di Giuseppe Liuccio
Le ottobrate romane sono belle con i cieli tersi ed il tepore dell’ultimo sole. Domenica scorsa era una di quelle giornate che hanno ispirato pagine di leteratura e fatto da cornice e sfondo a scene memorabili di cinematografia. Consigliava, anzi imponeva, una scampagnata fuori porta Ed io. con la voglia di campagna nel DNA contadino, ho puntato dritto sul viterbese, destinazione Monti Cimini, a caccia di castagne e funghi. L’agriturismo era accogliente con ampi spazi esterni attrezzati per la gioia dei nipotini a festoso inseguimento di oche e tacchini. Intorno la vegetazione del Parco dei Cimini, appunto, con i colori ramati dell’autunno, la vitalba ad ultimo sprazzo di vita all’abbraccio della siepe, i castagni a far da cupola al tappeto dorato dei ricci con la fuoriuscita dei frutti, pulcini pezzati a fuga dalla cova, il rosso squillante dei granati ad esplosione di scorza nel rosso perlaceo dei chicchi. La passeggiata a passi lenti a digestione di pranzo sostanzioso mi ha portato a penetrazione di bosco tra sentieri attrezzati con “legende”, che narravano miti e storie di piante con i nipotini interessati alla lettura un pò faticosa ma attenta e le donne di famiglia all’ammirazione di pungitopo con i grappoli ridenti delle bacche ad accendere desideri di impossibile saccheggio per l’arredo di casa. Io, invece, sull’onda della nostalgia mi sono avventurato nell’operazione transfert, di cui sono vittima frequente, e mi sono ritrovato nel mio Cilento, dove è in pieno svolgimento la raccolta delle castagne, a Roccadaspide come a Stio, sui monti dell’Antilia come sul Bulgheria, e mi sono illuminato di sorriso al pensiero del melograno che nell’orto della casa natale incurva i rami al peso dei frutti spaccati. E’ bello l’autunno della campagna cilentana, ora che il silenzio si fa più ovattato e l’eco rimanda le voci a richiamo d’intesa, si tratti delle raccoglitrici di marroni o, fra qualche settimana, di olive o dei campanacci delle mandrie alla pastura brada o del raglio di un asino soddisfatto del suo campo di erba tenera dopo le prime piogge. Il castagno, ad esempio, è un albero familiare nel Cilento. E costituisce elemento essenziale del paesaggio di molte zone interene. Ha scandito la povera alimetazione di intere generazioni ed ha festosamente salutato le mense di tante famiglie proprio in questa stagione con lo scoppiettare delle caldarroste, la dolce pastosità delle lesse, il croccante profumo delle infornate.E per istintiva ed immediata correlazione di immagini il pensiero correva alle colline dell’interno ed ai terrazzamenti a pendio della costa, dove ulivi secolari s’inargentano alla brezza e cantano al vento storie di lavoro paziente e di saggezza e di sapere di antichi mestieri: Ed il paesaggio rurale della mia terra si dilata al mediterraneo e alla Grecia e parla di leggende e miti, interiorizzati nel rigore degli studi classici. E sa di mito anche il melograno, squillante di fiori rossi nel verde del fogliame a giugno e di chicchi perlacei di giusta maturazione a ottobre, e narra di Cerere e Proserpina, dee di morte e resurrezione, di tenebre e luce, di inverno e primavera/estate ed il cui culto la religione cattolica lo ha trasferito in una madonna che propizia fecondità dal santuario a volo di pianura da uno spiazzo panoramico sull’ultima propaggine del Monte Calpazio. Oh, la ricchezza della mia terra, se solo avesse voglia, entusiasmo ed orgoglio di indagare a fondo sulla sua storia e fecondare di cultura anche il mondo dell’agricoltura, che nell’alternarsi delle stagioni ripropone culti e ritualità delle tradzioni, che affondano le radici nella notte dei tempi. Ci sarebbe materia per una offerta turistica di qualità nel segno della cultura e potrebbero nascere e svilupparsi percorsi attrezzati, masserie didattiche, agriturismi che puntino a fregiarsi di stelle arancione ad ufficializzazione di qualità. Nel viterbese questa voglia, questo entusiasmo e,soprattutto, questo orgoglio di identità io l’ho toccato con mano. Ma lì è passata la grande storia dei papi e la civiltà straordinaria degli Etruschi e gli uomini del 2.000 non l’hanno dimenticata, ma la riscoprono ed esaltano quotidiamente nella didattica, nella imprenditoria intelligente che si innerva nel passato e costruisce il futuro, nella consapevolezza orgogliosa della più vasta società civile. Anche da noi è passata la grande storia e vi hanno lasciato i segni le grandi civiltà, quella greca e quella latina, quella araba e quella normanna, quella angioina e quella aragonese. Ma presidente del Parco ed assessori provinciali all’agricoltura, al turismo ed alla cultura non ne hanno consapevolezza e consumano il meglio delle loro energie non nell’ipotizzare inziative per qualificare, destagionalizzare e diversificare l’offerta turistica, ma nel tessere accordi tra forze politiche frammentate in gruppi in perenne scomposizione e ricomposizione e ritagliandosi spazi solo per presenzialismi di vanità a balbettare bla/bla di ritornelli stantii imparati a memoria.