Da una imprecisata notte di Natale di circa 300 anni fa, il popolo cristiano, nella notte divina, canta “Adeste fideles”, venite fedeli, a gioire avanti alla capanna di Betlemme dove è nato il Re degli Angeli. E fu un accorrere di pastori che erano a guardia dei loro greggi, di persone umili divenute personaggi per una narrazione straordinaria, unica, come Benino (il giovane pecoraio dormiente) il pastore della “maraviglia”, Cicciobacco, Erode, la banda musicale dei mori, e tutto quel mondo nato dalla fantasia napoletana che si appropriò del presepe come se fosse una invenzione fatta in Via S. Gregorio Armeno. E, d’altra parte, non poteva essere che così, perché il Presepe è parte integrante della cultura, della tradizione, della quotidianità napoletana, parola, questa, che include in sintesi tutta la Regione Campania.
La particolare situazione sociale e sanitaria di quest’anno ci obbliga a parlare della pandemia, perchè questo del 2020 è un Natale diverso. Non ci si potrà riunire con i parenti (niente tavolate della vigilia e del pranzo), non si potranno scambiare gli auguri con abbracci e baci, non ci si può riunire tra amici per un aperitivo. Una situazione, quindi, che ha provocato una sorta di abbattimento psicologico in non pochi con la conseguente decisione di non fare il presepe in casa, di non far occhieggiare le lucine dall’albero di Natale. Alla fine, però, tutti abbiamo tirato fuori dalle scatole pastori, lucine e addobbi vari, accuratamente conservati lo scorso anno, e abbiamo allestito il nostro presepe e il nostro albero. Segno, questo, di importante vitalità, non lasciandosi deprimere da un invisibile nemico che sta mettendo a dura prova la società (dei consumi), l’economia, gli uomini nei loro rapporti umani e familiari. In sostanza al Coronavirus non gliela vogliamo dar per vinta!
Non va dimenticata quella bella canzone natalizia scritta da S. Alfonso Maria de’ Liguori in lingua napoletana, perché fosse da tutti compresa e cantata la notte di Natale: “Quanno nascette Ninno a Bettlemme – Era notte e pareva miezo juorno”. E già questa strofa iniziale ci dice che non vi è notte buia per chi con animo mite si avvicina alla capanna del Bambino. E passando dal sacro al profano va ricordato quell’interessante dialogo tra Gennaro e Amalia nella “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo: «Le offre una tazzina di caffè. Amalia accetta volentieri e guarda il marito con occhi interrogativi nei quali si legge una domanda angosciosa: “Come ci risaneremo? Come potremo ritornare quelli di una volta? Quando?”. Gennaro intuisce e risponde con il suo tono di pronta saggezza: “S’ha da aspettà, Ama’. Ha da passà ‘a nuttata”».
Alla fine un anno, che non è stato certamente benevolo nei confronti dell’umanità, sta per chiudere i suoi giorni e senza botti, anche se questo 2020 bisognava scacciarlo a cannonate. Ma c’è, prima, questa magica notte del 25 dicembre dove agli uomini è stato dato il messaggio di pace e di fratellanza. Un messaggio chiaro, che non è solo per i credenti, ma per tutti gli uomini, senza tener conto della latitudine dove vivono, della lingua che parlano, della religione che professano, del credo politico cui credono. Il messaggio è diretto all’uomo, centralità dell’insegnamento evangelico di cui primo, importante e concreto testimone è Papa Francesco: con atti, prima ancora che con parole, testimonia il suo magistero ricevuto da quel Bambino il cui regno non è di questo mondo.
Un messaggio di pace, quindi, si eleva da quella fredda grotta dove trovavano riparo gli animali, ma dove avvenne un evento unico nella storia dell’umanità. E già questa concomitanza dovrebbe portare l’animo e la mente alla meditazione.
Da mesi si dice che usciremo cambiati da questa dura prova della pandemia; ma quale cambiamento ci aspetta? Non sono molte le alternative! Ora è il momento del bianco o del nero, del possibile o dell’impossibile, perché al termine del tunnel o avremo un nuovo assetto sociale, economico, culturale (come mentalità personale e collettiva) diverso, nel senso che saremo più propensi a stendere la mano agli altrui bisogni, a guardare all’economia non come profitto, ma come opportunità di crescita, all’ambiente come luogo dove noi siamo ospiti e nel contempo custodi per i nostri figli e nipoti, oppure ne usciremo peggiori di oggi, più incarogniti, più cattivi verso gli altri. Una prospettiva, questa, che non appare come un futuro felice per gli uomini. Eppure a guardare i dibattiti (o i bisticci) politici su come utilizzare le risorse finanziarie, quali finanziamenti economici prendere e verso quali obiettivi (ammesso che ce ne siano visto che ancora non appaiono) indirizzare le scelte di crescita delle comunità, non sembra che le idee siano ben chiare. Una confusione continua a permanere tra i detentori della res publica e non solo italiana, ma anche europea, visto che da qualche decennio ci siamo imbarcati in una difficile navigazione portando a bordo della nave, quale scorta di salvezza, soltanto un paio di remi da utilizzare qualora… Qualora mai, perché inutili!
In quella notte in cui “Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí” avanti a quella grotta andarono gli umili pastori, ma anche i Re Magi che giunsero appositamente dall’Oriente. A sottolineare la straordinarietà dell’evento, scriveva S. Alfonso nella sua canzone: “De pressa se scetajeno ll’aucielle Cantanno de na forma tutta nova”. Ed è il mistero, quello che cambia all’improvviso le cose, come questa pandemia che ha messo in ginocchio l’umanità che d’incanto si è accorta (almeno lo si spera) della sua fragilità e del male che si stava facendo con gli abusi ambientali, con l’economia di profitto che uccide (a richiamo di Papa Francesco), con la povertà materiale che dilaga soffocando popoli interi.
Bisogna cambiare e si uscirà da questa calamità diversi…
C’è solo da sperare che il “diverso” sia orientato verso il bene collettivo e non, ancora una volta e in modo peggiore, verso l’interesse personale. Se ogni uomo penserà nel suo animo di voler essere diverso, forse la società, composta da ogni singolo uomo, sarà diversa. In una delle sue udienze pubbliche, Papa Francesco ha affermato che «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi», indicando poi i tre mali da evitare in questo momento: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo, tre pericoli «sempre accovacciati alla porta del cuore».
Natale in solitudine, dicono i decreti pubblici. Ma forse in solitudine proprio non ci siamo se sapremo riappropriarci del vero spirito del Natale, se sapremo collegarci col cuore con i nostri affetti fisicamente lontani e con le voci nascoste che da 2020 anni echeggiano in questa notte di meraviglie: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Auguri!
Vito Pinto