Come Giambattista Vico scrive “Affetti di un disperato” e chiude il suo decennale soggiorno a Vatolla Passeggiando nelle strade cilentane Vico Giambattista, avvocato e filosofo, scrisse nel 1693 “Affetti di un disperato”. Vi resisterà solo un altro anno ancora e poi se ne torna a casa, a Napoli. Il Cilento in sé però colpe non ne aveva. Il dubbio rimaneva e le cose a posto, molto più che Benedetto Croce, le hanno rimesse due avvocati atipici: Gerardo Marotta e Vincenzo Pepe. L’ultimo ci ha messo di più le mani. In mezzo ci sono tre secoli e storie che si rifanno alla velocità dei sogni, alla necessità di pescare il coraggio anche quando avvertono difficoltà che appaiono insormontabili. C’è anche una data: nel 1993, dopo anni di frequentazione dell’Istituto degli studi filosofici, l’avvocato Gerardo Marotta in un pomeriggio di ottobre gli propone di accompagnarlo a Vatolla. Sembra una semplice curiosità cultural – turistica. Pepe, agropolese, ha radici proprio in quella storica frazione di Perdifumo. All’imbrunire entrano nel diroccato Castello De Vargas, dove Giambattista Vico fece da precettore ai figli del marchese Rocca. “Ascolta, avverti la presenza di Vico?”. Insisteva e sfidava l’avvocato Marotta. “Riuscì a trasmettermi un’emozione unica. E subito – racconta Pepe – dopo venne la proposta: di fare il presidente della Fondazione, restaurare gli ambienti, però non solo da un punto di vista architettonico, ma restituire il vissuto che vi rappresenta. Quasi ebbi paura, poi mi lanciai nell’impresa”. Nel 1999 nasce la Fondazione Vico, con un museo dedicato al filosofo, dove vi ha sede la Biblioteca del Parco Nazionale del Cilento-Vallo di Diano, e 20 mila studenti arrivano ogni anno da tutto il mondo. «Proprio lui Vico, che diceva che nei momenti di confusione è importante ritrovare il fondamento, ovvero la memoria. Solo così possiamo rivolgerci al futuro, creare sviluppo: a partire dalla tradizione». Ora torniamo sulle tracce del filosofo. Dal 1686, diciottenne, Giambattista Vico trascorse nove anni a Vatolla, piccolo centro all’interno del Cilento. Quattrocento abitanti appena, diciotto chilometri nell’entroterra di Agropoli. Era il precettore dei figli del maggiorente locale, Domenico Rocca. Era stato il fratello del feudatario, Girolamo, vescovo di Ischia, a indicarlo come possibile insegnante. Il prelato conobbe Vico per caso, in una biblioteca di Napoli. Colpito dalla viva intelligenza e dalla cultura assai precoce, gli affidò la formazione dei nipoti. Vico apprezzò la permanenza: la famiglia era nobile e dotata di vasta libreria, in più l’aria di montagna molto salubre, era l’ ideale per la tisi che da un po’ lo tormentava. Un legame speciale, dunque. Le grandi lapidi murate sulla facciata del castello, al colto e all’inclita raccontano che ci visse, dal 1686 al 1695, il grande pensatore napoletano. Arrivò che non era neanche un paglietta fatto ma un avvocatino, uno dei tanti, senza soldi e pure mezzo tisico. Lo portò un vescovo – colpito dal sapere e dalla sua seriosità e austerità – che cercava un precettore per i quattro figli di suo fratello che abitavano ai confini del mondo. A Vatolla. Vico più che far studiare i nipoti del prelato, studiava lui. I libri li prendeva nella biblioteca del vicino convento della Pietà e andava a leggerseli all’ombra del grande ulivo che è ancora lì. Scandagliava i labirinti del pensiero e cercava risposte alle solite domande difficili. A Giulia Rocca, la bella allieva di cui era segretamente innamorato, dedicava versi difficili che lei diceva di non capire. “Non fu solo “L’aria purissima” di Vatolla che guarì i tuoi polmoni malati. “La Scienza Nuova”, il monumento del tuo pensiero, nacque sotto la spinta dell’amore per la bella guagliona cilentana. Quando Giulia andò via, sposando un giovane rampollo di Omignano, tosto a soldi terre e animali, tu filosofo alla pari parco mangiare spartano alloggio e paga di pochi soldi ci rimanesti male male. Te ne tornasti a Napoli, dove le “Giulie”, erano tante di più. Nelle storie di Giambattista Vico una sera ci entro anch’io. Non mi ricordo più il fatto come fu. Lo scherzo credo che me l’abbia fatto Mnemosine. Mi ritrovo perso nei discorsi e ni versi declamati all’interno di una mesta cerimonia alla quale anche il vostro cronista assiste. Accanto c’è la nuova biblioteca vichiana, è nei pressi che sosto a lungo, m’immedesimo perché anch’io ho vissuto per decenni, “in un castello ai confini del mondo”, nella mia Altavilla – Macondo. Dalla sala principale ecco che mi chiamano in scena, e “esco” dal mio film. Davanti al microfono enuncio un discorso di ringraziamento, poche frasi, per “il premio” che mi davano. Corsi e ricorsi storici: solo io, Giulia Rocca e Giambattista Vico sapevamo a cosa si era rimuginato nella lunga serata al Castello Vargas!. “Più che un itinerario turistico – spiega Vincenzo Pepe – io definirei Vatolla un’oasi di filosofia, esempio unico in Italia di valorizzazione di cultura e ambiente. Passeggiando in queste strade Vico scrisse nel 1693 “Affetti di un disperato”, sull’amore non corrisposto per Giulia, figlia del marchese Rocca”.
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