di Luigi Rossi
Mi sono pervenuti via mail dal solerte vicario episcopale per la pastorale i documenti frutto del lavoro preparatorio per il convegno ecclesiale di Firenze. Mi ha colpito il DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL CONVEGNO DIOCESANO, frutto del coinvolgente impegno – si legge – di tutti gli attori per un cammino capillare e profondo facendo proprio lo stile sinodale caro a papa Francesco. Sono state affrontate le problematiche connesse ad un Umanesimo in ascolto, concreto, plurale, integrale, attento all’interiorità e alla trascendenza. Nel documento viene denunciata la mancanza di sicurezza e di slancio, accompagnata da una certa superficialità che contagia le relazioni a diversi livelli determinando azioni sporadiche, connotate da riscontri incoraggianti, ma bisognose di una maggiore regolarità. Inoltre, si riferisce che sovente si continua ad operare per abitudine, con scarsa coerenza e convinzione, situazione alla quale si cerca di porre riparo mediante l’esperienza delle Piccole Comunità di Fede e Testimonianza per sollecitare il genuino desiderio d’incontrarsi. Ancora cruciale risulta il ruolo dei parroci, spesso “vittime” delle troppe responsabilità e del desiderio di primeggiare dei collaboratori parrocchiali, dei quali non sempre si riesce a limitare le interferenze. Causa principale di queste difficoltà è probabilmente il fatto che tanto i preti, quanto i laici, spesso sembrano operare come funzionari non molto sensibili verso chi si sente escluso, di quanti, cioè, si ritengono fuori dalla Chiesa per situazioni o esperienze giudicate non coerenti. Inoltre, non è stata taciuta la grave condizione dei giovani che vivono da anni un cambio di prospettiva rispetto a quanto hanno vissuto i loro padri. Alla fine, rispetto al calore di una comunità accogliente, si percepisce il disagio di chi rimane radicato nel proprio vissuto, segnato da titubanze, rifiuti, paure perché la comunità parrocchiale non sa aprirsi senza giudicare. A questa analisi segue il proposito di considerare la persona centro dell’agire ecclesiale sintetizzando, non senza spunti retorici, le cinque vie per approdare ad una umanità nuova col bisogno di uscire per annunciare, condividendo il quotidiano per un’efficace azione educativa allo scopo di trasfigurare anche la nostra popolazione con la partecipazione attiva alla vita civile delle proprie comunità.
È un auspicio condivisibile soprattutto se, all’inizio di questo anno di misericordia, dopo un’attesa durata un lustro, si pongono in atto iniziative per rendere concreti i propositi, almeno come tentativo di fare la propria parte nel contesto cilentano sempre più derelitto per l’affastellarsi di problemi rimasti irrisolti. Parafrasando le parole del Pontefice, si può asserire che il Cilento non è un museo, ma una realtà collettiva in permanente evoluzione e bisognosa di scrollarsi di dosso l’apatia. Ceto dirigente, benpensanti, giovani, movimenti ecclesiali, apparato ecclesiastico di vertice, non devono guardare dal balcone la vita, ma impegnarsi immergendosi nelle ampie potenzialità di dialogo sociale e politico.
Un impegno programmatico efficace può scaturire già dalla disponibilità a mettere in pratica, senza ulteriori e più o meno articolate analisi, le parole pronunciate da papa Francesco proprio a Firenze, con le quali ha invitato a cooperare per consolidare la società italiana, facendo dialogare le sue diverse ricchezze culturali in modo costruttivo, sollecitando la Chiesa ad essere fermento di dialogo, d’incontro, di unità, considerando che l’efficacia della sua azione non presuppone soltanto il parlare e discutere, ma l’impegno a costruire insieme realizzando progetti non da soli come cattolici, ma con tutti quelli che sono animati da buona volontà.
Il Papa invita ad alzare verso il cielo le mani nell’implorazione al Padre, ma senza trasformare ciò in alibi per non impegnarle ad edificare la città terrena, l’unica a nostra disposizione per sperimentare la bontà della Salvezza e gustare il potenziale liberatorio della Misericordia di Dio. A queste condizioni, il cambiamento d’epoca che interessa anche il Cilento e che pone sfide nuove, a volte persino difficili da comprendere, non costituisce un problema insormontabile se, invece di individuare in esso solo ostacoli, lo si considera un’opportunità per crescere, maturare, realizzarsi nella consapevolezza che il Signore è attivo ed opera nel mondo.
La chiesa cilentana ha un compito unico ed insostituibile in questa particolare congerie etico-culturale e socio-economica: accompagnare, come invita a fare il Papa, chi è rimasto al bordo della strada, accettando di essere sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti, senza temere di far emergere le inquietudini. Tra la denuncia, tante volte rivolta, di apparire matrigna ed il volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza, evocato da Francesco, pare che non esista alternativa.
Per questo anno mettiamo in pratica almeno un suo suggerimento: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione tentiamo in modo sinodale un approfondimento della Evangelii gaudium per trarne criteri pratici e attuare le sue disposizioni. Può essere un modo creativo per concretizzare l’analisi del documento pontificio risparmiando, così, anche lavoro agli uffici diocesani di programmazione pastorale fino ad ora così oberati d’impegni.