Di Alberto Di Muria
Il genere Phyllanthus comprende circa 600 specie diverse. Sono piante erbacee annuali diffuse nelle aree tropicali e sub-tropicali d’entrambi gli emisferi, dalle foreste amazzoniche fino al sud-est asiatico.
La droga, costituita dalla pianta intera o dalle sommità, è d’uso consolidato in antiche dottrine mediche, tra cui l’Ayurveda e la medicina tradizionale cinese, per curare patologie a carico di differenti organi e apparati.
Gli impieghi tradizionali sono come rimedio anti-diarroico, febbrifugo, stomachico, cioè favorente la peristalsi dello stomaco, emmenagogo, cioè favorente le mestruazioni. Il campo terapeutico di maggiore interesse è però l’epatologia, perché numerosi studi hanno dimostrato come Phyllanthus niruri protegga efficacemente il parenchima epatico dai danni indotti dalle tossine e dai virus dell’epatite.
I primi lavori risalgono alla seconda metà degli anni ’80 con uno studio pilota su pazienti affetti da epatite B trattati con un preparato a base di P. amarus o placebo per 30 giorni: dopo 20 giorni si verificò la negativizzazione dell’antigene dell’epatite B in 22 su 37 pazienti del gruppo sperimentale, contro 1 su 23 del gruppo placebo. I soggetti rimasero siero-negativi a 9 mesi dalla sospensione.
A oggi, però, non disponiamo di elementi sufficienti né ad affermare né a smentire l’efficacia antivirale di P. amarus contro il virus dell’epatite B. per dirimere la questione servirebbero studi clinici di sufficiente potenza statistica.
Phyllanthus niruri e amarus, col loro effetto epato-protettivo, restano comunque un’interessante opzione di trattamento del paziente con epatite virale cronica in cui il danno tissutale è sempre sostenuto dal forte stress ossidativo. Lo conferma, ad esempio, un trial su 50 pazienti con epatite C trattati per 10 settimane con un estratto di P. amarus che ha normalizzato le transaminasi e la perossidazione lipidica, ripristinando la potenzialità del sistema antiossidante.