PROCESSO AI BRIGANTI. BRIGANTE SI DIVENTA…E BRIGANTE SE MORE Chi erano i briganti? Perché hanno deciso di darsi alla macchia e imbracciare il fucile? Domenico Chieffallo lo racconta nella sua ultima fatica, “La lunga notte dei briganti, cronistoria documentata del brigantaggio nel Cilento”, il libro del noto studioso meridionalista.Il sindaco Franco Alfieri che non ha mancato di rincordare come lo spirito di libertà dalle catene della schiavitù, lo spirito del brigante cilentano, debba rivivere con forza in tutti noi cilentani. Il dottor Chieffallo ha precisato la domanda di fondo che sta alla base della sua ricerca sul fenomeno del brigantaggio: i briganti vanno assolti o condannati? “Se giudichiamo le loro azioni dal punto di vista della legge – osserva l’autore – essi vanno senz’altro condannati per i crimini commessi, ma se, come è doveroso, contestualizziamo storicamente il fenomeno la situazione cambia in quanto in un processo storico bisogna chiedersi sempre il perché e bisogna tener presente che briganti non si nasce, ma si diventa. Bisogna chiamare in causa la società che ha partorito i briganti, una società sulla discriminazione e sull’emarginazione del ceto contadino e umile, basata sulla prepotenza e sullo sfruttamento e chiedersi come mai ad un certo punto della loro vita tanti contadini, braccianti, hanno lasciato la loro casa, i loro paesi, posato la zappa e imbracciato il fucile.” Chi e cosa li ha spinti a questo passo e indirizzati sul sentiero che li avrebbe condotti in una lunga notte. La verità, scrive nelle sue conclusioni Chieffallo, “ è che la società è come un albero il quale, se è malato dalle radici, inevitabilmente produrrà soltanto frutti marci e una società minata dalla prevaricazione di una classe sull’altra, priva di ogni canone di giustizia sociale, indifferente alle primarie esigenze dei ceti umili, contraria a qualsiasi iniziativa che ne possa in qualche modo elevare lo stato, non può che produrre delle devianze, e questa è una regola valida in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo di tempo. Lo vediamo anche ai giorni nostri. Vogliamo processare i briganti? Lo possiamo fare solo processando la società che li ha generati e allora verranno fuori molte attenuanti per i briganti perché, se i contadini non fossero stati costretti da patti agrari iniqui, a lavorare da sole a sole in modo massacrante senza un equo compenso, forse non sarebbero diventati briganti, se ai contadini non fosse stata sistematicamente calpestata loro la dignità, molti non sarebbero diventati briganti, se avessero avuto un pezzetto di terra per loro, su cui riversare il loro sudore, non sarebbero diventati briganti…” . Dopo centocinquanta anni da quella storia, un ipotetico viaggiatore che si inoltrasse nell’entroterra cilentano, nei suoi paesi, lungo i crinali dei monti, dal monte Stella, al Bulgheria, al Gelbison, sentirebbe, dal verde dei boschi e dalle pietre delle strade salire l’eco della voce dei briganti che parla di libertà dall’oppressione. Filippo Romanelli
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