Si vanti pure e gridi alto di Gioacchino da Fiore la magnifica città di Celico (Cs) il nome! A Gioacchino da Fiore (Celico (Cs) 1130 – Pietrafitta (Cs) 1202) figlio della città di Celico che del “Terzo Tempo dello Spirito ne cantò l’avvento” … il mio saluto!
EPIGRAFE
Tutti i simboli sacramenti contenuti nelle pagine della rivelazione di Dio ci stillano la convinzione dei tre stadi il primo stato è quello durante il quale Noi fummo sotto il dominio della legge, il secondo è quello durante il quale Noi fummo sotto il dominio della grazia, il terzo è quello che noi attendiamo da un giorno all’altro nel quale ci investirà la più ampia e generosa Grazia.

(Gioacchino da Fiore, “Concordia Novi ac Veteris Testamenti”)
“E poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c’era piú”.
Sempre ci colpisce della nascosta Calabria il suo mistero e la sua lontana, arcaica, spiritualità che emana da quelle sue aspre montagne che sciogliendosi talvolta per improbabili vallate inattese, si concede all’orizzonte sconfinato del suo limpido cielo azzurro e slargandosi improvvisamente lo sguardo, un nuovo luogo appare e inatteso ai piedi di una montagna appare un piccolo paese che aggrappato alle sue accidentate costole ci dice di come l’animo può volare verso il cielo e in Dio trovare il suo riparo. Un luogo solenne di austera bellezza antica che un giorno ebbe in dono un figlio e fu con tutta la Calabria quella “Terra” baciata da Dio. Un teologo, un mistico, un filosofo, un esegeta, un monaco ed un abate, un profeta e …presto un santo (come la causa di beatificazione avviata nell’anno del Signore 2001 dall’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano dichiara) che io imparai conoscere, distratto dai miei anni giovanili, già nei studi, ma che solo ora che “canuto senesco” avviso di essere più vicino ed alla mia parte pronto, per questa mia epistola, che tenterà di cantare la sua gloria. E così dopo che con il suo “Vivarium” ci aveva consegnato all’amore dei poveri Cassiodoro, ecco avanzare alla nostra parte “il calavrese di spirito profetico dotato”: l’abate Giacchino da Fiore!
Ma come era cominciato tutto questo?

Non era ancora passati che pochi mesi da quel tuo viaggio in Terrasanta che già da tempo ansimava il tuo cuore ed in pena di quelle lunghe e faticose giornate che nella “cancelleria” di quel re “buono” che il divin poeta in Paradiso pone, ti tenevano occupato, che cominciasti di quei sigilli e di quei decreti a prenderne uggia tanta da non più sopportarne il peso. E così un giorno in cui più alto si era fatto il cielo di Palermo e più luminoso splendea il sole in cielo, improvvisamente abbandonando quella affollata “cancelleria” che ti avrebbe presto visto “tabulario” del regno o, come già tuo padre, gran “notaro”, fuggisti lontano ed abbandonando tutti i “clamori” della città te ne fuggisti alle pendici di quella montagna che talvolta atterrisce con il suo grido, e in raccoglimento solo ritirandoti in una grotta nei pressi di un monastero, nel silenzio della preghiera e della meditazione, chiamasti la tua anima ad elevarsi ed alla tua vita, maestro Gioacchino, un nuovo cammino comandasti.
E fu così che un giorno dopo molti mesi di meditazione e in dote di un compagno, che aveva cominciato a seguirti, decidesti di tornare nella tua terra di Calabria e qui continuare quello che da questo momento sarebbe stata la tua missione: annunciare a tutti ai più deboli e ai più poveri l’avvento di quel “terzo reame”, nel quale dice l’apostolo vi sarà la piena libertà e che del cammino dell’uomo verso Dio sarà la sua meta finale. Altro, in verità, avendo dunque la divina Provvidenza per te, maestro, in serbo diverso destino, prendesti a studiare le “Sacre Scritture” ed a predicare del “Re dei Re” la parola e i suoi “storici” disegni. Disegni et segni della storia e fu questa, maestro, la tua rivoluzione, che ben leggesti in quella tua fortunata opera dal titolo “Concordia del Nuovo e del Vecchio Testamento” nella quale convinto che “la concordia non è un’invenzione, ma la scoperta del ritmo stesso impresso dalla Trinità alla Storia” per cui necessariamente ogni evento o gesto del Vecchio Testamento non può non trovare puntuale corrispondenza nel Nuovo, procedesti nel tuo esegetico cammino di svelamento della storia terrena e anche se mai ti piacque, maestro, di definirti profeta, così profetizzasti :“il primo stadio (che del Padre) visse di conoscenza, il secondo (che fu del Figlio) si svolse nel potere della Sapienza, il terzo (che sarà dello Spirito Santo) si è fonderà nella plenitudine dell’intendimento. Nel primo regnò il servaggio servile, nel secondo la servitù filiale, il terzo dare inizio alla libertà. Il primo stato trascorse nei flagelli, il secondo nell’azione, il terzo trascorrerà nella contemplazione. Il primo visse nell’atmosfera del timore, secondo in quello della fede, il terzo vivrà nella carità. Il primo segnò l’età dei servi, il secondo l’età dei figli, il terzo non conoscerà che amici. Il primo stato fu dominio di vecchi, il secondo di giovani, il terzo sarà dominio di fanciulli. Il primo tremò sotto l’incerto chiarore delle stelle, il secondo conterrà la luce dell’aurora solo nel terzo sfolgorerà il meriggio. Il primo fu un inverno, il secondo un palpitare di primavera, il terzo conoscerà la pinguedine dell’estate. Il primo non produce che ortiche, il secondo di diede delle rose, solo al terzo appartengono i gigli. Il primo vide le erbe, il secondo lo spuntare le spighe, il terzo raccoglierà il grano. Il primo ebbe in retaggio l’acqua, il secondo il vino, il terzo spremerà l’olio. Il primo stato fu tempo di settuagesima il secondo fu tempo di Quaresima, il terzo solo scioglierà le campane di Pasqua. In conclusione il primo stato fu il reame del Padre che è il creatore dell’universo, il secondo fu reame del Figlio che si umiliò ad assumere il nostro corpo di fango, il terzo sarà il reame dello Spirito Santo, nel quale dice l’apostolo dove è lo Spirito del Signore ivi è la libertà” consegnando, per i tuoi misteriosi quando eccelsi calcoli cronosofici, alla Storia il suo antico cammino escatologico. E tanto credesti e fosti di questa tua trinitaria “visione” compreso, che, in quel “libello” già perduto, polemizzando con quel tal grande “Magister Sententiarum”, non mancasti, insistendo sulla autonomia delle tre persone della Trinità, di differenziarle in un processo evolutivo di stampo triadico, che raccolto poi nel tempo, molti secoli dopo da quell’”idealismo dialettico” che per tre momenti si realizzava, prepotentemente sfociò in quel “sogno rivoluzionario” che fu di quel grand filosofo che al “Capitale” affidò il suo pensiero e fu, maestro Gioacchino, della tua Trinità per un ateo la tua “Epifania ribelle”. Una epifania che accusata di minare le fondamenta dell’unità indiscussa della Trinità, qualche tempo dopo la tua morte, in quel tal IV Concilio che invano vide tentare della Chiesa d’Occidente e d’Oriente l’unità, fu “bollata” e condannata come eretica. Ma alto era il tuo pensiero et di contro ad una Chiesa, “si abbellivano gli altari mentre i poveri soffrivano i morsi amari della fame” lontana dalla povertà delle gente, sempre più forte si spandeva il tuo credo della tua messianica attesa, chè “anche lo Spirito Santo in se stesso è Dio vero, come il Padre e il Figlio, occorre che anch’egli compia qualcosa a immagine e somiglianza propria, a norma di quello che ha operato il Padre e di quel che operato il Figlio” e quindi non poteva essere lontana quella nuova età. E che, essendo delle sette stagioni dello Spirito Santo trascorse sei, fossimo prossimi al compiersi di quel “millenio sabbatico” dopo il quale si sarebbe instaurato dello Spirito il regno della piena libertà e della grazia divina, l’aveva, in quella “visione”, che in dono ebbe nel giorno del Signore sull’isola di Patmos, profetizzato il discepolo che Gesù amava di più, quando scrisse e “poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e aveva la chiave dell’abisso e una grande catena in mano.
Egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e Satana, e lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti i mille anni”. Una visione in cui vinto “il diavolo e… gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta” un “nuovo cielo e una nuova terra” verranno e “acconciata come una sposa per lo sposo” sorgerà la nuova Gerusalemme, la nuova “città santa” che con la grazia di Dioregnerà per sempre su tutta la terra. E fu così, maestro, che gridando di contro al lusso ed al potere di una Chiesa troppo lontana e superba chiedesti di essere sciolto dai tuoi “doveri” abbaziali, come già nel vangelo di Luca,nulla prendendo per il viaggio: né bastone, né sacca, né pane, né denaro, né una tunica di ricambio” lasciasti il monastero che tu stesso avevi fondato, e povero tra i poveri sulla via te ne andasti ramingo di contrada in contrada per la tua Calabria ed oltre a predicare il tuo Vangelo. E furono tanti i tuoi discepoli et quanti che non mancando di crescere nei secoli la tua voce, gloria ne traesti e vanto tanto di memoria. Ed uno tra tanti, poi dirò dell’altro, per quell’amore “che, come vedi, (lettore) ancor non m’abbandona” che mi piace, anche perché molto vicino al tuo tempo, di ricordare è quel tal grande imperatore di Svevia, che di te condividendo il tuo “sogno visionario”, molto si spese trovando nella chiesa di Roma molti ostacoli e come te, maestro, fu ridotto a “infedele”, sol perché nel suo impero, che fu grande et potente, sognò di instaurare quella tua “terza epoca”, in cui vivendo in giustizia, tolleranza e libertà, tutti gli uomini potessero, sotto il segno della Grazia divina, aspirare alla felicità eterna.
Ed ora che alle passioni di un vecchio nostalgico abbiamo dato il fianco, celebrando chi tra i principi della terra fu lo “Stupor mundi”, come ti avevo promesso torno a te, lettore, per dire di quello che fra tutti i discepoli che il maestro ebbe, forse fu il più grande. E che quando, in guida della sua amata Beatrice in Paradiso giunse in quel quarto cielo del Sole dove roteando danzano cantando i sapienti, di te non potè tacere e così dopo Ugo, Pietro e Tommaso, di te cantò “Rabano è qui, e lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato” lodando ancora più in alto quella tua profetica virtù che tanto ed oltre al tuo tempo disse ed ancor ci dice a …noi che, lontani non poco dal tempo, di quel tuo cammino ancora ne agogniamo il compimento. Un cammino lungo di salvezza che se Agostino, per il suo pieno compimento, lo affidò al “cielo” e tu, maestro, non mancasti di passar anche dalla “terra”, dove imperando il governo dello Spirito Santo si potesse realizzare una società più giusta e libera. E non era, e tu per questo non volevi essere chiamato profeta, la tua una “profezia” ma di Dio l’antica “promessa”. Una promessa e fu questa delle Sacre Scritture la tua lettura, che tu, maestro, e come abbiamo detto fu la tua opera più grande, ravvisasti in quella divina “concordia” che legava il Nuovo al Vecchio Testamento, chè sempre nella onniscienza di Dio la storia è presente e per Dio non esiste né il passato nè il futuro ma tutto ogni cosa è alla sua parte onnipresente e la sua parola rimane eterna. E se anche con Agostino che nella sua “De civitate Dei” all’uomo per la sua salvezza concede due vie (quella di vivere secondo la “carne” e sarà la città Terrena o quella di vivere secondo lo ”spirito” e allora sarà la città di Dio) concordasti anche per i suoi tre “tempi” di cui il primo si ebbe quando gli uomini (ante legem) vissero senza legge, il secondo (sub lege) quando gli uomini finalmente ebbero una prima legge e tentarono i primi colpi alle illusioni del mondo ed infine quel terzo (sub gratia) sotto il governo della Grazia quando vincendo del mondo gli uomini gli inganni, si porteranno finalmente a realizzare quella “Città di Dio” .
Una città, e fu questa la differenza con Agostino, che solo in cielo avrebbe trovato albergo, mentre tu, maestro, aggiungendo un tuo quarto tempo (sub spirituali intellectu) che si sarebbe sviluppato sotto il dominio dello Spirito intellettivo andasti oltre. E fatto, secondo le Scritture, trascorrere il secondo “millenio sabbatico” si sarebbe sulla terra instaurato quel nuovo regno, che tu, maestro, grazie alla tua originale quanto mistica esegesi biblica sapesti, per le parole di cui il Credo di Nicea fa fede quando recita dello Spirito “è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il figlio è adorato e glorificato ed ha parlato per mezzo dei profeti” riconoscere in quella terza Persona, che vinta ogni battaglia, avrebbe di contro alla vecchia Roma instaurata quella Nuova Gerusalemme di cui abbiamo in avante scritto, e che a tutti “coniugati, chierici et monaci” avrebbe poi dell’eterna beatitudine aperto le porte. Il sogno quindi di nuovo “grande sabato”, come ti piacque di chiamarlo che assomigliandolo al settimo giorno della Creazione, in cui ogni uomo ricco o povero vivendo nella giustizia e nella libertà avrebbe potuto realizzare il suo “daimon” ed essere felici prima sulla terra e poi in cielo. Una potenza la tua ferma e convinta attesa di un’epoca nuova che raccolta poi nei secoli scatenò in chi afflitto non solo dalla religione ma dalla povertà e dalla ingiustizia impeti di rivoluzioni tanti, tanto che a qualcuno piacque di chiamarti uno dei primi veri “rivoluzionario” della storia ead altri che degli Stati uniti d’America ne ebbe il capo “ispiratore di un mondo più giusto”,” maestro della civiltà contemporanea”. Una “favilla”, la tua, maestro, che accesa di contro ad una Chiesa che dalla sua prima missione si allontanava chiudendosi nel lusso dei dogmi e dei suoi palazzi, fece tal tempesta che non mancò di ritornare ogni volta che un nuovo orizzonte si segnava sul cammino della storia e furono “giaochimiti” tanti, tuoi discepoli, che ancora oggi ne dura la memoria. Una “favilla” che non mai spenta, come l’“utopia” fa gli uomini camminare, perchè sempre, quando in giustizia et libertà si muovono i nostri passi, da “poca favilla gran fiamma seconda”. E per me, maestro, che della tua “favilla” ne tentai talvolta la prova, non mi rimane che il tuo alto “profetico” magistero e di conoscerne un giorno il giorno!
“E poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra…e vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, discendere dal cielo, da presso Dio, preparata come una sposa acconciatasi per lo sposo!”
Questo, maestro, il mio epigramma: “Gioacchino fu il tuo nome, la Calabria la tua terra, uno solo il tuo desio :uno e trino un sol Dio!
C’è poi di Pietro Lombardo un altro epigramma: “Per le vie di Dio visse eremita e fu santo di vita senza bandiera e senza altare”
Questo, maestro, nei giorni del febbraio perduto l’amore, il mio saluto ed i miei anacoluti… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di venerdì 14 febbraio, anno del Signore 2025.