Francesco D’Episcopo, già Professore di Letteratura italiana presso l’Università di Napoli “Federico II”
Chi scrive, accanito sostenitore del nostro Sud, ha sempre cercato, dentro ed oltre un’antropologia letteraria, forse ancora da inventare nella sua complessità e compiutezza critica, le radici e le ragioni di una Magna Grecia, che non va ricercata nei libri di scuola ma in una quotidianità avida e ardente, nella sua civile selvatichezza, nella sua ostinata volontà di conservare e tramandare valori, che continuano a far sentire tutta la loro segreta bellezza ed energia. Il Sud ha avuto la fortuna di essere figlio della Grecia, la quale, con altri popoli, qui ha lasciato la sua essenza, facendo fiorire un patrimonio, fisico e metafisico, che ha caratterizzato profondamente il suo destino.
A Capo Palinuro nasce un fiore, che chi scrive ha persino studiato, la primula, alla quale uno dei poeti e traduttori più consapevoli e meno conosciuti del nostro Novecento, Enzio Cetrangolo, nativo di Rutino nel Cilento, ha dedicato parole immortali. A Reggio Calabria, il bergamotto si rifiuta di sorgere altrove, un po’ come noi, che qui vogliamo continuare ad ammirare le nostre albe e i nostri tramonti.
Figli degli dèi, percorriamo il sentiero a loro dedicato, sulla Costiera Amalfitana, tra cielo e terra, consapevoli di essere eredi di un infinito, che non conosce limiti e frontiere.
Tutto qui è possibile, partorito dal cervello della dea Athena, e la creatività, a volte straripante, che ci caratterizza, è il retaggio di una umana divinità, che si congiunge strettamente con lo spericolato splendore della natura, spesso primitiva e selvaggia, come la nostra anima, inquieta e intransigente.
La Magna Grecia è nata da un Kaos, luogo di origine di Pirandello, a pochi chilometri da Agrigento, che ha voluto conservare la sua indipendenza e intraprendenza, ascoltando le voci, spesso irrazionali, di una umanità, che si aggroviglia nella sua intrinseca identità. Eredi di un magma, che continua a fremere nei nostri Vulcani, affratellati da una energia che riporta alle viscere della terra; di questa visceralità avvertiamo le pause serenatrici e i sussulti incandescenti, ben sapendo che siamo nati dalla terra e questa è la nostra irrimediabile matrice. Una terra, vulcanicamente imprevedibile e fertile, come la nostra vita, che sa di essere una sua filiale conseguenza.
Per capire la Magna Grecia, prima di ogni storia, che ben si conosce, bisogna partire dalla sua natura in un viaggio sussultorio, come il bradisismo della terra flegrea, mai immobile e carico di avventurose sorprese.
Sì, perché qui il cielo può farsi mare e gli occhi possono tornare a farsi bambini, indovini di un mondo che sembrano scoprire per la prima volta.
Ed è qui il segreto, in quella “prima volta”, fonte di meraviglia, che qui continua a far spalancare insieme occhi e anima, in un anelito misterioso di infinitudine, che viola ogni orizzonte possibile.
Qui siamo nati e qui resteremo, compiangendo chi non può o non vuole godere di questo privilegio.
Qui continueremo a parlare e gridare il nostro dialetto, lingua materna, che non può essere contaminata o tradita, perché custodisce le nostre radici e ragioni.
Qui spargeremo nel mare i nostri sogni e desideri di uomini, votati alla nostalgia, al ritorno a un mondo, fatto di verità e di vita vissuta fino in fondo.
Ulissidi, percorreremo varie patrie, esponendoci a tempeste e bonacce, sconfiggeremo Polifemo e resisteremo alle Sirene ammaliatrici, sognando Itaca, che ci attende, fedele e fiduciosa, per intraprendere una vita, sedotta e abbandonata da un destino avverso e crudele.
Troia sarà un ricordo lontano, fermo nel tempo ma non nella nostra inquietudine, che ci indurrà a riprendere, dantescamente, nuove rotte, a inventare nuovi stratagemmi, capaci di trasformare la vita in un’opera d’arte, il cui destino è tutto da inventare sempre, come fosse “la prima volta”.
Il resto è retorica e la Magna Grecia, attraverso Parmenide, ci ha insegnato la filosofia dell’Essere e, attraverso il suo continuatore, Gian Battista Vico, che la filosofia può farsi poesia vivente e immortale. Questo, per finire, è il regno delle sintesi spericolate, che rifiutano reti circensi di protezione, perché la vita resta una misteriosa scommessa e sfida con la morte, che è dentro la vita stessa e che l’arte, la nostra arte, è ciclicamente indotta a celebrare, a raccontare.
E continueremo a narrare, in nuovi spartiti critici, miti e misteri di un universo, che ci appartiene, che è dentro di noi e, con l’occasionalità che ci caratterizza, pretende il desiderio, e forse diritto, di farsi da parola voce, canto armonioso, persino di illetterati, che avevano l’armonia nel sangue.
E ad essa, a loro è dedicata questa prima testimonianza di un loro fratello d’anima, che ben concepisce e comunica quella democrazia dello spirito, che è il nostro retaggio più alto, la nostra consegna più concreta e destinata a durare.
Grazie, madre Magna Grecia, per l’amore che ci hai donato, per la sodalità, che accoglie e non respinge, come fanno altri popoli, che non hanno conosciuto la divinità dell’umanità.
Napoli, novembre 2024
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