La controversia nasce dalla causa di una lavoratrice che, dopo aver lavorato per un piccolo Comune sulla base di una serie consecutiva di contratti a termine, ha ottenuto l’accertamento dell’illegittimità dei contratti e il diritto a ottenere un risarcimento economico.
Per la Corte UE, nella Sentenza nella causa C-494/16, gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità nella scelta degli strumenti utilizzabili per contrastare l’abuso dei contratti a termine determinato.
Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a termine determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi di contratto a termine determinato e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a termine determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
- devono essere considerati “successivi”;
- devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.
La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che,
- da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a un abuso di contratti a tempo determinato. Mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
- bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore. Accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno.
Dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato. Purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Fonte: Lente Pubblica