di Oscar Nicodemo
Non vi è alcun dubbio che lo scenario politico nazionale abbia sciaguratamente alienato le speranze di un intero Paese e, quel che è peggio, abbia umiliato e relegato, oltre modo, le realtà periferiche in uno stato di frustrazione insostenibile, dove ogni risorsa intellettiva viene svilita da un contesto che non predilige le idee. Capaccio Paestum rappresenta, per un verso, la conseguenza più diretta di un andamento del genere. Qui non sempre contano le idee, ma l’apparenza di una falsa sostanza. Qui quasi mai si dà valore ai progetti di comune intesa, pensati a favore della comunità, ma ai piani di qualche combriccola studiati per privilegiare un’economia fine a se stessa e circoscritta a poche persone. Qui, infine, raramente vi è politica, ma attività da faccendieri che ne prendono le sembianze.
Se è vero che la politica sia data da valori etici, culturali e da capacità ideative, si può tranquillamente affermare, senza incorrere nella probabilità di essere confutati, che uno squilibrio sociale pervade la vita comunitaria del comune. Fatta eccezione per qualche istituto, la classe dirigente non beneficia di cambi generazionali autentici. Francamente, si ha l’impressione che, fino ad oggi, a produrre aspettative e nuovi orizzonti, siano state persone che hanno fatto della politica un’opportunità personale per contare finalmente qualcosa. Sembra quasi che i politicanti visti all’opera siano degli infelici che, snervati dalla loro stessa limitatezza, si diano alla politica illudendosi di guadagnarsi un riscatto sociale. Oggettivamente, però, l’intenzione miserabile di costoro è sempre stata ridimensionata e riportata alla sua natura deplorevole da un effetto contrario: nelle vesti di politici hanno evidenziato ancor di più la loro natura intellettualmente fiacca. D’altronde, si sa, l’arrivismo, spesso, mette in bella mostra solo una bella faccia tosta.
Credo che a Capaccio Paestum la politica si debba riappropriare, quanto prima, del suo essenziale profilo, che contribuisce, consistentemente, a farne una materia soggetta a ragionamento: l’esercizio della critica. Solo in questo modo, la cittadinanza eviterà di trovarsi impreparata e colta nella disorganizzazione di fronte alla possibilità di cambiare l’ordine delle cose che ostacola l’innovazione. Non mancano donne e uomini all’altezza del compito e men che meno una volontà complessiva d’impegno. Si tratta, invero, di avere il buon senso di scegliere gli elementi che abbiano una effettiva idoneità per studiare un programma di solidarietà sociale che aggreghi via via le varie espressioni della società civile: dai professionisti e gli imprenditori più lanciati ai precari e ai disoccupati più disagiati.
Non c’è collettività che non possa modificare il proprio futuro se si organizza per farlo con convinzione. Anche quella di Capaccio Paestum può riuscire in questo intento, purché, una volta recuperato l’esercizio della critica, non si ignori quello, non meno conveniente, dell’autocritica.