di Alessandro Pecoraro
L’associazione “Salerno Capitale”, fondata da Vincenzo Pellegrino e Angelo Avallone, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione sulle peculiarità storico-culturali della nostra provincia, ha proposto il recupero del sommergibile “Velella”, affondato al largo di Punta Licosa. A pochi giorni dalla proposta dell’associazione è arrivata anche l’interrogazione parlamentare da parte della senatrice del gruppo ALA (Alleanza Liberalpopolare – Autonomie) Eva Longo, rivolta ai Ministri di Difesa, Beni Culturali e Sviluppo Economico. Il “Velella” era un sommergibile di media crociera lungo 63 m e largo 6, dotato di due motori FIAT da 1500 CV e due motori elettrici da 800CV. Era munito di un cannone 100/47 da 149 colpi calibro 100mm, due mitragliere pesanti Breda da 13,2mm, 4 tubi lanciasiluri anteriori da 533mm e 2 posteriori. Iniziato nel 1931 dal CRDA (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) di Monfalcone (Gorizia) per la Marina Portoghese, venne completato nel ’35, ma il Portogallo rinunciò all’acquisto per difficoltà finanziarie. Entrò in servizio nel ’37 per la Regia Marina, dall’Adriatico fu trasferito nel ’38 a Lero (isola Greca), poi a Tobruk (Libia) e a Massaua (Eritrea). Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale effettuò svariate missioni. Nel’40 fu tra Rodi e la Tuchia, poi ritornò a Lero per un avaria del motore e venne riparato a Taranto. Dopo alcune missioni nel Mediterraneo orientale fu inviato nell’Atlantico. Uscì indenne dallo stretto di Gibilterra dopo aver superato svariati attacchi. Raggiunse Lisbona, poi, per un guasto al motore si diresse verso Bordeaux, sede della base italiana Betasom. Tra febbraio e marzo del’41 fu inviato al largo delle coste irlandesi, a fine maggio era a ovest dello stretto di Gibilterra e nella notte attaccò un piroscafo e una nave cisterna, ma non esistono conferme su un loro effettivo affondamento. Nell’agosto del’41 fu in Marocco, poi a Cagliari. Nella primavera del ’42 operò per la Scuola Sommergibili di Pola, in Istria. Nell’aprile del’42 svolse la sua prima azione di guerra nel Mediterraneo a sud di Capo Palos, in Spagna, senza però affondare navi né essere affondato. Nell’estate del ’42 navigò prima verso le Baleari, in contrasto all’operazione inglese di rifornimento “Harpoon”, poi verso la Tunisia. Dopo che ne ebbe assunto il comando il tenente Mario Patanè pattugliò le coste algerine. Il 10 luglio del ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia, fu inviato a contrastare le operazioni degli alleati. Fu attaccato, e, tornando a Taranto, riuscì a trarre in salvo 5 membri dell’equipaggio di un aerosilurante abbattuto nei pressi di Capo Colonna. Il 23 luglio fu inviato fra Augusta e Siracusa senza ottenere risultati. Il 3 Settembre fu firmato l’armistizio, ma si aspettò l’8 per darne l’annuncio ufficiale alla popolazione e alle forze armate. Nell’ambito del “Piano Zeta”, teso a contrastare l’Operazione Avalanche (lo sbarco anglo-americano in Campania), il sommergibile fu lasciato partire da Napoli il 7 settembre 1943, quattro giorni dopo aver firmato l’armistizio, a insaputa della Marina. Verso le otto di sera il Velella e il Benedetto Brin furono avvistati al largo di Punta Licosa dal sommergibile britannico Shakespeare. Gli alleati decisero di abbattere il Velella perché visibile in mare aperto, e di lasciare il Benedetto Brin, che si confondeva con la costa al sopraggiungere della sera. Furono lanciati sei siluri, di cui quattro a segno. Fu l’ultimo sommergibile ad essere abbattuto dagli Alleati. Morì tutto l’equipaggio, 51 persone, tra cui il comandante Patanè e altri 5 ufficiali. Il 13 maggio 2003 il relitto del Velella è stato avvistato a 8,9 miglia da Punta Licosa a circa 138 metri di profondità. I corpi delle vittime giacciono ancora lì, per questo è un dovere morale ripescare il sommergibile. L’Italia ha grossi mezzi militari capaci di sollevare relitti a 300 metri di profondità, come la nave Anteo, attrezzata a questi scopi. Il 7 Settembre di anno l’A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) di Castellabate commemora i caduti del Velella con una celebrazione solenne. Riportare alla luce il sommergibile significherebbe dare degna sepoltura ai corpi e aprire una mostra permanente sull’operazione alleata.