A chi ha scelto di rimanere in Cilento, a vivere. A vivere e non solo a trascorrerci una vacanza, per poter postare due nelle foto sul proprio profilo Facebook o Instagram. A chi ha fatto a meno degli hashtag e ha deciso di rischiare cuore e speranze, per una emigrazione al contrario che sa di rivalsa personale o forse di scommessa fin troppo azzardata. Sono tante le storie che costellano le vite dell’entroterra e che lastricano il sentiero degli orizzonti, e quella di G.R. (non ha voluto trasparisse il suo nome), vissuta al Nord Italia per anni e ora tornata a vivere a Felitto, è una di queste. La storia di una emigrazione al contrario, la storia di una bambina divenuta donna accarezzando e coltivando le proprie radici altrove.
Come mai hai deciso di tornare nell’entroterra della Valle del Calore dopo una vita passata al Nord Italia?
Sembrerà una risposta banale, ma per necessità. Non riesco a spiegarmi bene, forse, ma io sono partita per il Nord quando ero piccola e c’erano i miei genitori. Ho lavorato per anni in una fabbrica, e ora quella fabbrica ha chiuso. In una grande città, a quarant’anni e con poca esperienza, se non quella lavorativa inerente alla fabbrica, non ho trovato nulla, e ho deciso di rischiare tornando alle mie radici.
Di cosa ti occupi ora al tuo paese natio?
Faccio la badante. Mi prendo cura di una signora anziana che vive nel centro storico. So che non è il lavoro della vita, ma non ho trovato altro. Stranamente, non lo trovo un brutto lavoro. Non vuole farlo nessuno, se non qualche donna emigrata dall’Est Europa, ma io negli occhi della vecchietta che accudisco rivedo quelli della mia mamma che non c’è più.
Come sono cambiate le tue abitudini da quando hai lasciato la città dove hai vissuto?
La città deve piacerti molto, se vuoi viverci per un lungo periodo, per anni o per sempre. Io ci sono emigrata per necessità e per necessità l’ho abbandonata. Avevo anche là le mie abitudini, ma mi sentivo una formica schiacciata nella giungla urbana, ero soltanto un numero in fabbrica ed ero completamente alienata. Ho conosciuto tantissime persone ma non sono mai riuscita a sentirmi pienamente umana e serena, ho sempre sentito un pezzo mancante.
Quali sono le abitudini riprese al tuo paese?
Uscire la mattina presto per un caffè e ritrovare gli occhi dei miei ex compagni di scuola e raccontarci le nostre vite. Salutare i negozianti e fare la spesa, godermi larghe passeggiate in piazza o tra i vicoletti stretti del centro storico, respirando aria salubre e guardando il paesaggio. Rilassare un po’ la mente, dopo anni di corsa forsennata.
E quali sono le cose che invece non ti piacciono e a cui non eri più abituata?
Sembrerà orribile da dire, ma l’ignoranza altrui. Ho vissuto per anni in una specie di bolla in cui a nessuno fregava niente di me, e viceversa. Ora qui sei quasi obbligato a rendere conto di ogni cosa che fai, la gente parla e sono rimasti modi di ragionare abbastanza arcaici e mentalità retrograde. Non mi piace nutrire gli stereotipi, ma c’è ancora tantissimo a cui lavorare per liberare le mentalità dei paesini dell’entroterra. E poi, la cattiva politica. Un territorio lasciato a se stesso e amministrato male, con forme di clientelismo selvaggio e favoritismi spietati. Queste cose non mi erano mancate.
Come si potrebbe risolvere la situazione, secondo il tuo modesto punto di vista di emigrata al contrario?
Io sono tornata qui per necessità. Non è stata una scelta pienamente libera, ma dopo varie esperienze riesco a prendermi il buono di questa situazione. Non ho soluzioni, ma dal mio punto di vista distaccato, l’unica rivoluzione sarebbe culturale, da fare nel piccolo delle menti degli abitanti. Consiglio ai giovani di emigrare se non hanno nulla da dare alla propria terra, se non criticarla. Se hanno voglia di fare, rimanessero, perché se ce ne andiamo tutti, prima o poi morirà. Lo dico io che sono tornata dopo anni, quando nessuno ci avrebbe scommesso.