatto polticizzata, che ha fatto il pieno di emozioni, di rabbia, di gioia e di sentimenti buoni. E a dirsi le cose, a esorcizzare paure e diffidenze. In un paese orgogliosamente tradizionale e cattolico, quella che ha raccolto l’invito del parroco don Costantino Liberti a voler venire a conoscere i 35 migranti che da meno di due settimane si sono aggregati alla popolazione locale e, a cura della cooperativa sociale “L’Impronta, hanno trovato casa in località Portiello, di fronte agli Alburni. Sono ivoriani, del Mali, somali e eritrea, in stragrande maggioranza donne. Parroco, amministratori comunali, esponenti delle associazioni hanno voluto assieme che i loro primi giorni qui culminassero in questo momento di incontro. Il piccolo teatrino li tiene assieme tutti, quasi l’uno sull’altro. “Altavillesi io penso che voi siate come i miei buoni genitori che la guerra mi ha tolto a tre anni”, racconta l’ivoriana di 17 anni che tra le lacrime racconta la sua vita breve di “approfittata” da questo e da quello. “Ma dopo la guerra c’è sempre la gioia di vivere”, aggiunge Carole, 62 anni, che è qui con una nipote decenne. Altrove questi Cas, centri di accoglienza, vivono quasi di nascosto da sindaci e altre pubbliche autorità che mentre ne sfruttano le opportunità in termini da persone da assumere fanno attenzione, in pubblico, a frequentarne i responsabili. “Goro è lontana”, ci diciamo un po’ tutti. Il sindaco ha subito informato il consiglio comunale fin dai primi contatti con il Prefetto. Il Centro è aperto a tutti. C’è il panettiere che li rifornisce gratis di pane e la diversamente abile che a casa sua organizza il caffè di mezza mattinata. Michela, operatrice del Cas, racconta la giornata piena di impegni che devono avere. “Diversamente in due mesi mi vanno in depressione. E come dargli torto?”. Mariasole, colei che a Altavilla, ormai è sinonimo di cultura nel senso pieno della parola, ha già organizzato con loro un laboratorio teatrale che ha già prodotto uno spettacolino. Paola, la psicologa, si è inventata un percorso di musicoterapia per sanare le ferite nell’animo di queste donne. Le ospiti capiscono che la parola d’ordine del parroco “conoscere per accettare” è realtà. Anche letterale. Per tradurre ai mediatori culturali dell’Impronta si unisce “padre Cd”, che è il parroco di Cerrelli, anche lui nigeriano, e una suora di colore. I discorsi della serata sono stati tradotti in inglese e francese, arabo e i tre dialetti principali dell’Africa. Il messaggio è comune: “siete i benvenuti”, “abbiamo cominciato a conoscerci”: i giovani del Forum, gli anziani dell’associazione, chiesa e comune. Un bar “Casa di Carlo” ha da solo organizzato un’accoglienza con i contro fiocchi. Don Costantino vuole ripetere l’esperienza a Natale, ancora più in grande, magari nell’Auditorium che dovrà essere aperto a breve. La gente semplice non ha grandi parole ma è capace di grandi gesti. E poi c’è il miracolo della musica. Il nostro paese è di canti e suoni, come dice il nostro vecchio inno. Di pace e bene. Sì Goro è lontano.
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