Vito Gnazzo, sei nato a Felitto?
Sì, nato a Felitto!
Quanto tempo fa? Lo possiamo dire?
Sono 66 anni ormai.
Fino a che età hai vissuto la tua vita a Felitto.
Sono rimasto a Felitto fino a 15 anni. Dopo i 15 anni che futuro c’era a Felitto? Non c’era futuro … o lavoravi nei campi, oppure nelle costruzioni. C’era una mia zia che stava a Milano, così me ne andai con lei. La sorella di mia mamma mi ospitò per qualche mese nella sua casa fuori Milano. E anche fuori Milano, non è che c’era poi tanto.
Dove?
Vittuone, vicino Magenta.
Che faceva questa tua zia?
Era già pensionata a quei tempi. Io sono nato quando mia mamma aveva già una certa età, vicina ai 50 anni, era quasi in menopausa. È anche per questo che i miei genitori mi mandarono fuori: “Vai vai, cammina…”.
Quanti figli eravate?
Eravamo 7 figli. Io sono l’ultimo. A Milano incominciai a lavorare in un ristorante vicino a la Scala, “El Toula’’. Iniziai come lavapiatti, poi dopo sei mesi passai in cucina dove ho imparato la disciplina.
Come avevi trovato questo lavoro?
Tramite mio cugino Giovanni che stava a Milano. Lui mi fa: “Ma sì, che ci fai là a Vittuone, vieni a Milano, non ti preoccupare che ti metto a lavorare in un ristorante”.
Che faceva tuo cugino?
Mi sembra che a quei tempi lui faceva il lavapiatti. Dopo sei mesi passati in cucina accanto agli chef, come aiutante cuoco. Restai lì per un paio di anni. Dopo andai a Monaco, in Germania.
E perché questo?
Perché lì c’era la stessa compagnia di ‘El toulà’. ‘El toulà’, negli anni ’70-’80, era una bellissima catena di ristoranti, fondata da Alfredo Bertolani di Treviso, dove nasce anche il Tiramisù. Dunque, andai a Monaco per un anno. Sta di fatto che poi dovetti fare il servizio militare. Feci il servizio militare e poi ritornai a ‘El toulà’ di Milano.
Dove lo hai fatto il servizio militare?
Nel Friuli. Avendo finito il servizio militare, tornai a ‘El Toulà’ di Milano. Gli chef, che già mi conoscevano mi presero nella loro guida e mi fecero girare alcuni ristoranti di Milano. L’ultimo dei quali era un “Michelin star”, una “stella Michelin”. Quello fu l’ultimo ristorante in cui ho lavorato a Milano, poi me ne andai in California. Al ristorante “Rex” di Los Angeles cominciò la mia carriera. Non voglio essere presuntuoso, ma questo è stato un ristorante di un certo livello, con un decoro Art Déco. Lì abbiamo cambiato la cucina italiana, perché negli anni ’80, in America, la cucina italiana era ancora conosciuta come lasagne, manicotti, ecc. abbiamo introdotto la cucina autentica italiana con vari cuochi. Eravamo l’unico ristorante di Los Angeles, e anche d’America forse, con sei cuochi italiani e io ero alla guida del gruppo. Diciamo che sono abbastanza fiero che abbiamo cambiato i gusti americani, perché dagli americani la cucina italiana era conosciuta come “chicken scarpariello”, “chicken parmigiana”, cose che non esistono nella cucina italiana. Anzi queste cose in Italia non si mangiano.
Si mangiano a casa.
A casa o in ospedale. Non capisco perché qui in America…
Quanto tempo sei rimasto a Los Angeles?
Sono rimasto per dieci anni in questo ristorante. Dieci anni al comando. In questo mestiere hai sempre la possibilità di girare. E dopo dieci anni ricevetti un’offerta per New York. Venni al ristorante ‘Bice’, dove rimasi per circa 2 anni, poi ebbi problemi di salute e dovetti cambiare. Andai in un ristorante più calmo. Infine tronai in Italia e aprii un ristorante a Felitto, il mio paese.
Quando c’è stato successo questo ritorno?
Tornai in Italia nel 1995, dove aprimmo un ristorante a Felitto.
Ma come ti venne in mente di tornare a Felitto?
Perché come tutti noi, si vuole sempre tornare alle proprie origini. È normale, no?
Ci avevi pensato spesso?
Sì! Anche mia moglie era di Felitto, per cui avevamo entrambi una certa nostalgia …
Tu sei andato via da bambino, ma tornavi ogni tanto a Felitto? Hai riconosciuto il paese quando sei tornato?
No, dopo cinque anni dalla prima volta che me ne sono andato, andai in vacanza a Felitto e conobbi mia moglie.
Come si chiama?
Concetta. Siccome io credo molto nella famiglia sana, credo che con una donna che ha la tua stessa cultura è più facile.
Certo. Ma la conoscevi già da bambino, oppure…?
Ma a Felitto si conoscono tutti.
No, ma nel senso che aveva la tua età oppure…
No, non proprio.
Quindi era più giovane?
So chi era, era più giovane di me di qualche anno. Conoscevo la sua famiglia ma non la conoscevo.
E in questi giri poi lei ha seguito te? Quando sei andato a Los Angeles, poi lei è venuta con te?
Ci siamo sposati e poi è venuta con me a Los Angeles. Abbiamo avuto il primo figlio, poi abbiamo avuto un po’ di problemi con la carta verde, con i documenti, che abbiamo risolto e siamo tornati a Los Angeles. Intanto che tornavamo a Los Angeles, abbiamo avuto questa offerta a New York.
E avete aperto questo ristorante…
Io amo molto la natura perché sono nato con la natura; e quale natura migliore del Cilento…
Il salto da Los Angeles a New York e Felitto è una scelta coraggiosa, se non addirittura azzardata.
Ma ero ancora giovane, nei miei 30 anni inizio 40, per cui nel caso in cui mi andava male si sarebbe potuto ancora tornare indietro.
Quindi hai aperto …
Il primo anno che ho avuto qualche difficoltà. Già al secondo anno ero ben conosciuto e i miei clienti lì erano per lo più forestieri: una coppia giovane a cui piaceva come proponevo i miei piatti alcuni venivano addirittura da Roma.
In quel periodo sono stato anche io al tuo ristorante. Ecco perché mi ricordavo di te. Facemmo una riunione per dare vita a “Il Valcalore”. Con me c’erano, Antonio Marino, Luigi Scorziello, Michele Albanese, Antonio Ciniello, Nicola Cavallo, Mario Miano …
Qual è la tua filosofia in cucina?
È quella di essere il più lineare possibile. Un piatto non deve superare cinque ingredienti.
Qual è il piatto a cui sei più affezionato?
Se dovessi morire domani … il mio piatto è uno spaghetto pomodoro e basilico: la semplicità. Ma è così il nostro stile in Italia. Il nostro stile in Italia è la semplicità. Quando mangi un piatto, devi sapere cosa mangi mentre se metti troppi ingredienti, non riconosci cosa mangi.
E confondi il palato…
Confondere serve quando usi prodotti di pessima qualità e quindi devi camuffare il sapore. Ma quando usi ingredienti di prima qualità, non hai bisogno di camuffare, hai bisogno della semplicità.
A un certo punto hai detto basta …
Sì, a un certo punto ho detto basta perché poi era gestito a livello familiare, da me e mia moglie e i miei parenti. Io avevo una visione diversa avendo fatto la gavetta, mentre mia moglie soffriva un po’ stando lì, quindi abbiamo deciso di vendere tutto. Prima andai per un mese a New York per una consulenza. In quel mese feci una riflessione: “Vito, ma dove vai, che fai a Felitto?”. Chiamai mia moglie e dissi. “Senti, cosa vuoi fare? Qui a New York ci sarebbe un’offerta.”
Neanche terminai la chiamata che aveva già le valigie pronte. Accettò subito l’idea di tornare a New York. Rientrai a Felitto, vendetti tutto, quasi per niente, e partimmo per New York.
Come si sviluppò il ritorno in America?
A New York tornai prima io da solo per un anno intero. Restai lì a lavorare al ristorante così per mettermi a posto a livello finanziario, per poter comprare subito un appartamento. Dopo, aprimmo “Il Gattopardo”, dove sono da 24 anni circa. “Il Gattopardo” fu aperto, purtroppo, nella stessa settimana della tragedia del 11 settembre 2001, per cui per un anno fu abbastanza tragica. In quell’anno chiusero molti ristoranti.
Noi, con la nostra caparbietà, riuscimmo a sopravvivere. Per circa un anno riuscimmo a stare a galla. Dopo un anno, il New York Times ci fece un articolo, che cambio la nostra vita. Da che avevamo trenta o quaranta persone al giorno, da un giorno all’altro ne facevamo centocinquanta al giorno. Quella recensione ci diede due stelle. Ma due stelle non contavano più di tanto, fu il modo in cui era impostato l’articolo, come era scritto, che fu molto positivo.
Immagino che avrai l’articolo incorniciato.
Ce l’ho ancora l’articolo, ma non è incorniciato. Da quel giorno lì incominciammo a lavorare tanto. Si chiama “Il Gattopardo” perché rappresenta il Regno delle Due Sicilie, il film “il Gattopardo”, che fu girato da Luchino Visconti e racconta la storia d’Italia della seconda metà del 1800.
E così’ siamo quasi arrivati ai nostri giorni …
Adesso “Il Gattopardo” ha quasi 24 anni di storia. Ne siamo abbastanza fieri. Siamo in Midtown, che è una zona di Manhattan piena di imprese economiche. I nostri clienti sono al 90% quasi tutti fissi al pranzo, tranne la sera, in cui arrivano anche i turisti dagli alberghi.
Siamo circondati da alberghi di un certo livello, come il Peninsula, il St. Regis, il Palace, ecc.
Adesso abbiamo tre ristoranti: due sono aperti, mentre l’altro dovrà aprire, è un Wine bar … Questa è la mia vita.
Una bella vita, grazie Vito.