di Giovanna Mulas
“Uomo conosci te stesso, e conoscerai l’Universo e gli Dei che in esso dimorano”. Così è inciso sul frontespizio del Tempio di Delfi. Il Generale Angelino Usai, primo storiografo d’Ogliastra e mio prozio, scrisse per primo di una pratica locale fortemente misogina, certo poco degna. Pare che, in un passato non troppo remoto, dalla cima più alta del monte Selene si affacciasse, durante le notti di luna piena, un gregge di anonimi maschi lanuseini respinti, per un motivo o l’altro da certe paesane, e comunque facinorosi, avvelenati -Dio o la Natura ne conoscono il motivo- con le donne in genere. Ebbene, forti del buio e soprattutto dell’eco che, sappiamo, può farsi auretta assai gentile/che insensibile, sottile /leggermente, dolcemente/incomincia a sussurrar; questi maschi gridavano, facendo nomi e cognomi, che la tale tradiva il marito con… e l’altra non era santa come la descrivevano, poi la signora…, invece, se l’intendeva durante la confessione col prete del paese. Pratica ovviamente sostituita, oggi, dai pettegolezzi da bugigattolo, spesso purtroppo avallati dalle stesse donne che sorelle almeno per Natura dovrebbero essere, alla calunniata di turno. Pure, il ricordo fugge alla mia nonna materna, vissuta in quella perla del Gennargentu che è Aritzo. La conobbi e la seppi sempre con un fazzoletto -prima colorato, da giovinetta, poi scuro da vedova- a coprire i lunghi capelli perché, come pure alle sue compagne si andava predicando: “si dovevano nascondere: attirano il peccato dell’uomo”. Davvero, dove vincono pregiudizi ed ignoranza quindi misoginia, non è poi così difficile rovinare la reputazione di una donna, e non lo è stato mai in verità, anche per la migliore moglie e madre che possa esistere in terra.
“Storie di Donne senza Storia” del caro Giuseppe D’Amico, giornalista e conferenziere, vice Presidente del Centro Studi e Ricerche Vallo di Diano e Direttore dei Quaderni dell’Associazione Luigi Pica (Editrice del volume con Laveglia&Carlone), è libro che si legge d’un fiato, è documento, a mio parere, di forte pregio ed ammirabile ricerca. Certamente alto è l’impegno che l’autore dimostra nel recuperare, riscattare attraverso storia e tradizioni le radici della sua terra, dell’intero Meridione d’Italia. Leggo, penso alle donne e non necessariamente ‘streghe’, reiette comunque e nonostante del passato e del presente, quindi penso ai Sileni di Alcibiade. Si dice fossero immagini ad intaglio, fatte in modo da poter essere aperte e dispiegate. Quando erano chiuse riproducevano la simpatica immagine deforme di un flautista, aprendosi rivelavano lo splendore e la purezza di un’immagine divina. “Avendone fatto esperienza, anche lo stolto sa”, dichiarava Omero.
Gl’ impedimenti basilari per farsi un’idea di una realtà sono l’imbarazzo e la paura che, sciorinando i pericoli, distolgono dal prendere iniziative. E’ noto che nei testi sacri di tutti i popoli a creare l’Universo è un dio maschile: Jhave’, Budda o Brama. Nella stregoneria, invece, il principio primordiale è femmina. Nell’eccezionale conflitto di correnti contrastanti quali le scuole occulte di magia, il Neo-Platonismo, la Cabala, le eresie cristiane, la magia e il dualismo persiani, unitamente ai resti della teologia greca ed egiziana in voga ad Alessandria nel terzo e quarto secolo d. C., nella Casa della Luce nel Cairo del nono secolo, è possibile notare che l’uguaglianza della donna rappresenta dottrina prominente. Era Sofia, o Elena la donna affrancata, considerata come il vero Cristo che avrebbe salvato l’umanità.
Un’insolita tela, scrive il D’Amico, che va sotto il nome di San Michele che calpesta il demonio o anche Diavolo di Mergellina, è conservata nella Chiesa di Santa Maria del Parto a Napoli. L’opera venne commissionata dal Vescovo di Ariano, Mons. Diomede Carafa al Pittore suo amico Leonardo da Pistoia, e allude alle tentazioni dalle quali si deve
–dalle quali il prelato doveva- trovare la forza di allontanarsi. Il Quadro raffigura un San Michele che abbatte il diavolo con uno stupendo volto di donna. Il viso tentatore era quello della Nobildonna Vittoria d’Avalos, che aveva fatto perdere la testa al Carafa.
Ancora oggi, a Napoli, una donna che reca solo guai è detta bella come il diavolo di Mergellina. Ovviamente, tra le riflessioni che l’Opera propone, s’intende quella di una profonda, costante necessità di lavorìo di cultura sulla mente plagiata delle Genti: “A Teggiano la gioia di avere un figlio maschio era più grande allorquando nascendo un maschio con vena o nervo grosso alla fonte, i genitori gongolando strombazzano, che verrà talentoso, sarà un mostro di scienza…”.
Trovo doveroso un excursus. In Italia, l’adorazione di Diana era diffusa al punto che, quando il cristianesimo si sostituì al paganesimo, gran parte del simbolismo pagano fu adattato ai nuovi riti e questo rese relativamente semplice la transizione dalla venerazione di Diana a quella della Madonna (Cfr. Edward Neville Rolfe, Napoli negli anni Novanta) tramite la lotta alla stregoneria il cristianesimo ribaltava sulle ‘donne del diavolo’ le imputazioni che il paganesimo aveva rivolto alle prime sette cristiane.
Dai testi dei concili, dei capitolari e dei penitenziali, vengono indicazioni molto precise sulla modificazione interpretativa del fenomeno magico e dei rituali pagani residui. Si andava affermando un modus operandi che considerava magia e culto del diavolo anche pratiche religiose altre. Accanto alle accuse ricorrenti di ateismo, empietà e sacrilegio, contro i cristiani non erano mancate l’accusa d’incesto, di cannibalismo, di culti orgiastici, scandalosi convegni notturni.
Secondo gli apologisti cristiani, la propaganda anticristiana che ebbe un peso determinante sulle persecuzioni fu dovuta in parte all’ignoranza del messaggio evangelico, quindi della condotta irreprensibile dei cristiani, ed in parte all’odio e al fanatismo delle masse popolari. Un contributo non indifferente in tal senso fu offerto dagli scritti polemici dei letterati pagani (Cfr. S. Di Meglio, Atti dei Martiri). Mentre la cristianità, il regno di Cristo, si diffondeva a oriente e occidente, fu del tutto naturale che i Padri della chiesa confinassero nel regno di Satana le religioni che stavano combattendo, sia quella giudaica che quella pagana. Tale processo contribuì alla rappresentazione pittorica del diavolo nell’arte cristiana.
Ancora, c’è da dire che le sofferenze della maggioranza degli uomini furono di gran lunga maggiori durante la prima parte dell’era cristiana, o fino alla fine del Medio Evo e dell’emancipazione dei servi, di quanto lo fossero state prima. Questo perché, negli antichi tempi pagani, gli umili non sapevano che tutti gli uomini erano, o dovevano essere, uguali davanti a un Dio, e che anche come schiavi avevano dei diritti sulla terra. Che molti abusi fossero mitigati ed esistessero santi benevoli non cambia la realtà dei fatti e cioè che in generale, per molti secoli, l’umanità sia vissuta in condizioni peggiori di prima e la causa maggiore di questa sofferenza si potrebbe addebitare ad una nuova consapevolezza dei diritti negati; cosa che è di per se stessa una tortura (Cfr. C.G.Leland).
Dall’Opera del D’Amico:”Nei confronti della donna addirittura feroce era l’espressione che ricorreva a Sala Consilina:“la fimmina nasci ccu lu malahurju”(la femmina nasce col malaugurio)”.
Giuseppe D’Amico illustra minuziosamente e con sacro, dovuto rispetto, le vicende di quelle donne che, attraverso il loro impegno silenzioso, hanno contribuito alla crescita sociale e culturale del Vallo di Diano e del Cilento.
“Storie di Donne senza Storia” è scritto di e su cui, da donna e madre prima che scrittrice, consiglio vivamente lettura nonché profonda riflessione.