Il Cavalier Franco Palumbo è un sindaco creativo, volitivo e determinato insieme. Amministra, e bene, Giungano da un paio di consiliature e ne ha trasformato il volto e conseguentemente l’economia, suscitando meritati apprezzamenti da quanti lo stimano, ed attirandosi gelosie e invidie da parte di colleghi amministratori di comunità contigue che si baloccano nel vuoto della vanità e nel bla bla della chiacchiera senza la concretezza della progettualità e della operatività Ho letto di recente che ha messo su una ipotesi di valorizzazione del vasto territorio del bacino del Solofrone, uno dei corsi d’acqua “sacri” , insieme al Sele e a Capodifiume, alla memoria storica di Poseidonia/Paestum Ed ha buttato giù,, con i suoi tecnici una progettualità in cui ha coinvolto tutti gli amministratori dei comuni dai cui territori provengono ruscelli e torrenti tributari di acque che ne aumentano la portata, rendendo, così, irrigua e feconda una parte consistente di pianura e consentendo la nascita di attività di industrializzazione e commercializzazione dell’agricoltura, e creando i presupposti per una rete di strutture dell’’accoglienza e della ristorazione: agriturismi, BeB, ristoranti tra il verde gradevoli trattorie di campagna che si lasciano apprezzare per la genuinità dei prodotti, rigorosamente legati al territorio, per la professionalità e la calda ospitalità dei gestori e il relax di una campagna che, si apre allo spettacolo del mare dei miti e della Grande storia, da un lato, o trasmigra alla conquista di colline festanti di uliveti, ficheti e vigneti dall’altro, o addirittura, si arrampica, ardita, sulle propaggini dirupanti dei monti dei primi appennini cilentani, che riservano sorprese tutte belle da scoprire e da gustare. E’ questo il vasto bacino da coinvolgere nel “PATTO DEL FIUME”, a cui ha pensato Franco Palumbo. Il fiume è, naturalmente, il Solofrone, che nasce a Trentinara, alle radici del Monte Vesole e che, pertanto. fecondò di sogni e di bellezza la mia infanzia inquieta ed irrequieta. Anche per questo faccio mia la progettualità del sindaco di Giungano e auspico che sia condivisa con entusiasmo e determinata operatività degli amministratori interessati. Quando ho letto la notizia mi sono ricordato che su quel “mio” fiume ho scritto molto e spesso ed ,allora, ho ripescato nella memoria del mio computer un pezzo di due o tre anni fa, o giù di lì, e che va nella direzione della progettualità ipotizzata, felice se, in qualche modo, posso dare un contributo di idee, ricordando a me stesso, prima che agli altri, che nel territorio poseidoniate/pestano si respira un’aria di sacralità della grande CULTURA, di cui ogni progetto deve tener conto, con la consapevolezza che la CULTURA è il volano che mette in moto anche l’economia.
“…Solphon
qui vitreo exhilaras pinguia culta pedes…….
…con chiare acque allieti ricchi campi
tu, Solofrone, cui è padre il Sele,
a cui fa da madre Trentinara,
Giungano fa da moglie e Convignenti
se ne proclama nobile sorella...
I versi emersero per caso dall’attenta lettura di un vecchio libro sul Cilento. La Lucania, del barone Giuseppe Antonini, che Giuseppe Galzerano mi aveva mandato e dove giammai avrei immaginato di poter trovare citato il mio paese. Fu folgorazione improvvisa. La scoperta fece scattare il demone fecondo della curiosità. Ed iniziò il mio percorso di amore e di cultura alla scoperta di un concittadino illustre. Lo ritrovai e lo conobbi in un polveroso tomo, nel reparto Documenti e Manoscritti rari della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele” di Roma, pubblicato a Napoli nel 1572.
E per una volta tanto apprezzai e mi sforzai di amare un marchese, Bernardino Rota, signore di Trentinara e di Giungano, forse un nemico della mia gente, probabilmente uno sfruttatore ed un oppressore dei miei antenati e degli antenati del mio popolo, ma per il fatto di averlo trovato “poeta” e cantore appassionato della mitologia di alcuni paesi del mio Cilento abbandonai le considerazioni(pregiudizi) sociali e politiche.
Mi aggirai con la sua ombra nelle campagne ridenti in riva al mio torrente/fiume, il Solofrone, le cui acque mi regalarono schiere di girini e di ranocchi, vittime innocenti dei miei perfidi giochi di ragazzo. Lo seguii tra il reticolo dei vicoli di un grumo di case che minacciano da secoli il volo nell’abisso. Ma cercai, invano, un segno del suo passaggio nelle lapidi di piazze, slarghi, vie e vicoli del mio paese. Ingiustamente dimenticato dagli uomini, emergeva, però, con la forza della poesia, squarciando le nebbie del passato, per reclamare il suo posto non solo nei libri e nelle biblioteche, ma anche lì, nella terra che lo vide, mi auguro, signore illuminato.
Lo amai e ne vendicai l’oltraggio in nome della comune frequentazione della poesia.
E con l’ammirazione/devozione per il poeta che lo aveva cantato amai ancora di più il mio fiume e resi più frequenti le mie escursioni lungo il suo corso zigzagante, dalla sorgente alle falde del Monte Vesole alla foce sul litorale tra Paestum ed Agropoli, a fecondare i coltivi di Trentinara e Giungano. Mi sono incantato spesso all’uragano, nella gloria della luce, che dirupa dagli arditi altari di pietra rovesciando cascate scintillanti di argento nella gola di Tremonti. là dove, secondo la leggenda, Spartaco urlò furente l’esortazione all’ultima battaglia.
Il Sottano è come un cono rovesciato e scarica a settentrione colate di lava verde dei lecceti in gara con i faggeti del Soprano, che, arcuato in cima, assicura passo agevole verso la Valle del Calore, attraverso i castagneti di Roccadaspide.
A mezzogiorno, le campagne coltivate che scivolano giù dalle radici dei contrafforti del monte si aprono agli orizzonti sconfinati del mare lontano. Qui è già demanio di Capaccio, ma storia, tradizioni, memorie antiche dei signori dei feudi, tutto riporta a Giungano: una manciata di case ai piedi del Cantenna che scivola con il verde bottiglia dei lecceti a protezione dalle rocce a catapulta dai dirupi ventosi di Trentinara. La contrada è Cannito, già dominio dei Picilli che vantavano all’ingresso del paese,un bel palazzo con portale di pietra con all’interno ampio cortile e scalone monumentale a testimonianza di fasto di casato. Di qui partiva il biroccio dei “signori” con a cassetta i giovani rampolli, invidiati dai coetanei meno fortunati e “mangiati” dagli occhi delle ragazze a caccia di marito.. Destinazione la masseria di Cannito, appunto, simbolo della potenza del latifondo, a controllo di lavori e sudori di coloni e salariati. Oggi la masseria ha cambiato padrone e destinazione d’uso ed espone ettari di filari di geometrica fattura con vitigni forti e generosi da far invidia finanche ai vignerons provenzali, carichi di professionalità ed esperienza, a dimostrazione che anche qui da noi si possono correre con successo le avventure fecondate da intuito, intraprendenza e lungimiranza, se si può contare su imprenditori del livello di Peppino Pagano, che produce già da alcuni anni vino di qualità apprezzato sui mercati e che anche nel nome richiama ed esalta il territorio. “IUNGANO” e “TRENTENARA”. La contrada è in bella posizione panoramica con i contrafforti dei monti alle spalle a far da quinta e davanti la pianura che si estende, ridente di masserie e coltivi di agricoltura di qualità, verso il mare dei Miti e della Grande Storia. Forse anche per questo vi si erano appuntati gli appetiti di speculatori famelici, dalle contiguità sospette (nessuno, o quasi, fa più mistero della ramificazione negli affari del territorio della “camorra in doppiopetto”), e che pressavano per l’adozione di un Piano Regolatore bocciato dalle Sovrintendenze(archeologica e paesaggistica) e sul quale si sono giocato il futuro politico amministratori locali compiacenti o lungimiranti, a seconda del giudizio delle opposte tifoserie/fazioni. E la telenovela non è ancora finita, perchè, forse, l’ultima puntata è ancora tutta da scrivere ed interpretare nella futura campagna politico/amministrativa già in atto. Anche per questo l’esito delle elezioni, forse, della prossima primavera non è indifferente per i paesi della kora pestana, a cominciare da Giungano, che per contiguità di territorio, convergenza di economia, memoria di storia, di cultura e di tradizioni è legittimamente preoccupata della qualità dello sviluppo della zona. Nessuna meraviglia, quindi, se reclamano protagonismo più che legittimo nelle decisioni.
Queste riflessioni mi rimbalzano dentro, mentre da un’altura di Cannito mi gusto un tramonto da emozioni forti nella conflagrazione di cielo e mare in questo autunno che prolunga l’estate:
“Questo scrivevo, circa tre o quattro anni fa, o giù di lì. Lo ritengo ancora attuale tolti i riferimenti al cavaliere Palumbo, che erano e restano datati, anche avendo lasciato il Comune nelle mani dell’ottimo nuovo sindaco Orlotti, si sta dedicando, compatibilmente con le sue condizioni di salute, prevalentemente al Comune di Capaccio Paestum. Io, comunque, lo ripropongo all’attenzione di tutti gli amministratori locali, degli operatori economici e di tutta la più vasta società civile, anche alla luce dei mutamenti che sono sopravvenuti nel frattempo, e sarò felice se tutto il vasto bacino del “mio” fiume Solofrone, che tocca i demani di Trentinara, Capaccio, Giungano, Cicerale. Ogliastro possa realizzare questo progetto, attualizzandolo, che va nella direzione di un ulteriore e rapido decollo dello sviluppo. È la mia speranza ed il mio augurio, che faccio di tutto cuore per all’inizio della nuova stagione turistica, ai cittadini della mia terra”. E prometto che ritornerò sul tema a breve, stimolando gli amministratori locali dei paesi della kora pestana, a cominciare dal mio, Trentinara, che nel frattempo si è dotato di originali infrastrutture turistiche, LA STRADA DELL’AMORE e CILENTO IN VOLO, destinate a QUALIFICARE l’offerta turistica dell’intero territorio e di cui mi occuperò presto con riflessioni motivate.