La campanella è suonata già da un pezzo. E continuerà a farlo. Tanto invocata segna l’ora di lezione. I ragazzi si apprestano a ricominciare. In faccia hanno il prezzo di una pandemia ancora dilagante. La paura della reclusione, consumatasi nelle loro camere. Lì dove tutti i sogni sembravano appiattiti. Sulle spalle lo scudo della sofferenza e della noia. E te ne accorgi negli occhi di chi mangiucchia nervosamente i polpastrelli, nonostante abbia imparato, dall’ammaestratore di vite – il Covid – che le nostre mani rappresentano un ricettacolo di germi.
Ricominciare vuol dire anche lasciarsi alle spalle ciò che è stato. Non gettando nel cestino ciò che abbiamo appreso. Buttando fuori, facendo spazio. Ed è proprio questo il compito per le vacanze estive, che Viola Ardone, insegnante e scrittrice, ha assegnato ai ragazzi: «Impara a disimparare, fai spazio, libera, alleggerisci, svuota. È la condizione per poter ripartire». Solo così si potrà tornare a desiderare. Ma affinché questa condizione avvenga è necessario un altro tassello: creare stupore, accendere il desiderio. Solo così i ragazzi saranno capaci di ritrovare il loro io. In alcuni casi dolorante e incompreso.
Il dolore. Parlarne è una questione spinosa quanto urgente. Forse perché mai nessuno ne parla; forse perché la nostra società è disabituata al fallimento e poi al processo di guarigione; oppure è inconcepibile per le nostre coscienze ammettere che un fardello così grande, da portare dentro e dietro, possa attraversare le vite di bambini e adolescenti. Alessandro D’Avenia, nella rubrica Ultimo Banco sul Corriere della Sera, evidenzia come trattare il dolore solo come difetto di una macchina biologica fa perdere la capacità di trasformarlo in risorsa. Per far sì che avvenga questo è necessario dargli senso, raccontarlo, accoglierlo come nostro. Solo in quel momento si potrà guarire: quando lo raccontiamo, permettiamo al processo di guarigione di avvenire. «Non possiamo privare i ragazzi — non a caso definiti «la generazione fiocco di neve» per come li iper-proteggiamo da cadute, lutti e fragilità — né del dolore né del codice simbolico per aprirsi alla sofferenza come cammino verso il nuovo e verso l’altro, altrimenti li consegniamo alla paralisi della paura e dell’indifferenza».
Tempo fa è stata istituita una commissione ministeriale per lo studio del livello di benessere e malessere nelle scuole italiane, alla quale Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, ha partecipato. I numeri dicono che il 73% sta male e, all’interno di quest’ultimo gruppo, il 60% non ha ricordo di essere mai stato bene in classe. Tra le cause il carico richiesto: «Allo studente viene chiesto di imparare troppo, in poco tempo, senza passione, con l’ansia di doverne rendere conto, la frustrazione di non riuscire, la sensazione di perdere tempo per cose più utili e piacevoli. Di fronte a tutto ciò il cervello è costretto a spendere energie per qualcosa che non provoca benessere, bensì allerta». Un cortocircuito che genera malessere, insomma. Questo non significa cancellare programmi e voti. Quindi, che fare? L’apprendimento deve essere accompagnato da gioia ed emozione. Affinché avvengano comprensione e memorizzazione, è necessario scorgere dalle prime avvisaglie lo stato d’animo di chi sta per apprendere. E quindi incoraggiare e sostenere. Oggi, all’insegnante non è richiesto solo di conoscere la disciplina ma di «energizzare», «erotizzare» le informazioni. In che modo? Il cervello – che non può essere «ingozzato» – può accogliere nuove informazioni quando chi le impartisce è in grado di trasformarle e rinnovarle. Ovverosia far venire la voglia di toccarle, entrarci e sentirle. E questo lo sa bene Massimo Recalcati che ne L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, riflette su come in un’ora di lezione possano aprirsi nuovi possibili mondi, se si fare del sapere un oggetto del desiderio. Alcuni libri, alcune opere d’arte, alcuni insegnanti possono darti il giusto equipaggiamento e spazzare via il tempo mediocre. Non sappiamo spiegare bene il perché, ma alcuni incontri possano salvare davvero un’esistenza.