Critico letterario, saggista, giornalista, fondatore di riviste culturali, professore emerito dell’Università la Sapienza di Roma, ex presidente della RAI e del Teatro Stabile di Roma, Cavaliere di Gran Croce per meriti culturali, Walter Pedullà, morto a 94 anni il 26 dicembre 2024, è stato fra i più grandi intellettuali che il Sud possa vantare. Nato a Siderno nel 1930, laureatosi in Lettere a Messina, si è trasferito giovanissimo a Roma dove fu assistente di Giacomo Debenedetti, che era stato il suo maestro. Inelencabili sono i premi conferiti a Walter Pedullà, lungo e variegato è l’elenco delle sue pubblicazioni.
Intellettuale di altissimo profilo, indiscusso protagonista della cultura italiana, il professor Pedullà mai ha tagliato i legami con il Sud, con le sue radici. Sempre raccontava della sua terra, la Calabria. E ne scriveva. Uomo dall’aspetto imponente, dal grande carisma, dallo sguardo diretto e profondo, col suo orgoglioso accento calabrese parlava molto del Sud ai suoi studenti della Sapienza, dove ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea fino al 2005.
Il mio Professore, il professore Walter Pedullà, ha lasciato una traccia indelebile in noi che abbiamo avuto il privilegio di essere suoi studenti. Ho di lui ricordi profondi. Le sue lezioni illuminavano le principali strategie dell’innovazione del XX secolo, analizzavano i diversi realismi e le cicliche transizioni, disegnavano i ritratti degli autori che hanno reso frande il Ventesimo secolo. Valorizzò le Avanguardie a partire dal Futurismo: dall’uomo di fumo di Palazzeschi… impossibile essere stati suoi studenti e non sentire echeggiare nella mente la voce del Professore al solo sentire il nome di Palezzeschi!
E poi c’è il Meridione, la valorizzazione degli intellettuali meridionali. Da emigrato, il suo è uno sguardo che indaga dal basso: ‘il mondo visto da sotto’. Uno sguardo che con puntualità affonda nelle strutture compositive e nelle tecniche espressive dei grandi scrittori meridionali del ‘900. L’analisi della narrativa di Pirandello, Alvaro, Vittorini, Brancati, Rea, Flaiano, D’Arrigo, Strati, Pizzuto…smaschera inganni e misfatti del Sud, sconfinando nella Storia, svelando verità occultate.
Amatissimo da tutti noi, che ci affollavamo nell’aula, le sue lezioni hanno lasciato in me e nei miei compagni di corso tracce indelebili che hanno segnato, indirizzandole, le nostre carriere. Il Professore trasmetteva grande serenità, una serenità che gli derivava della sua profonda conoscenza e della sua grande capacità divulgativa. Si faceva ascoltare. Volevamo ascoltarlo. Desideravamo che la sua lezione non terminasse mai.
A distanza di molti anni, lasciata Roma, ero tornata a vivere nel Cilento. Seppi che il Professore sarebbe venuto ad Acciaroli. Era fine settembre del 2016. Si svolgeva la Prima Edizione degli “Stati Generali della Letteratura del Sud”, Dovevo esserci, dovevo rivedere il Professore. Quella sera Pedullà parlò della sua vita di giovane studente emigrato, della sua formazione, della sua carriera, di politica e letteratura negli scrittori del Sud.
Dovevo parlare con lui. In un momento di pausa fra un intervento e l’altro il Professore era seduto al tavolino di un bar in una piazzetta di Acciaroli. Mi avvicinai, timidissima come ero a lezione, e il suo sguardo mi invogliò a parlare, a dirgli: “Professore, sono una sua allieva”. Utilizzai il tempo presente, come se tutti quegli anni non fossero mai passati. E riflettendoci adesso capisco che è così, perchè il tuo professore resterà per sempre il tuo professore. Cosa mi disse? Mi fece cenno di sedermi. E parlai quasi sempre io, emozionatissima. Avevo necessità di dirgli che del Sud anch’io, del Cilento. Perchè delle nostre comuni origini del Sud, a Roma, non avevamo mai parlato. Mi chiese cosa facessi. Ascoltava interessato quando gli dissi che stavo insegnando: le prime supplenze. Gli confidai, non senza un certo imbarazzo, che avevo in mente di scrivere un libro, un romanzo. Dopotutto, se non lo confidavo a lui, al mio professore, a chi altri dovevo dirlo?, pensai in quel momento? Ammisi che ancora non avevo scritto nemmeno un rigo, che ci stavo ancora pensando. Doveva essere qualcosa da dedicare al Sud, al mio Cilento, ma non c’era una trama, nulla ancora. Aspettavo mi dicesse qualcosa, ma lo chiamarono. Era tempo che si avvicinasse di nuovo al microfono. Alzatosi in piedi, col suo sguardo diretto, mi disse di prendermi il tempo per riflettere. Avrei capito quando sarebbe stato il momento giusto per prendere la penna e iniziare a scrivere. Dopo quelle sue parole sentii il bisogno di abbracciarlo. Forte. E andai a sedermi in prima fila per ascoltarlo. La stesura di “Mirari” è iniziata circa un anno dopo. Non ho più avuto occasione di incontrarlo né di sottoporgli il libro, come avrei desiderato fare. La notizia della sua morte mi stravolge perchè quando perdi un maestro, quando perdi il tuo professore, senti di perdere il terreno sotto i piedi, le certezze, le sicurezze, e senti solo il tempo impietoso che scorre. Ma poi cerchi per tutta casa i suoi libri e capisci che le solide basi e gli insegnamenti del tuo professore sono lì. Devi solo ascoltarlo. Devi solo ascoltare la sua voce.
Ci mancherà Professore!