«La Festa dei Popoli che ogni anno celebriamo a Pertosa con la Diocesi di Teggiano – Policastro e i sindaci del Comprensorio del Vallo di Diano vuole sottolineare quell’impegno nel quale il nostro territorio si è aperto all’accoglienza di tutte le forme di migranti», sono le parole del vescovo della Diocesi di Teggiano – Policastro, Monsignor Antonio De Luca, all’indomani della celebrazione dell’evento. «I migranti sul territorio sono i migranti non accompagnati che attraverso la integrazione dei percorsi scolastici, l’apprendimento della lingua e dell’attività, di un mestiere consentono loro di entrare in una possibile via di integrazione – continua il vescovo – e poi ci sono i rifugiati, quelli che provengono da contesti di guerre e che sono fuggiti da situazioni di torture, di violazioni profonde dei diritti umani. Pensiamo alle donne abusate, a tutti coloro che sono stati sottoposti a forme di violenza; ci sono poi coloro che arrivano sul nostro territorio attraverso forme di accoglienza. La settimana scorsa abbiamo accolto una famiglia proveniente dall’Eritrea attraverso i corridoi umanitari, una espressione di accoglienza fatta insieme al Ministero degli Esteri, alla Comunità sant’Egidio, alla Caritas e alla Tavola valdese.
I corridoi umanitari sono una delle forme di accoglienza legali che si cerca di mettere in atto per fermare la tratta degli esseri umani ma siamo consapevoli che si tratta di percorsi che rispondono a un appello piccolissimo, sono una goccia in un oceano. Tuttavia solo potenziando questi percorsi però riusciamo a dare risposte al bisogno di libertà, umanità e di promozione della persona umana». Quattro sono i figli di Tsige Netsereab, la più grande ha venti anni, la più piccola ha sei anni è la famiglia eritrea accolta dalla Caritas di TeggianoPolicastro diretta da don Martino De Pasquale e dal Vescovo della Diocesi Antonio De Luca.
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Una famiglia sfuggita alle violenze, alla fame e alla povertà giunta mercoledì scorso a Roma proprio attraverso i corridoi umanitari voluti dalla Conferenza Episcopale Italiana e che vogliono garantire accoglienza, primo inserimento, integrazione fino al riconoscimento dello status di rifugiato. Fino all’età di 15 anni, la eritrea Tsige Netsereab, ha vissuto con la sua famiglia per badare ai suoi fratelli minori e suo padre perché la mamma è morta quando loro erano piccoli. Poi a 15 anni si è sposata e ha avuto la prima figlia. Quando aspettava il secondo figlio, il marito, ha cercato di fuggire dal servizio militare così lei ha avuto ripercussioni dal governo. La donna aveva un chiosco dove vendeva il the ma il governo lo ha chiuso. Quando ha avuto il secondo bambino è fuggita dall’Eritrea perché lo stato voleva arrestarli e per questo il marito è sparito senza lasciare traccia. Appena arrivata in Etiopia nel 2002, la donna, è stata trasferita con i bambini in un campo per profughi; dopo è stata trasferita in altri due campi fino ad arrivare a Shimelba. Qui talvolta vedeva il marito, ha avuto altri 3 figli da lui ma questi è scappato di nuovo e da almeno dieci anni Tsige non ha sue notizie. Accolta dalla parrocchia SS. Giorgio e Nicola che fa pure da tutor, ora, la famiglia eritrea abita a Postiglione. «Il rapporto guerra – povertà è biunivoco – termina il vescovo De Luca – la guerra genera la miseria ma è anche la miseria che determina la guerra». Per i figli in età scolastica di Tsige sono iniziati pure i primi inserimenti scolastici mentre, per gli altri, oltre l’apprendimento dell’Italiano si prospettano inserimenti sociali e lavorativi.