Si vanti pure e gridi alto di Marsilio Mainardi la magnifica città di Padova il nome!
A Marsilio Mainardo (Padova, 1280 – Monaco di Baviera, 1343) figlio della città di Padova che al popolo sovrano assegnò il capitano … il mio saluto!
Correvano gli anni sessanta del secolo scorso ed io giovane studente, figlio di emigranti, quando, anche quell’anno del sessantotto si chiusero le scuole, come già mio padre, partii per la prima volta per quella terra di grande immigrazione che era allora di quei primi trattati di Roma, la Germania.

Ricordo, se pure molti, troppi sono i lustri passati, ancora l’emozione di quel giorno, erano gli ultimi giorni del mese giugno, ed a Napoli faceva già molto caldo, quando giunto alla stazione, avviandomi per il binario prescritto, mi avvicinai a quel lungo treno di colore marrone, destinazione Monaco di Baviera, che si stava, rumorosamente, affollando di tanti emigranti, provenienti da tutto il meridione e che, pesanti di quelle nere valigie di “cartone”, già strutte dai tanti viaggi, si apparecchiavano, non sempre c’era posto, in quegli stretti scompartimenti a partire nella speranza di tornare con una vita migliore.

Il treno, ricordo ancora, lo presi poi più volte, partiva sempre di pomeriggio ed affollato e dopo una lunga notte di improbabili dormiveglia, le “cuccette” erano ancora un lusso, la mattina dopo arrivava ala stazione centrale di Monaco di Baviera, da dove poi tanti proseguendo si sarebbero portati verso altre città ma tutte con lo stesso destino.
Non io, che sbarcato a Monaco, dove mio padre, maestro carpentiere, in uno dei tanti “baustellen” (cantieri) che allora affollavano la periferia di Monaco, mi aspettava per accompagnarmi a quella prima esperienza di lavoro che se fu allora di fatica, pure oggi la ricordo con grande nostalgia e dolcezza, segnatamente per quegli afosi pomeriggi trascorsi in quella vecchia “roulette” al centro del “campo”, dove in baracche di legno abitavamo, a leggere e a rispondere alle lettere, tanti erano ancora allora coloro che non sapevano né leggere né scrivere, che, puntualmente, ogni settimana ricevevano dalle loro famiglie. E furono tante davvero le lettere che allora lessi e di contro scrissi, tutte, ricordo, cominciando con il solito incipit “ Io sto bene come spero di tutti voi” e poi in rapida successione a chiedere notizie prima dei figli poi della casa, della terra e degli animali per finire, chè tanto era il dolore della lontananza, sempre a Natale, quando, con l’agognato ritorno, la famiglia si sarebbe finalmente di nuovo riunita e avrebbe, dei beni raccolti in Germania, godere giorni insieme di pace e serenità. Pomeriggi, che mio padre, ricordo, “compiaciuto” del suo figlio studente, mi ordinava e che, pur desiderando altro i miei anni, non potevo non obbedire e che … se ieri io li odiai oggi, dopo che tanti anni sono passati e l’età si è fatta più grigia e lenta, di contro apprezzo e considero valore come uno dei ricordi più alti e preziosi che la terra di Alemagna mi abbia mai donato. Erano queste, maestro Marsilio, allora le mie estati e lo furono per alcuni anni, fino a quando poi un giorno terribile del mese di aprile, all’età di quarant’otto anni, venne in quella terra straniera a mancare mio padre ed io più non vidi la Germania né più mai vi tornai. E se profonda dura ancora quella “tragedia”, pure però mi rimane di quelle estati grato, maestro Marsilio, il ricordo di te e il mio mai sopito rammarico, perché in quel mio primo, buio “baustelle”, che fu in Monaco il mio primo lavoro, aperto a restauro di una delle due torri campanarie della sua “Frauenkirche”, tu, maestro Marsilio, oggi che sono qui a scriverti, ne sono sicuro, ci provasti a parlarmi. Ma, troppo avari allora i testi scolastici ed io pur amando già quella “disciplina”, di cui oggi di alloro le tempie mi cingo, non potei ascoltarti né molto poi ne seppi all’università se non per qualche citazione o altro.
Eppure, anche se “queste cose non avvennero mai, ma furono sempre”, ricordo che quando comandato dal maestro muratore spagnolo di scendere quelle strette scale della torre campanaria per andare a prendere qualcosa che mancava, passando davanti a quel bronzeo, imponente monumento in cui riposa il tuo grande imperatore Ludovico, sempre levavo lo sguardo in alto e lo guardavo ammirato e tu, maestro, oggi lo posso affermare, per essergli rimasto fedele fino alla morte non potendo che essere lì accanto al suo sepolcro, forse più volte hai tentato di parlarmi e forse mi hai anche toccato, se, come poi mi accadde, quel tuo “popolo sovrano” (di cui diremo)provai a servire e che “come vedi”, maestro, “ancor non m’abbandona”.
Ed oggi che del tuo sogno “democratico” si va sempre più accrescendo il tormento, più non mi capacito, maestro, e vorrei tornare sulla tomba del tuo imperatore dove tu sei. Ma troppi sono gli anni e troppo, in questa mia piccola “patria” del principato Citra, sono le mie radici radicate e più di muovermi non oso e pur biasimando il mio difetto, soccombo alla mia indolenza e per riparare, se pure solo per una Epistola, vengo oggi alla tua porta a bussare e chiedendoti di perdonarmi mi apparecchio discepolo e vengo umilmente a renderti quello che allora non seppi ed oggi ti spetta. Ma come era cominciato?
Figlio di una famiglia di giudici e notai fu tuo padre il tuo primo maestro che con accanto il Duomo e l’università volle, come allora si teneva, di te farne un medico ma altro il tuo cuore desiderava e così continuando gli studi filosofo ti facesti e della politica arando il campo al mondo ti donasti per liberarlo dalla schiavitù e dall’ingiustizia. E fu così che per inseguire questo tuo “sogno” ti trasferisti a Parigi, dove non mancando tempo in pochi anni di quella prestigiosa università ne venisti del rettorato insignito. Anni fecondi di studio e di impegno in cui legandoti di amicizia prima con il grande di Occam che il suo nome legò a quel “rasoio” e poi a quello, assai più per te importante, di Giovanni che per primo con Averroè alla chiesa contestò del potere temporale il primato, molto avanzasti in sapienza ed in quella aspra lotta che durando contro una Chiesa che “giunta la spada col pasturale” mal sopportava di quel tuo “Defensor pacis” per il quale fosti accusato di eresia e il libro messo all’indice, le sue tre “dictiones” che reclamando per Aristotele ed altri, come leggeremo, il potere al popolo, la contestavi nella sua pretesa teocratica. E separando il potere “temporale” da quello “spirituale” umilmente la confinavi nel solo governo di quella “universitas fidelium” che altri non era che l’assemblea dei fedeli. Mentre per quanto riguardava il potere “temporale”, questo unico lo assegnavi, maestro, solo e solamente al “popolo sovrano” che attraverso l’elezione che “abbiamo detto è il metodo migliore e più perfetto per stabilire i governi” eleggeva chi doveva governarlo, oggi diremmo i suoi rappresentanti.Un popolo, seguendo il grande filosofo di Stagira, tu stesso precisavi, che pur non essendo il popolo del nostro attuale “suffragio universale” (ricordo al lettore che siamo nel 1300 e in Italia, mentre in molti altri paesi del mondo ancora non esiste, il “suffragio universale” è arrivato solo nell’anno di grazia del 1946 quando, per la prima volta, anche le donne alle elezioni amministrative votarono) ma quelloche chiamiamo “suffragio censitario”, pure di molti secoli, solo nel settecento cominciò difatti ad affermarsi, ne anticipò la rivoluzione.
Era infatti il tuo popolo, maestro, quella “pars valentior” della popolazione ovvero quellaparte più valentedel popolo che escludendo “dal novero dei cittadini i fanciulli, gli schiavi, gli stranieri e le donne, sebbene questi esclusione avvenga secondo un modo diverso” sono quei cittadini che “secondo quanto dice Aristotele nella Politica, partecipano secondo il suo proprio rango alla comunità civile, al governo o alla funzione deliberativa o giudiziaria” e che agiscano nell’interesse esclusivo dei cittadinigarantendo a tutta la “universitas civium” giustizia e pace. E se per queste tue “dictiones” fosti da un papa bollato “figlio del diavolo” non ti crucciare, maestro, chè la tua gloria non passò, perché non passeranno molti anni ed in quel Concilio di Costanza che per sempre chiuse d’Occidente lo Scisma, tu vincesti, procurandosi anche la chiesa da allora il suo popolo sovrano ovvero il “concilio” ovvero dei vescovi l’assemblea. Una idea della sovranità che pur non assolutamente “nuova” certamente per i tuoi tempi “rivoluzionaria”, se solo si pensa che ancora qualche anno prima, precisamente nel 1302, un papa di Anagni, contro le legittime pretese dell’impero, aveva pubblicata una enciclica dal titolo “Unam Sanctam”, in cui con ostinazione continuava a pretendere la teocratica quanto anacronistica teoria della “plenitudo potestatis”. Una sovranità piena ed assoluta che mal si annodava con la tua rivendicazione, maestro, di assegnare il potere legislativo solo e solamente al solo popolo sovrano, come fermamente scrivevi quando individuavi che “la causa prima ed efficiente della legge, è il popolo, l’intero corpo dei cittadini o la sua parte prevalente mediante la sua scelta o volontà espressa nell’assemblea generale dei cittadini”. E nessuna “legge” che non nascesse dalla volontà popolare può valeree nessun papa, re o imperatore, meno ancora la chiesa poteva, pena di rovinosamente precipitare nell’autoritarismo e nella tirannia, arrogarsi quel diritto E tanto fu la tua convinzione che del popolo dovesse essere l’autorità di fare le leggi, che nel riassumere nella terza “dictiones” la tua opera così, con queste parole confermavi il tuo pensiero “ancora, e questa è come un’abbreviazione e un sommario delle nostre precedenti dimostrazioni: l’autorità di far le leggi spetta soltanto a tutto il corpo dei cittadini, come abbiamo già detto, oppure spetta soltanto ad un solo uomo o a pochi uomini. Ma questa autorità non può spettare certamente ad un solo uomo, per le ragioni che abbiamo date nel capitolo XII e nella prima dimostrazione addotta nel presente capitolo; poiché, per ignoranza, malizia, o ambedue le cose, quest’uomo solo potrebbe fare una legge iniqua che mirasse più al suo vantaggio privato che a quello della comunità, e quindi la legge diverrebbe tirannica… l’autorità di far le leggi spetta dunque a tutto il corpo dei cittadini o alla sua parte prevalente, proprio per la ragione opposta. Poiché, siccome tutti i cittadini debbono essere misurati dalla legge secondo la giusta proporzione, e nessuno consapevolmente si danneggia o desidera di essere trattato ingiustamente, ne segue che tutti o la maggior parte desiderano una legge che conduca al vantaggio comune dei cittadini”.
E seguendo il tuo Maestro che scriveva “fu appunto in questo senso che Aristotele la definì nell’ultimo libro dell’Etica, capitolo VIII, quando disse: la legge ha una forza coattiva perché è un discorso che nasce da una certa prudenza e intendimento e…che ha forza coattiva, cioè, per la cui osservanza viene emanato un comando che si è costretti ad osservare”.
E non poteva quindi la legge non essere “legata ad una punizione o una ricompensa da attribuire in questo mondo” e quindi coattiva” perché “solo quando è considerata in tale modo viene chiamata legge e lo è propriamente” e dove questa legge, continuavi maestro, non vige non ci può essere né giustizia né mai potrà esserci civile et pacifica convivenza. E contestando l’origine “divina” ancor meno “naturale” del diritto anche oltre il “giusnaturalismo” ti portasti avanzando verso quel concetto del “diritto positivo” che sarà poi, maestro, dell’Occidente il cammino.
Una teoria ed una prassi politica che fondandosi sulla sovranità “dinamica” del popolo elettore governa e concepisce lo “Stato” e le sue leggi come frutto di un cammino, per alcuni teleologico, che avanza nella storia. E anticipando del Fiorentino i suoi vanti, tentavi, maestro, di scongiurare quella lunga lotta che da tempo opponeva la chiesa all’impero e che ancora per molti anni priverà ancora il mondo del bene suo più grande, ovvero della “pace”. E tanto fu alla convivenza civile fondamentale ed essenziale la pace per te, maestro, che, dedicato al tuo amato imperatore Ludovico il tuo “Defensor” , non mancasti della pace lodando i frutti, così di principiare: “i frutti della pace o tranquillità sono infatti, come abbiamo detto, i beni maggiori, mentre quelli del suo opposto, la discordia, sono mali irreparabili. E perciò dobbiamo desiderare la pace, cercarla se non la possediamo già, conservarla una volta che l’abbiamo raggiunta, e respingere con tutte le forze la contesa che è il suo opposto.
Per questo scopo ogni confratello, e, in grado ancor maggiore, i gruppi e le comunità, sono obbligati ad aiutarsi gli uni con gli altri, sia per la fede nella carità celeste che per il vincolo o legge della società umana” aggiungendo che “in questo si era perfettamente d’accordo con quanto dice il beato “stai in pace, e ne avrai i frutti migliori” ma anchecon “Cristo, quando volle che il coro celeste cantasse: gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” e chi ci ammonivi “vediamo che (della pace) se ne preoccupa poco, mostra di ignorare delle cose tanto grandi”.
Ed ora che avanzando il congedo una nuova Epistola bussa, io ti saluto e ti rendo onore per il tuo talento tanto altamente pagato e ti dico addio, maestro Marsilio, riposa in pace ché alto fra gli immortali giace il tuo ideale e continua la tua luce ad illuminare il mondo!
Grazie, Maestro, questo il mio epigramma: “E sia, maestro, al mondo in sorte il tuo credo il mio congedo e nulla piú ti chiedo”.
C’è poi di Pietro Lombardo un altro epigramma: “Antica virtù di popolo e di Stato e fu benedetto il tuo concetto e maledetto”
Questo, maestro, nei giorni del marzo che comincia, l’amore, il mio tempo e la mia rinuncia … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di sabato1 marzo dell’anno del Signore 2025.
P.S.
Chivsa Regale
Lettera di Marsilio da Padova inviata dal paese di Cielo d’Oro alla terra di Albanella nel Principato Citra nel giorno delle Sacre Ceneri dell’anno del Signore mmxxv.
Come ad attendere mai sperato un dono, ieri nel giorno del primo venerdì di Quaresima di nostro Signore Cristo mi giunge dal paese di Cielo d’Oro, ove regnano sovrani gli antichi maestri, di mano inaspettata del maestro Marsilio una lettera cui improvvisa gioia mi spinge mediocre vanità, e non posso, lettore, fare ammenda, di “obbedir tacendo” e qui, a sommo epilogo, di seguito di consegnartela:
Mio fedele discepolo et devoto, là dove tu dici fosti, nella bella terra del mio Signore d’Alemagna con passo snello, m’accorsi allora, già dell’animo tuo votato allo studio gentile, ma nulla feci per renderti tanto desto e accorto, perché non sempre qui dal paese da cui ti scrivo tutto si può, volendo.
Or assai lieto mi rende il saper che l’opera mia si legge e ancora insegna a veder il bene nella pace in terra, pace che non divide ma affratella gli animi. Molte sfide il mondo ha vinto dopo di me e molto vanto gliene viene, ma mi accora molto di vedere con la guerra laggiù il danno che dilaga.
Dal seggio mio quassù dov’è l ‘amore eterno e la giustizia, lo scempio vedo dell’insensata lotta e mi rattristo e prego perché vinca il senno e la ragione.
Il nobile messaggio mi è arrivato intero e bene hai inteso ciò che io scrissi perché si ravvedesse il mondo inquieto e cieco.
Il tuo bel parlar mi allieta, alunno della pace, poi che hai del mio ragionar dettato il senso e avvicinato il suo al respiro antico dei valenti Padri, Aristotele il primo, che il popolo dicono sovrano e la legge con la pace lo strumento che lo rende umano.
Assai mi piacque il mio concetto e il loro, del potere eletto che poi il tempo ha coltivato e scelto nella forma che conviene.
Ora il tempo viene che io ti lasci proseguire la via che è lunga e che ogni tua parola Dio benedica, spesa non per me ma per la pace ch’io difesi con l’armi mie tenaci e innocue.
Nella pace, io fermamente lo ridico, prospera il bene e le nazioni accrescono ogni pregio, al contrario nel dispregio del costume saggio, il piglio feroce lentamente uccide i popoli, e spegne le nazioni.
Grato di aver dato alta ai miei occhi luce et ancora onore ti saluto e di dolce riguardo il dono prezioso della pace largamente ti porgo. Vale!
Marsilio dei Mainardini di Padova, Cittadino!