Nel contesto tumultuoso del 1849, il Regno delle Due Sicilie si contraddistingueva per un clima di intensa repressione nei confronti delle idee liberali e progressiste.
A Salerno, questo fenomeno si manifestava in modo particolarmente emblematico: la semplice presenza di barba o baffi poteva costare l’arresto a chiunque fosse sospettato di opinioni liberali.
Questa pratica, apparentemente assurda, mette in luce l’estrema paranoia delle autorità nei confronti di ogni forma di dissenso.
I capi delle forze dell’ordine applicavano misure repressive che andavano oltre il ragionevole, trasformando tratti fisici come la lunghezza della barba in indicatori di sovversione.
In un’epoca in cui la libertà di espressione era fortemente limitata, la polizia salernitana non si limitava a monitorare le attività dei liberali, ma entrava nel merito dell’aspetto fisico dei cittadini, considerandolo un possibile segnale di ribellione.
La barba lunga o i baffi divenivano così simboli di un’identità politica, con la conseguenza che chiunque osasse portare tali segni rischiava l’arresto.
In questo periodo, l’Europa era attraversata da una serie di movimenti liberali e nazionalisti.
Il 1848 era stato segnato da insurrezioni in tutta Italia e in Europa, portando alla speranza di un’unità nazionale e alla caduta dei regimi assolutisti.
I liberali erano visti come forze di cambiamento che minacciavano l’ordine tradizionale, alimentando così la paura dei governanti.
Questo clima di incertezza rendeva le autorità particolarmente vigili e pronte a reprimere qualsiasi segnale di dissenso, anche quelli più insignificanti.
I caffè più frequentati dai liberali in Salerno erano a Largo Campo, luoghi di ritrovo per diverse figure del movimento liberale.
In questo contesto di fermento culturale e politico, abili confidenti di polizia seguivano queste persone, pronti a sorprendere qualsiasi parola che potesse dare motivo o pretesto per un arresto.
Vi erano istituzioni che cercavano di impedire questo comportamento e tentavano di opporsi a questa logica perversa; tuttavia, le loro obiezioni venivano sistematicamente ignorate e i capi delle forze dell’ordine continuavano a far valere il loro potere in modo capillare.
Coloro che venivano arrestati non solo subivano la privazione della libertà, ma venivano umiliati attraverso punizioni come la rasatura forzata, imposta senza neanche il rispetto delle procedure legali.
I capi delle forze dell’ordine agivano contro coloro che non obbedivano al divieto, arrestandoli e imponendo la rasatura della barba senza neanche insaponare il viso, per poi rilasciarli solo dopo alcuni giorni di prigione e una severa ramanzina.
Questo clima di paura non riguardava solo l’aspetto fisico, ma si estendeva a ogni manifestazione di pensiero.
I caffè diventavano luoghi di sorveglianza e di denuncia, dove le conversazioni venivano attentamente monitorate dai confidenti della polizia.
La semplice discussione su temi politici o sociali poteva trasformarsi in un pretesto per l’arresto, contribuendo a un clima di sospetto e autocensura tra i cittadini.