Nel periodo turbolento del Risorgimento italiano, che segnò la fine del dominio borbonico e l’inizio della nascita dell’Italia unita, il Cilento si trovò al centro di un importante dibattito sociale e politico.
Sebbene molte delle terre del Sud Italia fossero tradizionalmente conservatrici e legate al potere temporale della Chiesa, in questo angolo montuoso emersero figure ecclesiastiche che, invece di sostenere il potere papale, scelsero di schierarsi apertamente a favore dell’unificazione nazionale.
Tra questi, alcuni sacerdoti e monaci del Cilento dimostrarono un coraggio straordinario, opponendosi alle gerarchie ecclesiastiche e diventando ferventi sostenitori della causa risorgimentale.
In un territorio dove la Chiesa aveva sempre esercitato una grande influenza, la posizione dei membri della Chiesa liberali fu una vera e propria sfida.
Molti sacerdoti, pur vivendo in un territorio rurale e tradizionalmente legato alla religione cattolica, furono attratti dalle idee di libertà, giustizia e indipendenza che il movimento risorgimentale stava portando in tutta Italia.
Per questi uomini di chiesa, l’unificazione rappresentava non solo una liberazione dalle dominazioni straniere, ma anche un’opportunità per il progresso sociale ed economico del Sud.
Tra i più celebri membri “ribelli” della Chiesa c’era Padre Giuseppe Feola, un cappuccino di Campora, un piccolo paese del Cilento.
Feola divenne una figura di riferimento per il movimento risorgimentale, avendo il coraggio di sostenere pubblicamente la causa dell’unità nazionale.
Egli non solo aderì alle idee liberali, ma fu anche attivamente coinvolto nel diffondere i principi della libertà e della giustizia tra la popolazione.
La sua predicazione e il suo impegno politico lo portarono a entrare in contrasto diretto con le autorità ecclesiastiche conservatrici, ma nonostante ciò, rimase fermo nelle sue convinzioni.
I membri liberali della Chiesa nel Cilento non si limitarono a sostenere l’unità nazionale in modo teorico; molti di loro si impegnarono concretamente in atti di resistenza contro il dominio borbonico e il potere temporale ecclesiastico.
Essi parteciparono attivamente a comitati e movimenti popolari che cercavano di rovesciare l’ordine esistente e instaurare un’Italia libera e unita.
Alcuni membri della chiesa del Cilento, come Padre Feola, furono coinvolti direttamente in movimenti patriottici e nella creazione di comitati locali, dove si discuteva del futuro dell’Italia e si promuoveva l’ideale risorgimentale.
Paesi come Capaccio, Centola, Piaggine, Rofrano e Torchiara divennero focolai di attività risorgimentale, dove le idee di Giuseppe Mazzini e degli altri protagonisti del Risorgimento trovarono terreno fertile.
Questi luoghi, grazie alla presenza di figure come Padre Feola, diventarono centri di lotta per l’unità nazionale, in cui si propagandavano ideali di libertà, giustizia e indipendenza.
Tuttavia, l’impegno di questi sacerdoti non fu senza conseguenze.
Le forze politiche borboniche presenti nel Cilento si opposero fermamente alla posizione di questi prelati.
Padre Feola, in particolare, divenne un obiettivo per le forze politiche borboniche e le resistenze locali che operavano nel territorio cilentano.
Nonostante le difficoltà, il frate non si fece intimorire.
Ma il suo coraggio ebbe un prezzo.
Il 3 giugno 1863, Padre Feola fu “arrestato” dal “brigante” e legittimista borbonico Giuseppe Tardio, capo delle forze borboniche di Piaggine, e venne condotto in piazza a Campora per un “processo popolare“.
Tardio, che vedeva nel cappuccino una minaccia alla causa borbonica, gli intimò di fare una pubblica dichiarazione di fedeltà a Francesco II.
Ma Padre Feola, con la serenità che solo i martiri possiedono, rispose con forza: «No! Io saprò morire come vissi: Viva l’Italia!».
Queste parole, pronunciate con fierezza, segnarono la sua fine.
Dopo essere stato crivellato di colpi di fucile, Padre Feola non morì immediatamente, ma fu infine ucciso con un colpo di sciabola.
La morte di Padre Giuseppe Feola non fu solo il sacrificio di un uomo, ma divenne un simbolo della lotta per la libertà e per l’unità dell’Italia.
Due iscrizioni furono poste in memoria del suo sacrificio dopo la sua morte: una nella piazza di Campora, luogo del suo martirio, e l’altra nella chiesa del paese, dove fu sepolto.
La sua figura rimane una testimonianza indelebile di come anche nel Cilento, come in molte altre parti del Sud Italia, ci furono uomini che scelsero di lottare per l’unità della nazione, sfidando il potere temporale della Chiesa cattolica e la resistenza delle forze borboniche.
Il sacrificio di Padre Giuseppe Feola e l’impegno di altri prelati come lui dimostrano che nel Cilento, come in altre parti del Sud Italia, esisteva un movimento religioso progressista che non solo si oppose al potere temporale della Chiesa, ma si schierò attivamente per l’unificazione dell’Italia.
Questi uomini, tra cui Padre Feola, sono stati eroi silenziosi del Risorgimento, che hanno sacrificato la loro tranquillità e la loro posizione religiosa per la causa della libertà e dell’indipendenza nazionale.
La loro eredità, sebbene a lungo trascurata, rappresenta un capitolo fondamentale della storia del Risorgimento, contribuendo in modo significativo al successo della causa risorgimentale e rivelando il ruolo cruciale che anche alcuni membri del clero hanno avuto nel processo di unificazione dell’Italia.