Di L.R.
La gioia dell’amore nelle famiglie, giubilo per la Chiesa coinvolgente speranza per
l’umanità è il tema della esortazione apostolica appena pubblicata. In questo documento Francesco, raccomandandosi alla coscienza, intona un inno all’ottimismo sulle possibilità dell’uomo; infatti la ritiene capace di autentico discernimento su coinvolgenti situazioni della vita. Mentre leggo, intono un canto di ringraziamento per la speranza che il pontefice sa infondere; mi pare di scorgervi una sorta di riscatto rispetto alla delusione causata dai poteri forti della conservazione curiale chiusi alle esigenze pastorali di dialogo con l’uomo della post-modernità.
Purtroppo, da vari fronti si persegue l’indebolimento del concetto di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; ciò non giova all’umanità come dimostra l’attuale diffusione di un nichilismo esasperante e senza prospettive. Una riflessione serena ed oggettiva aiuta a notare che atteggiamenti di ostilità non fanno maturare individuo e comunità, né favoriscono un’autentica esperienza di relazione amorosa. Di fatto, non vi è parità tra un matrimonio che fa gustare la letizia dell’amore ed esperienze di coppia di fatto o tra persone dello stesso sesso, il cui rapporto da la sensazione di essere molto più precario. Ciò non significa che chi condivide questi tipi di esperienza di coppia non deve essere rispettato, né che sia incapace di una relazione amichevole. Ma il diffondersi di pratiche come l’utero in affitto, modernissima condizione subalterna di schiavitù dei più poveri materialmente e, soprattutto, in termini di sensibilità per l’ingiustificabile mercificazione del corpo, determina un’evidente disuguaglianza di condizioni che si affianca a quelle collegate alla mancanza di un lavoro dignitoso. Ovviamente, la proposta cristiana presenta delle indubbie difficoltà soprattutto per l’attuale pervadente permissivismo che indebolisce il senso del dovere ed esalta soltanto quello dei diritti, che foraggia un io gargantuelico perché fa dell’egoismo la molla di ogni azione. Ne deriva l’improcrastinabile impegno per una educazione che faccia scoprire in tutte le passioni dell’uomo una potenziale possibilità di maturazione seguendo percorsi di formazione che preparino alla reciproca donazione ed abituino i giovani a scegliere tenendo presente la pratica di una rispettosa tenerezza per comunicare se stessi e dare senso alla vita anche dell’altro.
L’Esortazione, articolata in 9 capitoli, va letta nella sua integralità per coglierne la portata ed il liberante significato per il singolo fedele e per la chiesa tutta. Sarebbe riduttivo presentarla solo come la concessione dei sacramenti ai divorziati risposati; si tratta, infatti, d’integrare nelle comunità cristiane, facendo superare forme di esclusione non più proponibili chi, grazie al discernimento personale e all’aiuto pastorale in una prospettiva di pentimento, considera che il grado di responsabilità non è sempre uguale e gli effetti di una norma non sono sempre gli stessi anche quando si fa riferimento alla disciplina sacramentale. E’ di grande conforto per divorziati impegnati in una nuova esperienza di vita in comune potersi percepire parte della Chiesa, quindi non più soggetti all’indice puntato della scomunica; nessuno può essere condannato per sempre, ne andrebbe della potenza redentrice di Cristo, con la conseguenza di generare una pericolosa insidia per la logica del Vangelo.
Francesco affida a tutti noi la pratica realizzazione di questo percorso d’intensa riflessione da concludere con l’abbraccio della misericordia di Dio. I laici, secondo l’antica formula della lex orandi, devono acquisire coscienza che la relazione sponsale è l’immagine dell’amore di Dio, come ha sottolineato in un suo documento Giovanni Paolo II, condizione imprescindibile per gustare la letizia di Adamo, il quale supera il magone della solitudine soltanto quando, intravedendo Eva, percepisce un sentimento di gioia serena, della quale sovente si possono immaginare privi certi vecchi custodi di codici.
La Chiesa deve mettere a disposizione di chi è alla ricerca di senso ed è disposto al pellegrinaggio, a volte doloroso, del ritorno al Padre, i sacramenti perché il confessionale non è una sala di tortura e l’Eucarestia non costituisce il premio per i perfetti. La comprensione che si manifesta risponde all’ideale evangelico se si procede ad un adeguato discernimento nella consapevolezza che non esistono semplici ricette per “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente”. L’integrazione è la chiave dell’accompagnamento pastorale, perché questi fedeli appartengono alla Chiesa e ne possono avere una gioiosa e feconda esperienza.
Non è praticabile la facile via di una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi perché il grado di responsabilità non è sempre lo stesso. I sacerdoti devono “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”. Per pervenire in diocesi ad una prassi condivisa ne deriva la necessità di un chiaro intervento del presule, dal quale si attende con ansia un pronunziamento per avviare una riflessione capace di rispondere adeguatamente alle esigenze dei fedeli; probabilmente, un argomento come quello affrontato dal documento papale può costituire l’oggetto della sua prima lettera pastorale. L’intervento potrebbe risultare estremamente vantaggioso e di ausilio per alcuni nel clero che, mentre nell’Esortazione di Francesco si afferma che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”, appaiono troppo legati a vecchie normative, affermate con enfasi nel passato e che rischiano di compromettere l’opportunità, se non proprio la necessità, di una prassi condivisa.