la scvola di atene tavola xxxviii – lxxii epistola prima
Si vanti pure e gridi alto di Cassiodoro la magnifica città di Squillace il nome!
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A Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (Squillace 480 d.C. – Squillace 575 d.C.) figlio di Cassiodoro III della città di Squillace, cui tra pochi tenne della “prudentia” alto il vanto… il mio saluto!
(Cassiodoro, “Institutiones”)
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Tanti ne riserva il medioevo di tesori che io non conoscevo et la Calabria che bagnandosi del mare che fu già della figlia di Inaco, alta si vanta per il ricordo di una città antica che ancor ne porta i segni ed esiste e di un suo figlio di cui pur conoscendone nella storia di quei terribili anni che furono le invasioni barbariche, condizionato dall’ingeneroso giudizio di alcuni storici, segnatamente dell’autore di quella monumentale “Storia di Roma” che meritò il Nobel, il quale oltre a descriverlo come un uomo “furbo et millantatore” lo tacciò addirittura di “collaborazionismo” con i Goti, sempre ne avevo trascurato il nome, ancor che rammaricato da quella accusa di non avere mai nelle sue opere, che pure furono tante, né scritto o peggio ancora difeso quel santo spirito che in Cielo d’Oro riposa e che dalla rabbia del “ suo” re goto ebbe la morte. E quindi spinto da tanta “asprezza” nei miei anni migliori me ne andai per altri lidi e per altri autori a cercare per il sacrificio e la coerenza chi, in quella passata stagione, potesse, con le sue opere e la sua vita “esemplare” forgiare, modellare il mio spirito. E di te, maestro Cassiodoro, la cui vita con le opere del teutonico storico pagava l’ingiusta soma, ne respinsi i doni e di quella tua frugale “prudentia”, di cui avanti dirò, che fu sempre la tua misura, ne più mai potei dei suoi prelibati frutti cibarmi. Chè troppo in quella età che all’ “eroico gesto” l’uomo si vota, alto su di me del demone “romantico” pesava la gloriae fui allora, di tanti che nella Storia restano, vittima inconsapevole et mediocre artefice. Ma venne poi il tempo che gli anni assottiglia et all’eternità assomigliandoli con i ricordi torna la nostalgia e qualche rimpianto, ed oggi che “canuto senescendo” del nostro lungo pellegrinare sulla terra avanza il tempo del congedo et avanti si parano i campi del silenzio ineffabile ove “nulla vacilla e.. nessuna foglia mai cadrà”, so, maestro, che tua fu la ragione et mio il torto, chè se il mondo (e leggi pure, lettore, il nostro travagliato presente) avesse, nel suo lungo cammino, fatto più alto uso della tua “prudentia”, che Colui che “per la sua universalità parrebbe volesse abbracciare tutto” stimava “nelle cose civili e nel viver degli omini” essere più di qualunque altra cosa certa la scelta migliore, forse oggi avremmo meno guerre e più pace et forse anche maggiore libertà. Se, continua sempre il Nostro, che all’“Arte Edificatoria” dedicò un trattato, è vero che mandato da Roma contro Annibale quel tal Fabio “indugiando e supersedendo” spezzò del nemico l’impeto e“temporeggiando” trovata l’occasione con la vittoria restituì al popolo romano la “caduta libertà”. Ah quanto alta et nobile, fu la tua potenza quando dagli antichi eri di tutte le virtù considerata l’auriga, di contro invece al nostro tempo che deridendoti ti neglige condannandoti a languire in questo “frenetico et caotico” mondo, in cui più, ammonisce Galimberti, non soccorrendoci la pratica dello stoico motto (sustine et abstine) sol con l’efficienza e la velocità vale il “rotondo” et feroce governo della “tecnica”. Ed a nulla più vale, maestro Cassiodoro, il tuo esempio ed il tuo sereno, riflessivo andare prudente chè altro non era che la sicura soluzione ai problemi e fu solo la tua “saggezza” allora che scontri annunciandosi e terribile tenne alta la fiammella di quella antica “civilitas” romana che altrimenti abbandonata, più terribili frutti avrebbe a quegli anni arrecato. E di contro a coloro che, a quelli che “sanza infamia e sanza lodo” il divin poeta taccia sol “per sé furo”, associano la tua vita, noi, che di quel tempo ne coltiviamo con umiltà la cura, rispondiamo che non fu, maestro Cassiodoro, la tua né ignavia nè indolenza né peggio ancora mancanza di coraggio ma sol necessaria, utile “prudentia”, ovvero “principio” fondante di un agire politico lungimirante che, muovendosi sulle orme degli antichi padri, ti vide di contro all’impeto delle decisioni caricarti del grande “peso” del tuo alto “officio”. Chè solo mosso allora dalla tua “prudentia” potè in parte realizzare quel tuo sogno, che fu di tanti prima te, di qualcuno morto martire, che era conservare conciliando con il “vigore” dei Goti quel che ancora restava della antica “civilitas” del glorioso impero romano, ovvero quella grande eredità culturale e politica che altrimenti governata avrebbe potuto mettere in pericolo il futuro stesso della nostra attuale civiltà. Un cammino di secoli e di gloria che in bilico sull’abisso di un popolo fiero et bellicoso trovò nella tua “prudentia”, maestro Cassiodoro, e nei tuoi consigli il timone per mirare vero l’integrazione.
E se dagli storici al regno di Colui che nel gran Mausoleo di Ravenna giace, viene unanimamente riconosciuto il merito di aver di un popolo barbaro compiutolo all’obbedienza delle leggi ed in tempi davvero difficili di sanguinosi contrasti religiosi, praticato quel principio che fu proprio dell’età della ragione illuminata, molto, maestro, di certo fu anche del tuo agire politico, della tua saggezza e della tua “prudentia”, il frutto. E non fu viltà o “furbizia” chè quando stava per scoppiare la guerra greco-gotica ancora una volta, con la tua “prudentia” ci provasti a fermarla, ma a nulla valsero né la diplomazia nè i tuoi tanti appelli alla pace. Ma non mai rassegnato, chè altro, oltre il severo giudizio, era il tuo coraggio, e così con papa Virgilio a Costantinopoli ancora una volta ci provasti ma inutile et vani furono tutti i tentativi e quei colloqui chè troppo erano oramai gli animi incendiati. E così quando poi scoppiò questa guerra portandosi dietro rovina e distruzione e finì per prendersi con l’Italia anche il tuo amato “Bruzium”, tu, maestro, come già un altro Grande che “dopo aver assunto la cura del regno, sebbene la moltitudine degli affari di Stato richieda la nostra opera e le cure dell’amministrazione esigano grande sollecitudine, tuttavia quel poco di tempo, che riusciamo a strappare alle occupazioni che ormai ci sono divenute familiari non sopportiamo di trascorrerlo nell’ozio, ma lo spendiamo tutto nell’esercizio della lettura, affinchè l’intelletto si rinvigorisca nell’acquisizione della scienza, senza la quale la vita dei mortali non può reggersi in maniera” non avevi mai abbandonato gli studi, ma sempre,quando i doveri del regno ti scioglievano, tu ti ritiravi e nel segreto raccoglimento solo del tuo austero “scriptorium”, nell’esercizio silenzioso della lettura e della scrittura dentro covavi con la meditazione e la preghiera il desiderio del “chiostro”, ostinato e non mai sconfitto a realizzare il tuo sogno decidesti che era giunto il tempo di ritirati da ogni impegno politico e di tornare nella tua cara terra natale, che non avevi mai dimenticato. Ed abbandonando l’officio della promulgazione di editti, di decreti e delle tante sentenze che di quel difficile et bellicoso periodo ne illuminarono il diritto, avanzando le opere, tra queste ci sulle tracce del tuo alto agire politico ancora oggi sono luce su quel difficile quanto caotico periodo. In particolare ci piace di ricordarne almeno due. La prima, per la sua grande importanza “storica” quella tua raccolta di tante lettere e documenti, dal titolo di “Variae” cheabbiamo imparato a conoscere ed apprezzare solo in tarda età non solo per la varietà (da cui forse il titolo) dei diversi stili che la compongono ma anche e soprattutto, per la narrazione diretta, quasi plastica di quel tuo periodo così difficile in cui non solo la corte di Bisanzio ma anche il regno goto si videro artefice et vittima di oscure trame. Tanta, infatti, è la dovizia delle notizie e dei fatti narrati da farne, ancora oggi, per chi quel tuo periodo storico ne coltiva con la passione lo studio, un’opera capitale, ma anche per l’uso misurato della tua “prudentia” un utile strumento per chi l’ardua et alta arte della politica volesse intraprendere. La seconda opera, necessariamente per quel tuo sogno di unire in un unico popolo i goti con romani,che ci piace di ricordare è quella tua monumentale in dodici libri “Historia Gothorum”, di cui sfortunatamente ci rimane solo un’“epitome”, nella quale esaltando del popolo goto la forza e la lealtà, tentavi davanti all’imperatore di Bisanzio che altrimenti tramava per conquista dell’Italia, di avvalorarne con argomenti di grande passione il ruolo del popolo goto di novello alfiere e custode della antica “civilitas” romana, che altrimenti abbandonata alla furia dei tanti altri popoli barbarici che allora occupavano l’impero d’Occidente, avrebbe potuta andare persa per sempre. E poiché, maestro, tu tutto questo non potevi, era stata la tua vita politica, accettarlo, quando con i disastri della guerra che venne e che fu lunga et terribile, tutto sembrò irreparabilmente crollare ed ogni memoria distrutta, tu, cui la vita non fu, come il malevole critico volle insinuare, solo carriera, ostinato al tuo sogno decidesti per sempre di lasciare ogni incarico e di tornare nella pace ritirata della tua amata città di “Solacium” di cui, da figlio devoto, nelle pagine delle tue “Variae”, scrivevi “posta sul golfo Adriatico, degrada dai colli come un grappolo d’uva, non perché sovrasti superba da un’erta salita, ma per aprire la vista voluttuosa sui campi verdeggianti e sul ceruleo mare. Essa vede il sole quando nasce dalla sua stessa cuna, ed il nuovo giorno non si fa annunciare dall’aurora, ma non appena inizia a sorgere, un radioso splendore rivela la sua sfera luminosa. Essa mira quindi Febo gioioso: allora risplende di una propria luminosità tanto chiara, da far pensare che lì sia la patria del sole, superata la fama di Rodi. Gode dunque di una luce chiarissima; ma le fu donato anche un clima temperato: beneficia di miti inverni ed estati fresche, e il tempo passa senza alcun disagio là dove non si temono stagioni avverse. Per questo anche i sensi dell’uomo sono più liberi, perché il clima temperato modera ogni cosa”. E così, come tu stesso, maestro Cassiodoro, nel tuo “Computus Paschalis” , per primo nella storia utilizzando il sistema di datazione “A.D.” (Annus Domini), ci insegnasti anche noi ti seguiamo e nell’“A.D.554” ritornasti nella tua amata “Scolacium” oggi città di Squillante, dove nel silenzio della solitudine lunga di quelle plaghe affacciate sul mare d’Oriente, realizzare quel tuo sogno di “salvare, conservare e tramandare “ tutto quello che dell’antica sapienza antica ancora rimaneva. E fu così, oltre i tanti commenti agli “Atti degli Apostoli” ed ad alcuni passi dell’”Apocalisse di Giovanni”, che quello che, negli anni del tuo impegno politico più intenso, annunciava quel tuo saggio sulla natura dell’anima (De Anima) che tante conseguenze ebbe sul pensiero di quelli che verranno, che quello che era da sempre stata la tua nostalgia più risposta, si concretizzò. Ed in quella terra che ancora ne custodisce gelosa il ricordo, in vista del mare, per le sue piscine per l’allevamento dei pesci fu detto poi del “Vivarium” di contro al monte di un altro Grande, fondasti il tuo monastero. Un luogo santo in cui nel silenzio del “chiostro”, oltre alla edificazione della propria anima, insisteva solenne, per i tanti monaci che affolleranno il tuo monastero, il dovere primo della “copiatura e della conservazione” dei codici e dei testi antichi. Ed alla cui silenziosa “lungimiranza” possiamo noi oggi ancora godere della lettura di opere altrimenti perdute, tra cui sicuramente le “Antichità giudaiche “ o “La guerra giudaica” di Giuseppe Flavio, che tanto ci narrano del tempo in cui si consumò la vita e la predicazione di Cristo. Tanto, maestro Cassiodoro, sentivi alto quel dovere di salvare, di conservare e di tramandare ai posteri quella antica sapienza che non mancasti nelle tue “Institutiones” di confessare che “tra i lavori fisici” svolti dai monaci preferivi “non senza giusta causa, quello dei copisti, quando essi ovviamente scrivono senza errori, poiché, leggendo le divine Scritture, istruiscono in maniera benefica la loro mente e scrivendo seminano in lungo e in largo gli insegnamenti divini” l’unico, in verità, che perpetrato e mosso avrebbe potuto e lo fece, salvare la nostra civiltà . Scriveva, infatti, a perenne gloria tua et a vanto di quel tuo “Vivarium” , in una prefazione alletue “Institutiones” un saggista che “la biblioteca era il centro di cultura di tutto il tuo monastero” e tu, maestro, quotidianamente visitandola ,“personalmente” curavi la copiatura dei testi vagliandone la fedeltà e la correttezza, perché, continua il Nostro, “tutti li avevi studiati, annotati, arricchiti di segni critici, riuniti insieme secondo la materia in essi trattata e persino abbelliti esteriormente” tanto per la sapienza antica era alto il tuo amore!
Ed in una Italia devastata dalle carestie e distrutta dalle guerre, in un tempo assolutamente avaro di cultura con il tuo “Vivarium” accendesti un faro così splendente che ancora oggi il mondo se ne illumina, tanto che se del grande frate di Norcia fu vanto alla sua santità il suo “ora et labora”, a te, maestro Cassiodoro, che in epigrafe della mia epistola, reciti “voi tutti che vivete rinchiusi entro le mura del monastero….prima di tutto accogliete i pellegrini, fate l’elemosina, vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può dire veramente consolato colui che consola i miseri” rimane, di quel “secondo comandamento” che tanto urge oggi al papa regnante eche Gesù, ai farisei che lo interrogavano, comandò, la gloria et l’obbedienza più totale, tanto da poter, con ragione, lecitamente affermare che non è forse molto lontano il tempo della tua santità. Se invero, già servo di Dio per il culto che “ab immemorabili tempore e anche in tempo più recenti” ti viene dai fedeli della diocesi di Catanzaro-Squillace reso, da qualche anno “per equipollenza” si è conclusa la preliminare del processo per la tua canonizzazione che portandoti presto agli onori dell’altare, non solo dichiarerà la tua illimitata umanità, ma spazzerà via per sempre dalla tua vita il dubbio del germanico censore e sarà ai quattro angoli della terra il tuo nome da tutti chiamato santo!
Questo, maestro, il mio epigramma: “E se ti costò, masetro Cassiodoro, la prima ti assolse la seconda vita che nel “Vivarium” si spense”.
C’è ancora, maestro, un altro epigramma” E se ai Goti furono i tuoi voti troppo devoti non fu parte, maestro Cassiodoro, ma sol di Roma di salvare la sua arte”
Questo, maestro, nei giorni del gennaio dubbioso il mio stato e l’amore accidioso… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di domenica 12 gennaio dell’anno del Signore 2025
P.S.
“Chiosa” di Pietro Lombardo: “Quando caduta di Roma la gloria, un’altra Roma governò, un uomo si spese consegnando al suo “Vivarium” l’antica sua “civilitas”.