Il campo non è più un tempio del sacro rito e del laborioso quotidiano lavoro, ma è diventato il tragico patibolo dove vengono avvelenati i prodotti, dove vengono schiavizzate e sacrificate persone
Di Donato Di Stasi
Che tempi tristi! Hai voglia di ripetere convintamente che nella vita vanno privilegiati sempre e comunque i valori morali, civili e sociali, rispettati i diritti delle persone e praticato il rispetto delle Istituzioni!
Poi ti guardi intorno e ti accorgi che non avviene tutto questo. Vengono, invece, protetti gli interessi di quelli che evadono le tasse, di quelli che per interesse, diretto o indiretto, agiscono contro le leggi e perciò non vogliono essere scoperti dalle intercettazioni, di quelli che non vogliono essere giudicati nelle loro arbitrarie decisioni relative ai propri doveri d’ufficio. Siamo arrivati persino al punto che coloro i quali detengono una carica elettiva, a qualsiasi livello, pretendono di poter rendere legge la propria volontà, presumendo che l’avvenuta elezione li abbia collocati al di sopra di ogni legge o giudizio, infallibile e perciò ingiudicabile, come un Papa; ma che dico, come un Dio onnipotente!
La pratica quotidiana più diffusa è diventata la violenza di tutto ciò che può rappresentare un limite o un ostacolo alla soddisfazione di ogni personale volontà, anche la più perversa ed inqualificabile.
Anche l’Agricoltura viene sistematicamente violentata ed in vari modi. I campi non sono più il luogo della nobile e vitale arte della produzione dei cibi sani e genuini, aderendo con intelligenza e tempestività al normale, ma pur sempre misterioso, ciclo dell’evoluzione naturale. La Dea Cerere (o Demetra) aveva insegnato agli uomini l’amorevole arte di coltivare i campi, assicurando fertilità, produttività ed abbondanza di cibo e frutti naturale e biologici. L’Agricoltura era divenuta una specie di sacro rito che in onore di Cerere assicurava cibi abbondanti e genuini e, quindi, vita e giusta soddisfazione dei bisogni vitale degli esseri viventi.
Ma oggi cosa avviene nei campi? Cosa è rimasto di quell’antico sacro rito, naturale e vitale? Niente rimane, salvo poche, volontarie ed encomiabili, rare eccezioni! Persone senza scrupoli, utilizzando anche prodotti da immediato e più severo codice penale, violentano l’agricoltura persino stravolgendone il normale ciclo biologico. Il campo non è più un tempio del sacro rito e del laborioso quotidiano lavoro, ma è diventato il tragico patibolo dove vengono avvelenati i prodotti, dove vengono schiavizzate e sacrificate persone incolpevoli, che hanno il solo “torto” di dover necessariamente e doverosamente lavorare per assicurare un minimo vitale a se stessi ed ai propri cari. E la cosa diventa ancora più grave quando vengono sacrificate anche persone già spezzate o mutilate durante il lavoro e lasciate barbaramente morire, abbandonate in luoghi deserti e solitari e private persino del proprio telefonino, e gli aguzzini vengono ritenuti non assassini, ma furbi, addirittura non oggetto del più schifoso ribrezzo, come meriterebbero, ma di ammirazione, talvolta sottaciuta, ma spesso espressa ed osannata proprio da coloro che dovrebbero farli rinchiudere nelle galere e buttarne le chiavi! Ma ci sono anche tante altre forme di violenze perpetrate ai danni dell’agricoltura, meno tragiche ma certamente molto dolorose. Cito, per esempio, quella che avviene all’interno del territorio del Parco del Cilento, Dallo di D. e Alburni. Qui una sempre crescente fauna non autoctona, in particolare di cinghiali, distruttiva e pericolosa, è quotidianamente causa di violenza diretta dell’Agricoltura ed indiretta degli agricoltori. Sono talmente tanti i cinghiali da sfuggire ad ogni conta o controllo. Le persone spendono le migliori risorse per proteggere i loro campi, ma tutto diventa inutile ed inefficace; non c’è recinzione, elettrica o a filo spinato, che regga! Basta qualche ora ed un gruppo di cinghiale distrugge completamente un campo di grano o di granoturco, una vigna, un frutteto, un orto o una piantagione. Non parliamo poi di quello che avviene nel castagneti, nei querceti e nei noceti al tempo della maturazione e raccolta. Questi animali sono anche pericolosi ed aggressivi e molte persone sono state anche aggredite, persino davanti casa propria nella campagna, specie quando le scrofe sono accompagnate dai propri piccoli.
In questi territori molte persone, specialmente gli anziani ed i pensionati, oltre agli agricoltori normali, amano dedicarsi all’attività orticola. Fanno l’orticello, per mantenersi in utile attività, per produrre biologicamente ciò che piace di più a loro ed ai propri familiari, per gustare ancora gli antichi sapori che la loro laboriosa attività agricola ha prodotto e per una vita. Sono inimmaginabile la sofferenza e la delusione che provano queste persone quando al mattino vanno per curare l’orto, lo e trovano distrutto. E’ violenza, diretta ed indiretta, anche trovare distrutto un orto, un campo di grano, una vigna, un frutteto o altro. Chi dovrebbe seriamente intervenire, si difende dicendo che è stata disposta la caccia selettiva. Una vera presa per i fondelli, un’ulteriore mortificazione per gli agricoltori! Che vale se in un anno per 500 cinghiali uccisi ne nascono altri 500 mila?
Come se non bastasse, adesso vi si stanno diffondendo, a macchia d’olio, anche i cervi, importati nel territorio, per curiosità o stupidità. E questi, siccome saltano recinzioni robuste ed alte anche tre metri, completano l’opera distruttiva dei cinghiali.
I cittadini che vivono nei territori del Parco non sono contrari al Parco per partito preso. Sono, e sono stati, essi stessi ambientalisti, tanto è vero che se questo territorio è così bello e naturale, è perché proprio loro ne hanno avuto rispetto e ne hanno tramandato le peculiarità di generazione in generazione per secoli.
Gli abitanti del Parco sono solo contro questa fauna non autoctona e vorrebbero il “ripristino dello stato dei luoghi”, eliminando ciò che a questi territori storicamente non appartiene. Prima che fosse istituito il Parco del Cilento, negli anni ottanta furono immessi in questi territori i cinghiali, ad opera delle associazioni venatorie, proprio per soddisfare i bisogni o i capricci dei cacciatori. Oltretutto questi cinghiali sono di una razza molto prolifica e siccome vivono in un ambiente climaticamente favorevole e qui trovano anche un’alimentazione molto abbondante e nutriente, ogni femmina, annualmente, con due parti, immette nel territorio circa trenta figli. Così i cinghiali sono diventati i veri padroni ed è diventato pericoloso anche per chi si avventura in passeggiate ecologiche, perché un scrofa con figli a seguito è pericolosa, aggressiva e feroce. I proprietari dei terreni, per paura di essere aggrediti o di rimanere delusi per gli scempi fatti nei propri orti e nei propri campi, con sofferenza abbandonano le loro attività agricole e orticole, purtroppo anche con soddisfazione di qualcuno. Si, perché un grosso commerciante di ortaggi, frutta e verdure, ebbe a dire: “noi amiamo i cinghiali perché per merito loro noi vendiamo anche a quelli che solitamente producevano tutto da sé”.
Ma gli abitanti di questi territori sono ancora più rattristati dal fatto che si sentono trascurati, abbandonati ed inascoltati. Quando si parla dei problemi di questi cittadini e ci si rivolge alle Istituzioni, si incontrano solo persone sorde ed indifferenti, come è capitato anche me quando mi sono fatto carico, per quello che potevo, di tali problemi.
Ha ragione il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, quando considera cosa assai grave che un’Istituzione, che dovrebbe avere a cuore il benessere dei cittadini e tutelarne gli interessi legittimi, chiude la porta in faccia ai Sindaci, rappresentanti e portavoce proprio dei cittadini. Come è capitato il 9 maggio 2002, quando il Ministro per l’Ambiente Matteoli, nonostante precise intercorse comunicazioni, chiuse le porte in faccia a Roma a circa 60 Sindaci o loro delegati del territorio del parco del Cilento. Non solo il Ministro, o un suo delegato, si rifiutò di incontrare i suddetti Sindaci, ma rifiutò addirittura l’utilizzo di una Sala al fine di tenervi una riunione. Intanto ci potemmo riunire in un luogo adeguato e fare almeno un verbale di quella brutta esperienza, in quanto l’allora Sindaco di Roma, Walter Veltroni, e l’Assessore all’Ambiente del Comune di Roma, misero gentilmente a nostra disposizione la Sala del Carroccio del Campidoglio, dove presiedetti quella riunione “romana” della Comunità del Parco.